“Io credo che i Sanniti fossero un popolo molto legato alla natura e a mondi spirituali, a spiriti naturali che venivano intuiti e che si diceva reggessero il Cosmo. Questa visione spirituale proveniva anche dalla vicinanza dei Sanniti alla natura, e quindi ai culti misterici”. (Nicola Mastronardi)
Anche se la tradizione vuole che il giorno più corto dell’anno nel nostro emisfero sia il 13 dicembre (da cui “Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia”), il giorno in cui possiamo beneficiare meno della luce del sole corrisponde al solstizio d’inverno, convenzionalmente fissato il 21 dicembre.
Il solstizio d’inverno segna anche l’inizio della stagione fredda, dell’inverno appunto, e rappresenta anche l’inizio della risalita del sole il quale, da lì in avanti, ci regalerà ogni giorno un po’ più luce. In realtà per avere un po’ più di luce dovremmo attendere il 25, il giorno non a caso prescelto dalla Chiesa per simboleggiare la nascita di Gesù, il “nuovo sole” che scende sulla Terra.
Per questo, sin dalla preistoria, in tutto il mondo e in tutte le epoche, sono state realizzate opere orientate verso il punto in cui sorge il sole in questo particolare giorno.
Questo significativo fenomeno astronomico non poteva passare inosservato in Egitto, ove la maggior parte dei monumenti sono stati progettati per celebrare gli eventi celesti, in particolar modo l’alba sugli equinozi e sui solstizi.
In Egitto il solstizio segnava il momento in cui iniziava la stagione della semina, dopo che le acque del Nilo si erano ritirate a seguito dell’inondazione annuale, e rappresentava dunque il concetto di rinascita. Quindi è facile pensare che gli antichi astronomi ed architetti facessero costruire i loro templi in modo tale che il sole nascente del solstizio d’inverno ne percorresse l’asse principale.
Proprio come accade due volte l’anno per il “miracolo del sole” nel celebre tempio di Abu Simbel – dove centinaia di persone si accalcano all’ingresso del tempio maggiore per vedere il bacio del sole sulla statua di Ramesse II. Questi fenomeni legati agli allineamenti solari non sono altro che spettacolari testimonianze delle profonde conoscenze astronomiche, nonché costruttive, degli antichi Egizi. Solo loro? Le popolazioni antiche erano perfettamente consapevoli del movimento del sole (e degli astri) e del suo movimento virtuale intorno alla Terra. Anche i popoli che abitarono l’Italia arcaica erano affascinati da tutto ciò che è legato al cielo: stelle, tempo atmosferico e strani fenomeni celesti, sia per motivi pratici, sia per motivi connessi alle credenze religiose. Se i naviganti, si orientavano per mare osservando le stelle, gli agricoltori le usavano per decidere il periodo in cui seminare. Esistevano quindi dei sistemi di pensiero che mettevano i corpi celesti in correlazione con oggetti, eventi e cicli di attività del mondo terrestre e anche di quello soprannaturale.
Non sfuggirono a questa regola i Sanniti, per i quali era fondamentale ottenere dalla terra abbondanza di raccolti per loro e pascoli per gli animali che allevavano.
“Leggi o Sannita il sacro avviso su questa tavola di bronzo inciso…” così pressappoco inizia il testo scritto in lingua Osca, sulla tavola di Agnone, testo che continua elencando le divinità protettrici della semina: il Dio Vezkei, che “sceglie” il miglior seme, il Dio Evclui che lo protegge da ogni elemento ostile, la Dea Fluusai Kerriiaiche (Flora di Cerere), che protegge i germogli e così via. E per ottenere questi “favori” erano indispensabili dei sacrifici che, con una particolare cerimonia, venivano effettuati sull’ara posta all’esterno del Tempio.
Ecco allora spiegato l’allineamento tra Simulacro della divinità posta all’interno della cella, vano di accesso ed ara esterna: il dio, temporaneamente presente nel simulacro, doveva avere la possibilità di osservare la cerimonia del sacrificio guardando, attraverso la porta, verso l’esterno e verso l’ara: lo sguardo del simulacro va in una sola direzione, come accade(va) nel nostro santuario italico della Madonna della Libera. Ma se il Tempio Cerretese ci porta in una direzione, basta allontanarsi un po’, senza andare molto lontano, per trovare una sorta di “bussola solare” che non ha lo stesso nome famoso di Karnak, lo stesso fascino del tempio dedicato alla regina di Hatsheput, lo stesso mistero di Qasr Qaroun Fayoum, ma è ugualmente…misteriosamente attendibile. Un grosso podio 40 x 40 in pietra calcarea solcato da due ampi e profondi canali fatti a mano. Solo dal buio, infatti, si può scorgere la luce. Ai suoi piedi non manca la solita sorgente per “fortuna” nascosta ai più.
Sembra proprio che i sanniti, troppo disprezzati dai romani perchè troppo temuti, la abbiano realizzata qui vicino, anzi: qui sopra. Un’opera che definirei “ciclopica” e che, come sembra, i Sanniti utilizzavano e rispettavano. Noi…semplicemente la ignoriamo. Proprio come i Romani. “Tamquam non esset” ordinò Silla. Volevano farci sparire dalla memoria, i Romani, che predicando bene ma razzolando male, non hanno mai ammesso che le loro Saturnalia, coincidenti col solstizio d’inverno, le hanno copiate dagli odiati nemici che osarono sfidarli ed umiliarli tra le loro gole selvagge. “Si dia inizio alle danze” ordinava il loro furbo sacerdote, il pontifex maximus, quando il sole, il 21 dicembre, si allineava alla loro struttura. E la festa aveva inizio. E le giornate cominciavano ad allungarsi. Proprio come potrebbe essere accaduto sui nostri monti. Ma noi, se siamo discendenti dai sanniti, certe cose non possiamo ignorarle, certe emergenze sicuramente artificiali, fatte cioè dall’uomo nella notte dei tempi, dobbiamo studiarle, capirle, valorizzarle, altrimenti ci condanneremo da soli alla “damnatio memoriae”.
Buon Natale a tutti.
Renzo Morone