Castelpetroso: Basilica minore dell'Addolorata

Sembra quasi un volo pindarico trovare analogie tra una chiesa famosa in tutto il mondo, perché ricca di storia, ed una nota solo in ambito locale per un episodio di fede. Ma io che amo percorrere le strade alternative piuttosto che le comode autostrade, a costo di perdermi, ci provo. Perché un legame l’ho trovato: il linguaggio delle pietre con le quali sono state realizzate. Un linguaggio che, di primo acchito, sembra simile: è quello gotico. Ma è proprio così? Proviamo ad interpretarlo, a leggerlo, come chiedeva, opportunamente, ma solo oggi l’ho capito, il docente di Storia dell’arte al Liceo Classico: Don Antonio Barbieri, gelandoci il sangue nelle vene.
L’architettura gotica è quella fase dell’architettura europea caratterizzata da particolari forme strutturali ed espressive (archi a sesto acuto, slancio verticale, archi rampanti, vetrate istoriate), in un periodo compreso fra la metà del XII secolo e il XV secolo. Proprio come Notre Dame, concepita ”in pietra” nel 1163, una chiesa dalla vita così travagliata da farla somigliare a quella di certe “madame” che, dopo tante battaglie, arrivate agli “anta”, iniziano il giro tra chirurghi estetici, truccatori e parrucchieri, (…e pure qualche confessore…ad hoc!) perché le riportino allo stato iniziale!! E’ possibile? Tutti direte : Noooo…. ma a chi vogliono imbrogliare! Eppure, in architettura, c’è chi ci ha provato… e anche oggi ci prova, a mischiare le carte…ed imbrogliare!
Castelpetroso, invece, è una architettura pur essa in pietra, ubicata alle falde del Matese molisano, che si iscrive nel filone del “gotico fiorito”, secondo un revival di moda un paio di secoli fa che, in mancanza di altra fonte di ispirazione, cerca di ridare vita ad uno stile emotivamente accattivante.
Infatti con il “gotico fiorito” si allude alla raffinatezza ed all’eleganza di quello stile caratterizzato dalla tendenza a moltiplicare le nervature che definivano le membrature architettoniche che sorreggevano una volta, fino a creare un arabesco che ha solo valenze decorative e non certo strutturali. Il tutto permeato da una sensazione di leggerezza grazie all’aggiunta di trafori come il quadrilobo, che forma una specie di quadrifoglio.
Uno degli esempi più belli dell’architettura del gotico fiorito è il Palazzo Ducale di Venezia. Lo stile gotico, è bene dirlo subito, era lo stile dei “barbari”, «dei Goti», quindi sinonimo di germanico, tedesco, sostanzialmente anticlassico, ben lontano dal gusto italiano legato alle proporzione, alla “classicità”. Infatti da noi ebbe uno sviluppo ”annacquato” e, lentamente, si tornò all’equilibrio delle forme con il Rinascimento. Era la fine del Medioevo, inteso come età di mezzo (media aetas) tra l’antichità e la sua ripresa cosciente e scientifica.
Dopo qualche secolo, però, il medioevo, soprattutto oltr’Alpe, ricomincia a essere apprezzato e studiato con un vero revival, non privo di valenze politiche in chiave nazionalistica. Il fenomeno scatenante partì dalla Francia con l’intensa politica di restauro dei siti medievali, distrutti o danneggiati durante la Rivoluzione, con vaste ricostruzioni architettoniche. Eugène Viollet le Duc è autore, a partire dal 1835, di un restyling del patrimonio della nazione: rimodella, integra, addirittura completa cantieri interrotti cercando di interpretare l’idea dei progettisti originari sulla base delle fonti; talora produce veri e propri falsi seguendo un concetto di restauro interpretativo che deve restituire la “forma perfetta”: da Notre Dame a Saint-Denis (sepoltura dei sovrani francesi), fino alle cittadelle di Avignone e di Carcassonne, tappa fissa per i turisti che attraversano i Pirenei per andare a Barcellona. Ne deriva un gusto neomedievale che condiziona anche le realizzazioni ex novo così false da sembrare…autentiche. Proprio come certe borse e/o certi orologi di marca made in Cina.
Anche l’Italia ebbe il suo neogotico, vissuto però in modo sostanzialmente diverso, dato il ruolo passivo che la zona aveva avuto nell’assunzione dei prototipi architettonici medievali tra XII e XIV secolo. Anche qui pesano fortemente le istanze politiche (il recupero dell’orgoglio civico in funzione autonomistica locale, poi le diatribe tra nuovo stato unitario e Chiesa), il desiderio di recupero pseudofilologico della tradizione (abbattere le aggiunte di epoca moderna ai complessi medievali diverrà quasi un obbligo), e le necessità di completamento di alcuni edifici, cui si aggiunge la volontà di seguire quella che in Europa è divenuta una vera e propria moda. Ed è in Piemonte, terra di confine, quasi una enclave francese in Italia, che si ha uno dei primi esempi di architettura neomedievale italiana: il castello di Pollenzo, sintomatico della particolare visione romantica del committente, il re Carlo Alberto. La cosa grave non fu, secondo me, una riedificazione “in stile”, ma la completa distruzione della maggior parte del borgo di epoca medievale, degli insediamenti rurali e difensivi trecenteschi, nonchè del castello. Tutto nel nome della celebrazione di un ricreato medioevo. E se in Piemonte furono i legami con la Francia della dinastia sabauda a spingere verso una costruzione “alla moda” che mischia forme stilistiche eterogenee, in Molise fu l’apparizione della Madonna alle pastorelle Serafina e Bibiana a spingere per una chiesa “adeguata” ai tempi: il Santuario di Castelpetroso meta di un turismo religioso che, spesso e volentieri, crede “per fede” sia alla apparizione della Madonna, sia all’essenza gotica della chiesa, realizzata secondo i dettami di “una architettura, tutta in pietra, che si iscrive nel filone del gotico fiorito”. Una chiesa che personalmente apprezzo di più perché non ha creato alcun danno, non ha aggiunto alcun “falso d’autore” a strutture preesistenti, come avvenuto per Notre Dame.
La prima pietra del Santuario fu posata nel 1890 e la costruzione procedette a rilento a causa di problemi economici tanto che solo nel 1975 fu possibile completarla. Il Molise non è la Francia ove Macron, in un attimo, ha raccolto tanti tanti Euro a dimostrazione della grande attualità del libro di Cesare Marchi: Grandi peccatori. Grandi Cattedrali.

CONCLUSIONI
Anche se non amo particolarmente Viollet le Duc, ri-costruttore di un gotico…ideale, come a Carcassonne e Notre Dame, è chiaro che il francese ha avuto comunque grandi meriti e che non è colpa sua se oggi, in tanti, seguono le sue teorie vecchie di due secoli ma sempre…populistiche: dove era e come (forse) era!!.
Se giustificabilissima è l’attenzione che tanti fedeli hanno verso una struttura emotivamente coinvolgente quale è Castelpetroso, realizzato, in fondo, secondo la moda del tempo e senza interventi falsi su strutture preesistenti, l’ignoranza culturale circolata sulle TV nostrane sul valore artistico (non simbolico e/o storico, per carità! Quelli sono alti!) di Notre Dame è da brividi, e fa capire perchè le scuole portano in gita i ragazzi a vedere S. Marino (la versione italiana di Carcassonne) piuttosto che Gubbio e/o i tanti borghi “autentici” che costellano l’Italia, anche vicino a noi! “La forza della immaginazione ignorante e della demagogia può questo ed altro, ma noi rimaniamo, nonostante tutto, il paese al mondo con il maggiore patrimonio artistico storico e dei danni alle opere posticce e di valore nullo di Notre Dame non ce ne può fregar di meno.” Caro Sgarbi, cerca di far capire questi tuoi semplici concetti al sindaco di Pesaro Matteo Ricci che, nella gara a chi per primo occupa FB per sparare le proprie caxxate, ha annunciato una tempestiva raccolta fondi per “ricostruire (grande!!!) uno dei monumenti più importanti del mondo”. Non sono Totò, e non so fare le pernacchie, ma oso chiedergli: da buon Marchigiano, ha mai visitato la vicina basilica di San Nicola da Tolentino, un capolavoro assoluto ancora in attesa di fondi per completare la riparazione di tutti i danni del sisma del 2016?. Penso di no, altrimenti avresti capito quale è la differenza tra originale e patacca scenograficamente costruita, e avresti raccolto dei fondi per il “restauro” di uno dei tanti insigni Capolavori (con la C maiuscola, decisamente!) danneggiati dai sismi. Ma forse pure leggere quanto scritto dal collega molisano Agapito Gabriele può illuminarlo: “… il danno arrecato dall’incendio è enorme, ma è un danno più ingegneristico che artistico. Parliamoci chiaro: è andata distrutta una parte del tetto, ma sono andate in fumo solo delle architravature in legno, nemmeno originali. E’ andato distrutto il pinnacolo in legno, ma anch’esso niente di che in quanto realizzato nella seconda metà del 1800. Molti di quelli che hanno salutato con piacere il fatto che si sono salvate le vetrate “policrome”, forse non sanno che si tratta solo di realizzazioni della seconda metà dell’800, falsi…d’autore, come gli affreschi, voluti da Viollet le Duc che apportò pesanti variazioni anche nell’architettura delle facciate “perché penso che così doveva essere….!”.
Per me, sotto l’aspetto STRETTAMENTE storico ed artistico, i danni subiti non sono paragonabili nemmeno lontanamente a quelli subiti dalla Cattedrale di Assisi o dalle splendide chiese e pievi Abruzzesi. Il passato si può far rivivere senza “scopiazzature e completamenti”, ma semplicemente citandolo, così come si cita una frase dotta all’interno di un discorso. Perché se fai una citazione di Dante, sei colto e diffondi cultura, se ti metti a parlare invece con la sua lingua….sei un matto! Questa è la lezione che, in fondo, ci diede Palladio cinque secoli fa! Lui citò Roma nelle sue Ville Venete, dando ad archi e colonne nuova vita e nuovo spazio (mamma mia che emozione entrare nel Teatro olimpico!). Non altrettanto si può dire dei suoi imitatori…tipo i progettisti della Casa Bianca! E come fanno i tanti Viollet le Duc che ancora imperversano con i restauri “stilistici”: si può ingannare col qualunquistico strappa applausi…e voti “dove era e come era!”, non con la lingua parlata. Soprattutto dalle pietre.
Renzo Morone

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