La bolognese Zoopalco pubblica il debutto del trio sannita, vincitore del Premio Dubito. Spoken word, world music, rock ed elettronica in un’opera visionaria e mitopoietica, registrata in un antico essiccatoio per tabacco

Urla dal Confine: arcaico e contemporaneo, l’album d’esordio di Osso Sacro 

«Urla dal confine è il frutto di un lavoro di ricerca su due campi differenti, quello poetico e quello musicale, entrambi connessi al Sannio. È un disco metastorico, una performance mitopoietica in cui tutto accade in un tempo altro e in una zona non ordinaria. Sono le grida mute che giungono dai margini di ogni paese, borgo o periferia. È l’intero globo in una sola contrada, precisamente ai confini tra Regno di Napoli e Stato Pontificio. Qui abbiamo collocato la nostra storia. Tutto nasce dall’urgenza di raccontare con uno sguardo altro una terra specifica, liminale, dalla bellezza ingenua ed estremamente eterogenea, evidentemente spigolosa, che spesso viene liquidata semplicisticamente come “area interna”». 

Sono ispirati, sicuri e determinati i tre membri di Osso Sacro, finalmente giunti all’album d’esordio Urla Dal Confine, pubblicato da Zoopalco Poetry Label. Un disco particolarmente atteso vista l’attenzione della stampa durante l’esperienza immersiva di registrazione estiva in campagna, ma soprattutto dopo la vittoria del Premio Dubito, il più importante riconoscimento italiano nel campo della poesia ad alta voce (spoken word, poetry slam) e della poesia con musica (spoken music, rap). È proprio dal rapporto tra poesia e musica, tra parola e suono, che nasce il progetto Osso Sacro. Il poeta e performer Vittorio Zollo, il polistrumentista Corrado Ciervo, il musicista e producer Carlo Ciervo arrivano al debutto forti di un percorso originale sia nella ricerca che nella restituzione dal vivo. Le vicende parlate, suonate, cantate e performate si basano su fatti realmente accaduti, ricollocati da Zollo; Corrado Ciervo, artefice di ogni produzione musicale e microsfumatura sonora, recupera e riposiziona le sonorità del territorio sannita

 

Urla Dal Confine parte dalla tradizione di un territorio marginale e esplora le possibilità offerte dalla musica contemporanea: «Il nostro è un tentativo di alimentare la fiamma delle tradizioni, contestualizzandole e posizionandole nel tempo materico in cui siamo, e non semplicemente custodirle per renderle immobili. Da qui l’idea di rendere contemporanei i suoni e le voci di una terra, che essendo millenaria appare immobile (ma che in realtà non lo è), attraverso la mitopoiesi. Siamo partiti da voci sconnesse tra loro, canti a distesa e tradizionali tramandati esclusivamente oralmente, linee melodiche che avevano perso la parola, e da lì abbiamo costruito la nostra opera, sia orale che musicale. Abbiamo processato suoni e contenuti. È ciò che facciamo, lavoriamo molto sul processo, il prodotto poi viene da sé»

Urla dal Confine è ricco di riferimenti alla mitologia, alla religione, alle tradizioni che da secoli danzano sul margine tra il sacro e il profano; attinge sia dal mondo popolare (Roberto De Simone, iMusicalia, Nuova Compagnia di Canto Popolare) sia dall’universo elettronico e rock, tra indie, folktronica e world music trasfigurata. Il trio per l’occasione ha accolto l’esperienza di vari ospiti, da Dennj De Nisi, “voce inconsapevole” di San Leucio del Sannio a Alfredo D’Ecclesiis, voce de La terza classe; dal flauto traverso dell’Orchestra Filarmonica di Benevento Vittorio Coviello al poeta bolognese Toi Giordani. Quest’ultimo è artefice anche della copertina, con un’anziana signora e una processione sannita che evocano riti e memoria. 

Questo album metastorico, nato dai margini e dalle periferie, disco rituale, arcaico e contemporaneo, ha visto la luce dopo quasi due anni di gestazione ed è stato inciso in un luogo magico: «Abbiamo registrato in dieci giorni, con un’esperienza immersiva e totalizzante, all’interno di un vecchio essiccatoio per tabacco immerso nella natura tra le campagne di San Leucio del Sannio (BN), in quello che un tempo era il “locale a fuoco” del nonno di Vittorio, in una zona chiamata Ripa Lupina o anche Ripa delle Janare. All’interno dello studio che abbiamo allestito per l’occasione l’ambiente non era asettico, anzi c’erano vecchi libri e porte di legno, un quadro di Diego Armando Maradona (nostro protettore) e l’organetto del nonno di Vittorio. Elementi questi, con cui abbiamo voluto dialogare anche da un punto di vista sonoro». 

Osso Sacro presenterà ufficialmente Urla dal confine a Benevento con una doppia data al Mulino Pacifico mercoledì 28 e giovedì 29 Dicembre. In programma nuove date sul territorio nazionale, che saranno annunciate a breve. 

La copertina è opera di Toi Giordani del collettivo Zoopalco; 

Il fonico che ha registrato il disco è Raffaele Morabito;

il fonico che ha mixato e masterizzato il disco è Claudio Auletta Gambilongo di Multiversi Lab;

Il disco è prodotto dall’Etichetta bolognese ZPL – Zoopalco Poetry Label;

Il lavoro grafico è di Toi Giordani del collettivo Zoopalco.

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OSSO SACRO 

bio

Osso Sacro è un progetto di ricerca, rielaborazione e riposizionamento delle narrazioni orali e sonore del territorio sannita (ma non solo), nato dall’unione artistica tra il poeta e performer Vittorio Zollo e il polistrumentista Corrado Ciervo. Al duo si unisce in seguito Carlo Ciervo, musicista e producer.

 

Dalle colline del Sannio aggrappate alle frane, dall’ultima scoria della miseria umana, il loro primo lavoro discografico e di live performance si intitola Urla dal Confine, pubblicato da Zoopalco alla fine del 2022. Le vicende parlate, suonate, cantate e performante si basano su fatti realmente accaduti, ricollocati dal poeta Zollo. Corrado Ciervo, artefice di ogni produzione musicale e microsfumatura sonora, recupera e riposiziona le sonorità del territorio.

Osso Sacro ha vinto il Premio Dubito di Poesia con Musica nel Dicembre 2021. È il più importante riconoscimento italiano nel campo della poesia ad alta voce (spoken word, poetry slam) e della poesia con musica (spoken music, rap), dedicato alla memoria di Alberto ‘Dubito’ Feltrin, uno dei più noti e raffinati esponenti delle giovani generazioni.

https://www.facebook.com/lossosacro 

 

URLA DAL CONFINE: una conversazione con Osso Sacro

Urla dal confine è il vostro disco d’esordio. Un titolo emblematico, che richiama alla rabbia proveniente da un territorio marginale. È dal disagio e dall’essere periferici che nasce la vostra musica?

Urla dal confine è il frutto di un lavoro di ricerca su due campi differenti, quello poetico e quello musicale, entrambi connessi al territorio del Sannio. È un disco metastorico, una performance mitopoietica in cui tutto accade in un tempo altro e in una zona non ordinaria.  

Le “Urla dal confine” sono le grida mute che giungono dai margini di ogni paese, borgo o periferia. È l’intero globo in una sola contrada, precisamente ai confini tra Regno di Napoli e Stato Pontificio. Qui abbiamo collocato la nostra storia.

Tutto nasce dall’urgenza di raccontare con uno sguardo altro una terra specifica, liminale, dalla bellezza ingenua ed estremamente eterogenea, evidentemente spigolosa, che spesso viene liquidata semplicisticamente come “area interna”. 

«Ma il centro è cieco e la verità si vede dai margini», ecco perché abbiamo scelto di raccontare le grida mute di chi come noi vive nei paesi. Non il conflitto città-paesi o centro-periferia che intendiamo raccontare, questo perché è risaputo che le città siano ormai invivibili.

Urla dal confine è un titolo che non tradisce se stesso, non consola né riappacifica, anzi si predispone al ribaltamento di una retorica connessa alla vita ai margini, intende rompere la narrazione che si fa dei “paesi senza il mare”, quelli di collina o di montagna, aggrappati alle frane dell’Osso d’Italia, dagli Appennini emiliani alla Sila.

Si urla dal confine per far sentire la propria voce, in questo caso per far emergere soprattutto i conflitti che da sempre abitano i paesi. Il concept del nostro disco in questo è estremamente esplicito: la storia è la fotografia di un’umanità crollata sotto i suoi stessi colpi. Una comunità, un individuo, un luogo, possono sgretolarsi in pochi attimi. Perché ci muoviamo su un terreno franoso, sismico, pericoloso, che è anche quello della nostra anima. 

Abbiamo scelto di urlare dal margine per prendere consapevolezza e affrontare anche tutto ciò che spesso “non viene detto”.

Per un’esperienza come la vostra, che unisce verbo e suono, la ricerca è fondamentale. Dal setaccio di quale materiale è partito il vostro progetto?

È stato un lavoro che è partito innanzitutto da un’analisi del contesto in cui ci troviamo ad operare. In seguito, dal confronto costante, sono emersi dei segmenti di strada percorribili che inevitabilmente abbiamo seguito: la selezione di voci e suoni quasi perduti, materiale da noi conosciuto, praticamente vergine e non più “considerato”, per immaginarlo e riutilizzarlo in chiave contemporanea.

Un tentativo di alimentare la fiamma delle tradizioni, contestualizzandole e posizionandole nel tempo materico in cui siamo, e non semplicemente custodirle per renderle immobili. Da qui l’idea di rendere contemporanei i suoni e le voci di una terra, che essendo millenaria appare immobile (ma che in realtà non lo è), attraverso la mitopoiesi.

Siamo partiti da voci sconnesse tra loro, canti a distesa e tradizionali tramandati esclusivamente oralmente, linee melodiche che avevano perso la parola, e da lì abbiamo costruito la nostra opera, sia orale che musicale. Abbiamo processato suoni e contenuti. È ciò che facciamo, lavoriamo molto sul processo, il prodotto poi viene da sé.

Qual è stato il segreto, o perlomeno quali sono state le vostre modalità, per far dialogare un poeta con due musicisti?

Per giungere a questa collaborazione siamo partiti dalle nostre ricerche: Corrado Ciervo è autore di Mousikè Téchne, disco che parte dalla voce di Concetta Barra e poi si srotola su diversi piani, tutti connessi alla relazione tra la Musica nell’antica Grecia e i suoni contemporanei, mentre Vittorio Zollo ricerca da anni nell’ambito della Poesia orale e performativa, lavora sulla scansione orale della parola e quella ritmica del corpo, attraversando temi connessi alla vita di paese, all’emarginazione, al Sud.

Incontrarsi è stato facile, la Musica e la Poesia sono da sempre connesse. Ciò che abbiamo tentato di fare è stato ricercare un equilibrio tra le parti, quindi non la Musica al servizio della Poesia né viceversa. Speriamo di esserci riusciti!

La musica popolare campana inevitabilmente riporta all’esperienza cruciale e “napolicentrica” della NCCP e Roberto De Simone, tuttavia il vostro Sannio ha molto da rivelare e raccontare. Quali sono le peculiarità espressive che avete assorbito e portato nella vostra proposta?

De Simone è stato fondamentale per il folk revival e la riscoperta del mondo contadino e del contesto musicale. Sicuramente anche nel Sannio ci sono esperienze longeve che hanno messo in evidenza peculiarità del nostro territorio, il quale tocca più regioni e perciò ci sono influenze molto varie, come quelle del Molise, che riguardano l’alto Tammaro, o il casertano per la Valle Caudina, e anche la Puglia per il Fortore. È un territorio fortemente eterogeneo ed è per noi una ricchezza, poiché ci dà la possibilità di confrontarci con più riferimenti musicali. Non ci sono canzoni che determinano con precisione e riconoscibilità quella che è la musica popolare del Sannio, per tale motivo è ancora più stimolante provare a riprendere e impastare il materiale che troviamo, lasciandoci ispirare da queste storie e riproponendole con suoni moderni.

La scorsa estate il video di Pruserpina, vostro primo singolo, ha messo in mostra le coordinate di Osso Sacro: attualità e mito, provincia profonda e universalità… 

La scelta di Pruserpina è coerente con l’intenzione del ribaltamento, perché questo è il brano che il disco lo chiude, e lascia aperta la vicenda. Ci è sembrata la scelta migliore perché sintetizza molto bene tutte le stratificazioni del nostro progetto: ricollocare il mito in modo da rendere la vicenda universale. 

Nel brano riecheggiano movimenti delle tarantelle dell’800 intrecciate all’elettronica, con il violino di Corrado che accompagna tutta la vicenda cantata/oralizzata. Da un punto di vista contenutistico, la scelta è stata quella di non intervenire nella vicenda. In questo senso ci siamo posti al di fuori, ne siamo semplicemente narratori. Non abbiamo cercato il finale per una storia così atroce, intima e personale che riguarda esclusivamente la nostra protagonista. Lei è la donna che porta in grembo “il figlio dell’ira”, non noi.

Per tale motivo l’opera ha un finale aperto, che magari racconteremo nel prossimo lavoro!

Urla dal confine non poteva non nascere nel Sannio. Per l’occasione avete allestito uno studio di registrazione in un luogo magico e significativo, un vecchio essiccatoio per tabacco… Come mai questa scelta?

Abbiamo registrato all’interno di un vecchio essiccatoio per tabacco immerso nella natura tra le campagne di San Leucio del Sannio (BN), in quello che un tempo era il “locale a fuoco” del nonno di Vittorio. L’essiccatoio si trova in una zona chiamata Ripa Lupina o anche Ripa delle Janare. 

All’interno dello studio che abbiamo allestito per l’occasione l’ambiente non era asettico, anzi c’erano vecchi libri e porte di legno, un quadro di Diego Armando Maradona (nostro protettore) e l’organetto del nonno di Vittorio. Elementi questi, con cui abbiamo voluto dialogare anche da un punto di vista sonoro. 

La residenza è durata dieci giorni ed è stata immersiva e totalizzante. 

Abbiamo registrato lì l’intero disco, condividendo 24 ore al giorno tutto il lavoro. Siamo stati guidati dal fonico e tecnico del suono Raffaele “Felò” Morabito che a braccetto con Carlo Ciervo ha lavorato anche a una prima scrematura. In seguito le registrazioni sono state inviate al Multiversi Lab a Sarno, dove le ha prese in carico Claudio Auletta Gambilongo che è ha firmato Mix e Master.

Alla Ripa Lupina abbiamo ospitato tutti gli artisti che hanno collaborato in qualche modo al disco, dei fotografi, dei produttori locali e anche qualche giornalista. Eravamo poco distanti dal fiume Sabato e dallo Stretto di Barba, luoghi in cui le Janare si riunivano per i loro rituali, e a poche centinaia di metri da quella che nel ‘900 fu la casa del Mago di San Leucio del Sannio (Fiore Furno). 

Immergerci nelle suggestioni di un territorio in cui riecheggiano ancora molteplici leggende orali è stato molto intenso, speriamo che questa intensità si percepisca anche nel disco.

L’anno scorso avete vinto il prestigioso Premio Dubito per la spoken word e poetry slam. Questo riconoscimento dimostra che siete la punta dell’iceberg di un fenomeno sempre più diffuso e influente in Italia… 

Il premio Dubito è stato un bellissimo riconoscimento per il nostro lavoro. Abbiamo vinto la finale a Milano lo scorso Dicembre ed è stato molto intenso. Con noi c’era anche un altro progetto sannita di Poesia con Musica, Catash, che si è classificato in terza posizione. 

Alberto Dubito Feltrin era Rapper e Poeta, ha influenzato moltissimo la scena della Poesia orale contemporanea e continua a farlo. In questo senso, il mondo ad oggi ancora sommerso della poesia orale e della Poesia con Musica sta vivendo un momento di crescita. Ad esempio la nostra etichetta, ZPL – Zoopalco Poetry Label, in questo 2022 ha prodotto 3 progetti, tutti e tre vincitori del Premio Dubito ovvero la Monosportiva, i Mezzopalco e noi Osso Sacro. 

Il lavoro di Zoopalco, collettivo che ha base a Bologna e che ricerca in ambito della Poesia orale, multimediale e performativa è stato di fondamentale importanza per noi. Tra l’altro, Vittorio è tra i fondatori del collettivo!

Osso Sacro arriva al disco dopo un lungo periodo performativo. Che differenze ci sono tra quello che avete inciso e quello che vedremo sul palco?

Sicuramente c’è un po’ di differenza tra la produzione e l’aspetto performativo. Nel disco il lavoro di ricerca dei suoni è stato certosino e ossessivo, dal vivo lasciamo più spazio alla performance, che è nostra prerogativa fondante. Proprio la performance conserva una parte di imprevedibilità, che noi amiamo, e che può essere ovviamente sempre migliorata. 

C’è sicuramente un legame tra quello che abbiamo registrato e quello che andiamo a performare. Riutilizzare sequenze e suoni presenti nel disco, aggiungendo la dinamica e la libertà della parte performativa.

In questo, Carlo Ciervo, che fin dagli inizi mette ordine in questa vicenda, è una figura fondamentale.

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