
Gli psicologi definiscono “Effetto Dunning-Kruger” quel pregiudizio cognitivo che porta a un’autocritica molto generosa, quel sovrastimare in modo generoso la propria competenza relativa ad un argomento. Ecco, potremmo dire che le mie conclusioni relative a ciò che cela come in un prezioso scrigno la valle del Titerno, e relative alture da Monte Coppe a Monte Moschiaturo, ai confini col Molise, sia appunto frutto di questo effetto che mi dà l’”illusione della competenza”: dai resti archeologici che vanno dal neolitico ai giorni nostri, alla identificazione di queste gole meravigliose del Titerno come i luoghi di memorabili battaglie tra Romani e Sanniti. Un esempio? Per esempio, per dirla con una battuta: le tre strade (Polibio) che collegavano la pianura Dauna (Puglia) a quella Campana (Capua) erano due (Tito Livio): solo la via Appia-Traiana (Mommsen). Un’autentica “certezza” da effetto Dunning-Kruger modificato con la variante “Sindrome dell’Impostore”, la convinzione cioè che se certe ipotesi sono per noi certezze, devono esserlo anche per gli altri: se lo sostengo io, lo devi dire pure tu! Tutto per rendere plausibile la collocazione nella valle di Forchia di quello che, probabilmente, è l’episodio più famoso dei rapporti tra Sanniti e Romani: le Forche caudine. Ammesso e non concesso che l’episodio sia andato proprio così come narrato (Livio era un “leghista” atipico: nato a Padova, era un tifoso sfegatato di Roma, diventata solo oggi “ladrona” dopo esserne stata alleata), certe affermazioni “docg”, più “misterium fidei” che verità scientifiche, fanno male alla ricerca storica. Siamo di fronte ad una sorta di Deus ex machina buttato là da Mommsen per puntellare una teoria altrimenti traballante. Come identificare, altrimenti, la dolce gola di Forchia con le aspre gole dell’agguato Sannita, lungo una strada che, oltretutto, invece di portare verso il mare “Superum”, doveva invece tagliare attraverso i monti? Purtroppo il grande classicista tedesco, con questa abile mossa da scacchista, ha risolto la quadratura del cerchio, arrivando addirittura a spostare l’accampamento dell’esercito romano da Caiatia lungo il Volturno (“la presenza di un fiume era vitale per un accampamento di migliaia di soldati e animali” Ing. Flavio Russo), a Calatia lungo quella via Appia, la via del mare, che, detto per inciso, solo nel 268 a.C., mezzo secolo dopo la battaglia, sarebbe stata prolungata fino a Benevento! Tutta la vicenda iniziò, ricordo, con la prima “fake news” della storia fatta circolare sui social dell’epoca, l’inciucio, da quel furbo di Caio Ponzio Telesino: “ … se volete arrivare prima a Lucera, non seguite la via che va verso la costa del mare Superum (l’Adriatico), ma tagliate attraverso i monti”. Cosa c’entra in tutto questo il torrente Titerno? C’entra, e alla grande! Vediamo cosa scrisse Polibio nel II sec. a.C. Secondo lo scrittore Greco, Annibale, che era accampato a Gerione, tra Larino e Campobasso, dopo aver sconfitto a Canne nel 216 a.C. i Romani, pensò di rivolgere le sue attenzioni a Capua che voleva portare dalla sua parte sottraendola all’amicizia di Roma. Tre erano, secondo Polibio, le strade che dalla Puglia portavano alla Campania, la prima “attraverso la terra dei Sanniti” (Bojano-Isernia), la seconda “ex Eribano”, la terza “attraverso la terra degli Irpini” (Benevento). Annibale scelse il secondo percorso.
Purtroppo le memorie erano scritte in greco…e se era ostico il latino, figuriamoci la lingua di Omero! Vediamo come lo descrive Polibio nel Cap. 93 delle sue Istorie : “Ἀννίβας … ἐκ τῆς Σαυνίτιδος τὰ στενὰ κατὰ τὸν Ἐριβιανὸν…” “Annibale, dopo aver attraversato dal Sannio le gole di quel colle che chiamano Eribianum, seguendo il corso del fiume Aturnum, giunse in una pianura che tagliava quasi a metà, e qui, al suo lato (del fiume) realizzò l’accampamento. . .” Dati e riferimenti sono chiari per chi conosce la zona, percorsa da un fiume che, dopo aver attraversato le strette gole, “τὰ στενὰ”, del monte Eribano sbocca in una pianura tagliandola in due. Questo fiume sembra proprio il Titerno che, appena uscito dalle gole a Faicchio, sbocca in un’ampia pianura che divide in due. Il fiume Volturno, che in tanti hanno creduto di identificare nell’Aturnun, a parte la descrizione topografica che non collima proprio, non divide nessuna pianura in due, in quanto, almeno fino a Capua, da un lato ha la pianura, dall’altro i colli, e deve il suo nome, Vulturnus, ad una divinità etrusca ammessa poi nel pantheon romano. La divinità era venerata come fiume nella zona di Capua, antico limite territoriale della civilizzazione etrusca. Tanti studiosi, poco conoscitori delle nostre zone, si sono smarriti con autentici voli pindarici per individuare altrove il colle Eribano e il fiume Ἄθυρνον “…quindi han procurato correggere il testo- leggiamo nelle Memorie di Pietro Paolo Perugini scritte nel 1819 – cambiando la parola Eribanum in Trebulanum, e l’Athurnum in Vulturnum, e per esser questo un fiume ben noto e per esser il monte Trebulano in vicinanza del monte Callicola citato da Tito Livio…”. Nessuno però prese sul serio queste considerazioni, a parte l’ottimo maestro Don Nicola Vigliotti (San Lorenzello e la Valle del Titerno). Eppure la soluzione era ed è semplice, forse troppo semplice per chi non ha una mentalità scientifica: il nome di Eribano, oggi Erbano, si è tramandato con la sola elisione della lettera “i”, e similmente il nome di Titerno, che scorre appunto nelle gole del Monte Erbano, ed in cui s’immette un altro torrente di nome Turio, o Turno, quello appena fuori Cerreto, oggi chiamato Tullio, ha potuto facilmente esser sostituito a quello di Aturnum, “ed è perciò ch’io credo- è sempre lo studioso di San Lorenzello che parla- che ‘l transito di Annibale nel recarsi nella Campania dalla Puglia fosse succeduto per la così detta oggi montagna di Cerreto, ch’ è un’appendice di Monterbano, e che fiancheggiando il fiumicello Titerno si fosse portato sopra Telese, donde poi pel territorio Calatino fosse passato ai colli Trebulani, e quindi verso il Monte Callicola, Falerno, ecc.” E proprio a voler cercare l’indizio conclusivo, guardiamo la Tabula Peutingeriana, la copia medievale di una mappa dell’Impero romano ove, pur con tutte le logiche approssimazioni di una mappa di 2000 anni fa, (basta vedere dove è collocata Telesia, come puntualmente rilevato da Claudio Conte), i 3 percorsi indicati da Polibio tra la Daunia e Capua, sono chiari. Vediamo il secondo: è l’unico percorso che passa nelle strette gole di un monte chiamato Eribano, costeggia un fiume in cui si immette il Turio/Turno, e passa per un Castrum Hannibal, collocato proprio accanto ad un fiume, una sorta di Volturno-Calore unificati.
Il percorso parte dal Tempio di Ercole, tra Bojano e Sepino, da non identificare assolutamente con la Saepinum Romana, ma con la Saipins sannitica che stava sul versante Sud-est di Monte Moschiaturo, e attraversava le nostre zone. Per me tutti gli indizi portano ad identificare il Titerno col Fiume Aturno, e la zona ove Annibale pose il suo accampamento con la zona di Marafi di Faicchio, proprio dove è rimasta solo una piccola traccia del ponte Romano lungo la via Latina: Ponte Iaco. Per chiudere, penso proprio che l’episodio legato al nome di “Ponte di Annibale” sia proprio questo dovuto al passaggio dall’Apulia a Capua di Annibale, lungo il Titerno…pardon, l’Aturnum, e non quello legato alla venuta del generale Annone a Cominium, nel 212 a.C., quando era accampato a Benevento. (Livio- Ab Urbe ConditaXXV, 13-14). Quella è stata un’altra storia. Sempre legata alle nostre zone, ma è un’altra storia.
Lorenzo Morone
Nella Foto: Il Ponte di Annibale sul Titerno- Cerreto Sannita
E’ opportuno ribadire che quando si parla di Ponte di Annibale, non ci si
riferisce certamente né alle competenze di costruttore del generale
cartaginese, né al passaggio “sul ponte”, realizzato dopo, ma semplicemente al
“passaggio” di Annibale con i suoi elefanti, lungo il fiume, cosa possibilissima
visto che aveva valicato addirittura le Alpi!