Nella vasta produzione letteraria di Alain Elkann, il suo racconto d’estate “Sul treno per Foggia con i giovani lanzichenecchi” corre il rischio serio di essere il suo componimento più letto grazie all’eco mediatica che ha avuto in questi giorni.
In questo racconto, la descrizione dei suoi giovani compagni di viaggio, definiti con il termine di lanzichenecchi, soldataglia tedesca del 1500 artefice del Sacco di Roma del 1527, viene contrapposta alla descrizione che l’autore dà di se stesso, rimarcando differenze di stile sartoriale, ma soprattutto di comportamenti pubblici. Contro questa stigmatizzazione di stili e di comportamenti si è sollevato tutto il mondo sociale e social, accusando il diretto interessato di elitarismo, di snobismo e di distacco astioso dal popolo comune, dalla realtà quotidiana. Una lettura giustissima per chi legge il racconto, ma attenzione a non far derivare la non conoscenza del mondo giovanile da parte di Alain Elkann dal suo smodato elitarismo: sarebbe una lettura facile, ma fuorviante.
Alain Elkann è figlio della grande aristocrazie finanziaria e capitalistica, lo erano i suoi genitori, lo è suo figlio John, suo editore in questo caso e proprietario della Fiat. In questo racconto il narratore non si atteggia a snob, semplicemente rimarca il suo modo di essere, la sua appartenenza ad un mondo diverso, altro da quello della gente comune. Può far piacere o no, ma quel mondo esiste e realmente governa e decide le sorti delle Nazioni e dell’economia a livello mondiale. Elkann ha in questo racconto il merito, come verità “dal sen fuggita”, di ricordarcelo, di contrapporre ad una visione egualitaria e democratica della società l’esistenza di ristrette oligarchie che di fatto decidono gli eventi presenti e prefigurano il futuro dell’umanità. Il re è nudo e molti complici, con i loro interventi, come vesti, sono metaforicamente accorsi a rivestirlo per coprire questa evidente verità.
Allo snobismo di Elkann si contrappone quello di noialtri. “Ma chi si crede di essere!”, è stato più o meno il commento di tutti. La verità è che siamo tutti un po’ elitari, ne va della nostra identità personale, della nostra autostima e basta farsi un giro sui social per rendersene conto. Paradossalmente, quindi, ad Alain Elkann è contestato uno snobismo attraverso un’altra forma di snobismo.
Sul secondo punto, quello del comportamento chiassoso e sguaiato dei giovani viaggiatori, si è invece riscontrata una benevolenza complice: “Sono ragazzi, sono così, che c’è di male”.
Eppure è questo comportamento che oggi ci qualifica in negativo in qualsiasi parte del mondo. In qualsiasi aeroporto, piazza, strada, negozio dove c’è “cagnara”, conversazioni ad alta voce, pacche cameratesche, sentiamo dire dai presenti sottovoce: “Italiani!”
Siamo quelli della “caciara”, quelli dello sghignazzo, i maleducati, quelli che disturbano gli altri perché non siamo consapevoli che lo spazio pubblico non è solo nostro, ma di tutti, perché non riusciamo a capire che non possiamo comportarci in pubblico come nel nostro privato e che non possiamo infastidire i presenti con la nostra “incontrollabile esuberanza”. La patria del Galateo, delle buone maniere, che ha subìto l’orda rozza dei lanzichenecchi germanici, si è trasformata nella patria della maleducazione.
Su quel treno Roma- Foggia si sono scontrati due mondi enormemente distanti tra loro e non ha importanza come si era vestiti, cosa si leggeva, cosa si scriveva, di cosa si parlava, ma che non si siano incontrati, che non abbiano avuto la necessità di parlarsi. Evidentemente ognuno giudica il mondo dell’altro del tutto inutile: un vero trionfo dell’elitarismo.
Angelo Mancini