Se a Cerreto, tranne l’orgoglio, resta poco nella memoria collettiva delle capacità degli antichi abitanti di industriarsi e creare attività produttive che davano benessere economico a tutti, almeno, però, resta traccia scritta di quell’esemplare periodo storico nei mirabili saggi di Domenico Franco. L’illustre cerretese è riuscito, con i due testi riportati in bibliografia, con rigore da scienziato qual era e con dovizia di particolari, spulciando tra centinaia di atti notarili e libri dell’epoca, a fissare su carta e a tramandare alle generazioni successive un pezzo importante della storia cerretese con la speranza, si legge chiaramente tra le righe delle sue opere, che possa essere da esempio per quelli a venire.
Per quanto riguarda Guardia Sanframondi è accaduto, al contrario, qualcosa di straordinario. Non è reperibile, a quanto si sa, un solo testo scritto, un manoscritto, un piccolo saggio (se si eccettua un recentissimo articolo di Silvio Falato su Vesuvioweb) che tratti organicamente, documenti e numeri alla mano, delle vicende dei conciatori di pelli che, tra il ‘500 e il ‘700, operarono in quel paese. La cui storia, per ricchezza raggiunta, per numero di persone impegnate, per le opere realizzate e per come quel tipo di economia fece primeggiare il paese, è molto simile alla storia delle industrie dei panni lana di Cerreto.
Purtroppo però, nel caso di Guardia, si reperiscono solo notizie sparse qua e là, tramandate perlopiù a memoria.
Cerchiamo di saperne qualcosa in più nonostante le scarse informazioni raccolte.
E’ certo che nel XV secolo una delle tante comunità di ebrei in giro per il mondo, provenienti nessuno sa da dove, si stanziò a Guardia Sanframondi. Furono fatti sistemare al di fuori delle mura del paese, nella zona ancora detta Portella (uno dei quattro rioni di Guardia) che era uno dei luoghi di accesso al Castello. Gli operosi giudei in breve tempo si organizzarono e svilupparono anche a Guardia una delle attività in cui erano particolarmente specializzati, quella della concia delle pelli.
Il processo di concia del pellame è una lavorazione antica come l’uomo che per secoli non ha cambiato, sostanzialmente, i suoi processi lavorativi.
Il fine è quella di rendere immarcescibile la pelle organica per poterla utilizzare come indumento.
Dopo aver scuoiato l’animale, la pelle andava “scarnata”, gli andava tolto cioè il residuo di grasso e carne che restavano attaccati. Bisognava, poi, bloccare i processi putrefattivi tramite la salatura e l’essiccamento per conservarla il tempo necessario per poterla avviare ai processi di conciatura vera e propria.
Prima dell’era industriale la lavorazione avveniva, in una prima fase, in grosse vasche piene d’acqua e calce che determinavano la perdita dei peli. Dopo queste operazioni la pelle, che restava ancora deperibile, andava trattata con la “concia” propriamente detta sfruttando le proprietà dei tannini del legno. Questa fase era quella che portava alla definitiva trasformazione della pelle in cuoio.
I pezzi di cuoio, poi, potevano essere sottoposti alla “tintura” o tenuti al naturale, ma comunque venivano “ingrassati” per essere finalmente pronti per l’utilizzo.
Ci racconta Silvio Falato che i prodotti della scarnatura venivano utilizzati a scopo alimentare e distribuiti in beneficenza ai più poveri mentre i peli, residui della fase di “depilazione”, venivano adoperati per svariati usi tra cui imbottire cuscini e coperte o indumenti invernali.
Il numero di pecore allevate dai guardiesi all’epoca è sconosciuto ma si parla di parecchie migliaia e come nel caso di Cerreto è immaginabile che gran parte della popolazione sia stata impegnata, attraverso le varie lavorazioni, in quella attività. Dall’allevamento degli animali alla concia, dalla tintura delle pelli al loro commercio. E, con ogni probabilità, non mancavano capaci artigiani che utilizzavano le “suole” per la creazione di calzature. Non risulta, invece, riscontro dell’uso in loco del pellame per il confezionamento di abbigliamento.
L’attività commerciale divenne ragguardevole e si ampliò travalicando i confini del Regno fino a raggiungere destinazioni internazionali, come alcuni non precisati paesi dell’Oriente asiatico.
In quei secoli il paese veniva identificato con la produzione di pelli tanto da essere conosciuto, in particolare nelle zone dei mercati pugliesi e nei paesi orientali dove esportavano i loro prodotti, come “Guardia delle sòle”.
Pare anche che in quel periodo l’agricoltura, attuale motore dell’economia guardiese, sia stata quasi completamente abbandonata a favore della redditizia attività industriale e commerciale.
E’ stato riportato che nel paese erano attive circa 120 (qualcuno parla di 136) industrie di conciatori di pelli, un numero davvero notevole. Per avere idea del benessere raggiunto, basti pensare che i Conciatori di Pelli, che nel frattempo si erano costituiti in Corporazione, fondarono una propria Banca con lo scopo di sostenere economicamente i loro affiliati, ed istituirono un Monte di Pietà a favore dei meno abbienti.
Altra evidente dimostrazione di ricchezza e autonomia fu la costruzione, con i soldi della Corporazione, di una “loro” chiesa, quella di San Sebastiano. Fatta costruire una prima volta nel ‘600 su di una cappella preesistente, e ricostruita una seconda volta sempre con i loro soldi, ancora più fastosa, nel ‘700 dopo il terremoto del 1688.
Nella ricostruzione del XVIII secolo i potenti e ricchi conciatori chiamarono, ad impreziosire con i suoi affreschi la volta della chiesa di San Sebastiano, tra gli altri, anche il valente pittore cilentano Paolo De Matteis, i cui dipinti si trovano a Napoli, Roma Parigi e Madrid, allievo del noto Luca Giordano considerato, quest’ultimo, un protagonista dell’arte barocca europea nonché uno degli artisti più prolifici.
La diffusa agiatezza economica portò nel paese, oltre ad ottimi pittori, anche i migliori stuccatori e maestri argentieri voluti per abbellire le chiese guardiesi. Molte, pregevoli e preziose lavorazioni, tra cui un busto di San Sebastiano in argento alto 1 metro e 30 opera dello stesso De Matteis, che fecero parte per breve tempo dello sfortunato (le opere furono tutte rubate) “Museo degli Argenti” di Guardia.
Negli anni del 1800, questa prospera attività andò man mano a decadere fino ad estinguersi. Non sono documentati i motivi ma si possono immaginare: i nuovi macchinari propriamente industriali che sostituirono le lavorazioni artigianali (seppur riferite nel nostro caso ad un artigianato evoluto, quasi industriale), la richiesta da parte del mercato di nuovi materiali e la concorrenza di altri distretti più organizzati.
Dopodiché, come dicevamo, di quel florido periodo, di quei secoli di splendore e agiatezza, è come se fossero rimasti solo dei frammentari ricordi.
Sarà stato per la loro origine ebraica, (anche se con il tempo il gruppo di profughi si convertì al cristianesimo), o forse perché non gli è stato mai perdonato l’aver raggiunto una insopportabile autonomia culturale ed economica, ma, verso la Corporazione dei Conciatori di pelli di Guardia, si è consumata una sorta di “damnatio memoriae”.
Una condanna della memoria che ha portato alla dispersione o, addirittura, alla cancellazione di molte tracce della loro laboriosa esistenza.
Antonello Santagata


Bibliografia:
Domenico Franco – L’industria dei panni lana nella Vecchia e Nuova Cerreto- Benevento 1965
Domenico Franco – La pastorizia ed il commercio della lana nella antica e nuova Cerreto- Benevento 1966
Silvio Falato- La comunità degli ebrei a Guardia- Vesuvioweb.com 2019

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