Nel IV secolo a.C., all’inizio delle guerre sannitiche, il massiccio montuoso del Matese, a confine tra il Molise e la Campania, era occupata da popolazioni italiche omogenee per caratteri culturali e linguistici, tutte appartenenti al ceppo sannitico, o sabellico. Tra queste i Pentri, che colonizzarono i monti del Matese con insediamenti che si svilupparono soprattutto nel versante meridionale, dal clima più mite e dall’abbondante presenza di acqua e pascoli.
Amavano vivere in piccoli villaggi, realizzati a partire da una quota superiore ai 1000 metri, con capanne e recinti per gli animali, protetti da muri in pietra a secco, su ispirazione di quelli del periodo neolitico che già punteggiavano la zona.
Un grande recinto circolare in località Tasc’tara, nel quadrilatero Sepino, Cerreto Sannita, Pietraroja, Morcone, confrontato con la ricostruzione di un villaggio neolitico.
Ma l’unicità di questi insediamenti è, come si nota dalle foto, la presenza di una doppia tipologia di muri a secco: una esterna, continua, e l’altra interna, fatta di segmenti che sembrano realizzare una sorta di percorso ad ostacoli per raggiungere il punto più alto: la zona sacra: sembra proprio che ogni piccolo villaggio ne avesse una. Sempre in alto.
La nascita di questi piccoli villaggi, dai romani poi chiamati vici, presupponevano un luogo pianeggiante o pedemontano, comunque di facile accesso, capace di accentrare funzioni produttive, agricole, di allevamento, di scambio e artigianali. Questa collocazione geografica però, esponeva il villaggio a facili aggressioni da parte dei nemici, per cui venivano costruiti, ad una certa distanza ed in posti idonei al controllo, dei centri montani fortificati (gli oppida o le okri). È questo il caso anche dell’okre di Monte Cigno, in territorio cerretese, i cui anelli concentrici in pietre a secco si attorcigliano intorno al p
iano centrale con una estensione di parecchie centinaia di metri.
Tutta la zona, riunita sotto il nome di Cominium Ocritum, con il Tempio Sannitico che faceva da “punto di ritrovo”, per l’intatto fascino di una abbondanza più unica che rara di testimonianze, è stata certificata di “valore demoetnoantropologico”, dal Ministero per i beni culturali (MIBACT-SG/05/11/2020/0014724-P).
Poi arrivarono i romani… e dal III sec. a.C., cominciò la lenta romanizzazione anche di questa parte di Italia. Gli insediamenti, costruiti in posizione difendibile sulle alture, furono rasi al suolo e ricostruiti come colonie latine in pianura, per accogliere chi era finalmente diventato “civis romanus” con pienezza di diritti, e alle estremità del tratturo che collegava trasversalmente i versanti orientali ed occidentali del Matese, attraversando “Cominium” e le gole del Titerno che sfociavano nella pianura allora Caudina, sorsero Saepinum e Telesia che furono circondate da mura la cui tipologia mostra chiaramente il balzo in avanti che aveva fatto la tecnica costruttiva. Ma non solo.
Le due città, nel panorama urbanistico di Roma, presentano due particolarità più uniche che rare, che definirei “eretiche”: le mura di Saepinum, realizzate in tipico “opus reticulatum”, racchiudono una urbs che presenta un inatteso schema urbanistico che è difficile ipotizzare come casuale.
Se osserviamo la mappa di Saepinum infatti, osserviamo che, a chi proveniva da Bojano percorrendo il tratturo Pescasseroli-Candela, la città si mostrava asimmetrica, completamente sbilanciata a destra. Infatti sul decumano si affacciano tutta una serie di botteghe che, man mano che ci si avvicina al foro, vengono sostituite da edifici monumentali a carattere pubblico. Per ultimo la basilica posta in posizione angolare in modo da affacciare con il lato corto sul decumano, con quello lungo sul cardo e sul foro, ove erano i tre ingressi. Poi veniva il foro, la piazza centrale, completamente a destra del Decumano. A Sepino era stata realizzata una “urbs eretica”. Alla base delle scelte di Sepino ci fu, a mio parere, la conferma della necessità di conservare, direi di rendere principale, il tratturo trasversale, quello che raggiungeva la pianura Campana tagliando per i monti, già funzionale al sistema dei collegamenti di epoca sannitica ed ancora così importante da indurre i Romani a migliorarne il percorso con la realizzazione di ponti che ancora oggi, tra alterne fortune, fanno bella mostra di sé. È la disposizione stessa degli edifici principali a dimostrare chiaramente che la direttrice principale, il percorso più importante, quello da trattare con rispetto, era quello che, provenendo dal Pescasseroli-Candela, deviava a destra per il Matese e Cominium.
Era passato solo un secolo da quando Annibale aveva percorso quel tratturo (Polibio-libro III delle Istorie), un tratturo che, tra l’altro, risponde perfettamente alle caratteristiche descritte da Tito Livio relativamente al percorso che avrebbero voluto fare i Romani, un secolo prima, per arrivare al più presto a liberare Lucera assediata dai Sanniti ed in procinto di cadere, (Livio-Ab Urbe condita-IX). Un percorso così importante per il controllo del territorio da indurre i romani a tradire, e non avveniva così spesso, i loro principi urbanistici.
Telesia, realizzata sul vertice opposto del tratturo, pur presentando delle mura realizzate ad “opera incerta” o “quasi reticolata”, tradisce l’ortogonalità romana nel sistema costruttivo attuato nell’intervallo tra torre e torre: non delle mura rettilinee, ma dei mesopirgi concavi, così da offrire una rientranza curva rispetto all’avanzamento delle due torri laterali, rotonde o poligonali. Il sistema cioè si basa sulla difesa a punzoni, creando nelle torri dei corpi avanzati che accentrino su di sé l’eventuale attacco nemico, nella determinata copertura degli spazi murali così arretrati e protetti tra torre e torre. Tale ingegneria militare, che su scala così generalizzata appare unica finora nel suo genere, trova un diretto raffronto nell’esperienza ellenistica: in particolare la scuola d’ingegneria alessandrina, quale conosciamo dai trattati militari di Filone di Bisanzio.
Arch. Lorenzo Morone