“l’archeologia è una scienza profondamente umana. Attraverso l’oggetto l’archeologo deve risalire all’uomo che l’ha creato e da questo alla società in cui viveva. Chiunque può scavare oggetti, ma solo attraverso l’osservazione e l’interpretazione si può disseppellire il passato“. Leonard Woolley archeologo
Le pietre sono da sempre i caratteri indelebili con i quali sono state scritte tante testimonianze della creatività umana, tracce meravigliose che testimoniano il passaggio dell’uomo su questa terra. Una terra, quella nostra, che è un meraviglioso paesaggio antropizzato in cui le pietre la hanno fatta da protagoniste, trasformandosi in monumenti meravigliosi che non solo ci parlano del passato, quali “originali testimoni del tempo“, del lavoro fatto dai nostri avi per adattare la terra alle proprie necessità, ma sono diventate esse stesse paesaggio. Proprio quel paesaggio che l’art. 9 della Costituzione italiana tutela come patrimonio culturale: “La repubblica promuove lo sviluppo della cultura… Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. E a conferma di ciò, il D. Lgs. n. 42/2004, art. 10, definisce Beni Culturali “le cose immobili e mobili… che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico”. Proprio quell’“alto valore demoetnoantropologico” riconosciuto dal MiBACT (atto prot. SG 05/11/2020 indirizzato al sottoscritto, in qualità di proponente, e alla Soprintendenza di Caserta), alle “intelligenti” disposizioni di pietre del quadrilatero Sepino-Cerreto-Pietraroja-Morcone: dolmen, menhir, alture trincerate, cumuli e tumuli, colline di pietra “recintate”, tholos, ponti megalitici, sono così diffusi da sembrare…inverosimile. Un tuffo nel passato, dal Neolitico ad oggi, che sorprende, che emoziona, che affascina.
La conservazione di questi segni, la loro valorizzazione e fruizione risponde a un interesse pubblico: è tramandare la storia e, perché no, sapientemente sfruttarla a fini turistici. A volte sono stati compiuti danni irreparabili al solo scopo di cancellare la memoria di un passato che, o non si capisce, o si ha paura di non saper gestire. “La storia si compone e ricompone nel tempo. Se cerchiamo solo conferme alle nostre idee non progrediremo mai.” (Paolo Mieli).
In ogni caso l’esistenza e il senso di un monumento, soprattutto se questo si identifica in un territorio, in un paesaggio, dipendono dalla cultura della comunità, dal luogo in cui sorge. Le pietre disposte nel tempo secondo una logica che non sempre ci è chiara, diventano un totem, un simbolo nel quale identificarsi e intorno al quale costruire un progetto di sviluppo.
Il valore di testimonianza, così come per ogni opera d’arte, resta ovviamente sempre legato alla materialità originaria del costruito. Modificandolo, questo perde il suo valore didattico, di testimonianza storica, e con esso anche il titolo di monumento. Perde anche il valore di possibile proposta turistica! Eppure non ci mancano le capacità di affiancare al vecchio il nuovo, sfruttando la maestria dei nostri maestri muratori, eccezionali nel lavorare e disporre la pietra. “Saper raccontare la storia e saper convivere con le tracce del passato”, è la grande qualità che ci riconobbe il giornalista-scrittore di Trieste Paolo Rumiz.
Alterare l’esistente, sostituendolo col nuovo, anche se ben fatto, mi fa ricordare certe scaltre operazioni fatte negli anni 60 da furbi “commercianti” napoletani: ritiravano vecchi mobili in legno, propinandone di nuovi in… truciolato e formica. Che benefattori! Oggi tutti si pentono dello “scambio” alla pari in una operazione che ci faceva ritenere furbi…invece eravamo solo…polli. Diciamocelo chiaramente: distruggere il vecchio per sostituirlo col nuovo è come preferire San Marino a Gubbio… o barattare un vecchio Rolex con uno nuovo fiammante… made in Forcella! L’illusione di fare l’affare fa sorridere solo… i pataccari! Demolire i vecchi “muretti” in pietra, che non sono “semplici” muretti, ma la storia stessa dei Sanniti, le “alture trincerate”, significa non solo commettere un reato penale, ma un assurdo atto autolesionistico che condannerebbe la nostra zona ad una sorta di nuova “damnatio memoriae”, dopo quella di Silla. Una scelta masochistica, poco intelligente, che svaluta irreparabilmente un patrimonio che ci identifica quale parte occidentale del regno Pentro, autentico baluardo verso la pianura campana, passaggio trasversale tra i due versanti tramite il percorso lungo le gole del Titerno. Un patrimonio che potrebbe attirare tanta gente, come già avvenuto altrove. “Quisque faber fortunae suae”: se non siamo in grado di costruirci il futuro con le nostre mani, come possiamo pretendere che lo facciano quelli che, spesso e volentieri, accusiamo di non considerare le zone interne? Una qualunque attività della filiera turistica, se inserita in un contesto ricco di tante emergenze, come lo è il nostro, attirerebbe come il miele le api! Così come un prodotto tipico proposto in un ambiente pulito, curato, amato, sembra …più buono. Non basta una “cattedrale” nel deserto, un semplice Museo per attirare i flussi turistici. Si può ingannare una volta, due, magari esponendo una copia della “Gioconda” facendo finta che sia vera, poi il gioco diventa palese e ci resteranno solo i cocci. In tempo di concorrenza spietata e di comunicazione web, il negativo viaggia veloce. Chi giustifica la copia al posto dell’originale, qualunque sia la motivazione, è solo un volgare pataccaro che vuole fregarci!
La concreta tutela di un monumento, quale è il paesaggio, non ha quindi solo un valore culturale, ma anche una enorme valenza economica perché legato ad un settore turistico in forte espansione, quello della consapevolezza culturale rispetto al mordi e fuggi, quella di una offerta varia capace di accontentare tutte le richieste di un turismo “finalmente” sempre più esigente e consapevole. Arte, artigianato, prodotti tipici, ambiente, tradizione, territorio, in una parola: cultura del territorio che, nel nostro caso, consiste anche e soprattutto nella salvaguardia delle tracce materiali, della struttura e dell’aspetto originale dell’incredibile terra che ci hanno lasciato gli avi.
La storia cambia, cambiano le storie. E’ necessario perciò conoscerle, per rielaborarle e valorizzarle. Perché accontentarci di un pugno di lenticchie quando potremmo trasformarle in pepite d’oro? Le potenzialità di un progetto intercomunale, interregionale direi, lungo lo storico tratturo da Saepinum a Telesia, potrebbe essere esplosiva. Abbandoniamo quell’atteggiamento di sfiducia, quel negazionismo pessimistico imperante che serpeggia in una sorta di nuova classe di “iconoclasti” che, piuttosto che educare e guidare, si preoccupa di esercitare una critica demolitrice e sovversiva nei confronti di ciò che la storia ci ha lasciato senza nostri particolari meriti, e di chi questi valori, legittimamente, propugna e cerca di far vedere sotto una luce diversa e con meno superficialità! Queste tracce sono il “genius loci” che ci indica una strada diversa per il nostro futuro. Ad ognuno di noi il compito di interpretare il messaggio che lanciano le pietre. Distruggerle, alterarle, spostarle, significa rinunciare, per noi e per le future generazioni, ad uno dei fiori più belli che, con la natura, i prodotti enogastronomici, i paesaggi mozzafiato, l’aria pura, compongono il nostro bouquet! E tra quelle pietre, in quei paesaggi mozzafiato ove è importante conservare e valorizzare tutte le attività oggi esistenti, ci può essere il futuro. Perché non sono poche pagine di un libro: sono una vera enciclopedia scritta dai discendenti dei Pentri, degli Etruschi, dei Greci. Un ponte come quello riduttivamente noto come “ponte del Mulino” è un gioiello di tecnica e di bellezza che non esiste in nessun’altra parte del mondo. E se qualcuno ne conosce uno simile …io sono qua! “Exegi monumentum aere perennius”, scrisse Orazio con orgoglio di poeta nella sua Ode n. 30, ritenendo la sua opera un monumento più duraturo del piombo! Accodiamoci ad Orazio e rendiamo le nostre storiche pietre “durature come il piombo”, in grado di dialogare col presente e col futuro.
Accodiamoci soprattutto all’entusiasmo di Maria Grazia Vitelli, la ragazza della Scuola Media di Cusano, autentico simbolo della zona, una studentessa che senza alcun fine, se non quello di rispondere alla propria curiosità, alla propria fame di sapere, al proprio amore per la terra natia, si è messa sulle tracce di quanto aveva appreso a scuola leggendo con la docente un mio articolo. Aver trovato riscontro sul Faito di Civitella, lungo lo storico passaggio calpestato da Annibale, è stato per lei una esplosione di gioia, un atteggiamento che, mi auguro, sia contagioso per tutti. E faccia riflettere chi di dovere. Non spegniamo il sorriso dal volto di questa ragazza. Non roviniamo il suo sogno in una possibilità in più di avere un futuro qui, nella sua terra!
Lorenzo Morone