Paolo Rumiz e compagni intrapresero un lungo viaggio a piedi con l’idea di tracciare finalmente il percorso integrale della

madre di tutte le vie, dimenticata in secoli di dilapidazione, incuria e ignoranza: l’Appia.

Hanno raccontato un’avventura che definiscono “magnifica e terribile, terrena e visionaria, vissuta attraverso meraviglie ma anche devastazioni, sbattendo talvolta il naso contro l’indifferenza di un Paese cinico e prono ai poteri forti, ma capace di grandi slanci ospitali e di straordinari atti di resistenza “partigiana” contro lo sfacelo”.

È compito di ciascuno di noi, come cittadini, – spiegano – restituire alla Res Publica questo bene scandalosamente abbandonato, ma ancora capace – dopo ventitré secoli – di riconnettere il Sud al resto del Paese e di indicare all’Italia il suo ruolo mediterraneo. Voi meridionali avete due doti che noi gonzi del nord non abbiamo: saper raccontare la storia e saper convivere con le tracce del passato.”  Il giornalista-scrittore di Trieste, lo disse chiaro e tondo a Benevento, all’inaugurazione della mostra  “Appia regina Viarum”. Confesso che aver ascoltato Paolo Rumiz fu per me una autentica folgorazione. Un invito a raccogliere pensieri, parole ed opere che avevo messo insieme in tanti anni di Caccia al tesoro lungo le Gole del Titerno, da Faicchio a Pietraroja…e oltre. Se si lamenta Paolo Rumiz per l’abbandono della Via Appia Antica, pensai, cosa dovrei dire io per il sentiero che taglia il Matese collegando la Pianura Campana a quella Dauna? Sarà pure stato dimenticato da tutti, dissi tra me e me, ma se l’Appia è la “Regina di tutte le vie”, qui abbiamo la Nonna. Una nonna che ne ha viste di battaglie! Una nonna nata qualche secolo prima di Cristo. Ma non perché lo dico io: farei ridere pure i polli, a parte gli amici “etiam si finctis”, come scrisse Matteo Egizio sul portone di Casa Carafa. Lo disse, quasi tre secoli fa, un “tal” Pietro Napoli-Signorelli, (1731-1815), uno tra i più attivi esponenti del partito progressista napoletano. Un grande erudito autore di decine di libri, professore emerito nella Reale Università di Bologna, la prima Università del mondo occidentale, riferimento imprescindibile nel panorama della cultura europea.  Fu professore quando l’Università Felsinea promosse lo sviluppo scientifico e tecnologico, il periodo in cui la scienza, sulla strada tracciata da Galileo Galilei, e prima della Rivoluzione Francese, si libera definitivamente delle verità incrollabili tanto più “vere” quanto più è famoso il propugnatore: se lo dico lui, è vero! Così, leggendo qualche passo della sua monumentale opera “Vicende della coltura nelle due Sicilie”,  ho scoperto: “…prima però di questa via (Appia) nel 321 a.C., in cui avvenne il fatto tra Romani e Sanniti nelle Forche Caudine, esisteva la Via che è dalla Calazia Campana per Furclas Caudinas, menava a Luceria, ed era, a dir di Livio, assai breve, e questa non apparteneva né alla Latina, né all’Appia formate da poi”. Chiaro, vero? Però meglio toccare con mano.

Così, spinto da rigore scientifico,  ho preso una cartina ed ho tracciato una retta tra Caiatia e  Luceria e, ragionando maccheronicamente, ho detto: Ok. 2350 anni fa non potevano realizzare viadotti e gallerie, per cui la strada più breve tra questi due punti non è una retta, ma quel tracciato che più si avvicina alla retta! Lungo questo tracciato, che è l’antichissimo sentiero che da Caiatia conduceva a Luceria, senza appartenere né alla Via Appia né alla Via Latina, secondo Signorelli c’è il luogo dove è avvenuto l’episodio delle Furclas Caudinas. “Ciò è certo, conferma un altro strorico: il Trutta, quanto è incerto il sito di esse Forche e della città di Caudio, onde presero il nome…”.  Avesse avuto Signorelli una pagina su Fb, una richiesta di amicizia la avrei chiesta subito, senza tentennamenti.

Se qualcuno vuole perdere un po’ di tempo, prenda una mappa e faccia come me. Ma attenzione alle sorprese: potrebbe cominciare a dubitare di certe verità “autentiche” come un Rolex venduto dai cinesi. Verità che non propongo io….dubbi ed interrogativi si! Certo, però, una considerazione va fatta: i tedeschi, e Mommsen lo era, hanno il grande pregio di aver scandagliato l’Italia antica, e quindi di conoscerla meglio di noi. Ma hanno anche un grande difetto: non amano leggere gli storici italiani che guardano dall’alto in basso. “qualunque cosa abbia scritto il dotto erudito Signorelli, sembra aver pensato Mommsen, poco importa. Per me la via che i romani, di stanza  a Caiazia, dovevano percorrere per andare a Luceria era una sola: la Via Appia.”.  Anche se in netta antitesi con quanto asserito da Tito Livio “Duae ad Luceriam ferebant viae”; anche se gli scavi alla ricerca di Caudium hanno fatto sostenere all’archeologo Giampiero Galasso : “dai ritrovamenti emerge che già nella seconda metà del III secolo a. C. Caudium era scomparsa… e già prima della battaglia universalmente nota come quella delle Forche caudine, sul territorio non c’era più nessuno, a meno che la famosa battaglia non sia avvenuta in un altro posto”(Il Sannio 02/12/2016); anche se, pur di rendere “brevior” il percorso per Forchia, è un errore inconcepibile confondere Caiatia scelta dai romani per costruirvi l’accampamento,  ubicata lungo il fiume Volturno, la cui acqua era fonte di vita per la sopravvivenza di uomini e animali al seguito (Flavio Russo-Indagine sulle Forche Caudine), con la Calatia ubicata  lungo l’assetata via Appia; anche se, nel 321 a.C., la Via ancora non c’era!(i lavori di costruzione del tratto da Roma a Capua iniziarono nel 312 a.C., quelli per raggiungere Benevento solo nel 268 a.C., e così via fino al Mare Superum, il mare Adriatico). Concludo con un ragionamento semplice semplice: se lungo il tratturo che attraversa le gole del Titerno c’era e c’è  il ponte ad arco più antico (e bello!) che io conosca; se, appena “romanizzato” il Sannio, i Romani decisero di affiancargli i Ponti di Annibale e di Fabio Massimo (le diverse tecniche parlano chiaro!); se è vero che i Romani non usassero fare opere inutili…se tutto questo è vero, il tratturo non poteva che essere un accesso antico strategicamente molto, molto importante attraverso una zona chiamata, non a caso, Vallantico (Vallum Anticum –zona con vecchie fortificazioni); infine, se uno come Signorelli sostenne secoli fa quello che con mezzi più modesti sostengo io… siamo di fronte non ad una certezza, ma ad un altro indizio che metto a disposizione di qualche amico che, come me, si è appassionato alla vicenda storica delle Forche Caudine.

E’ solo un indizio, è chiaro. Però, se Agatha Christie sosteneva che: «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova», qui, da dilettante, di indizi ne ho trovati parecchi. Altrove… E’ così perché l’ha detto lui!.

Lorenzo Morone

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