Se nel 1951 la provincia di Benevento contava 333.200 abitanti (il massimo storico), nel 2011 (ultimo censimento) è arrivata a 284.900 e al 31 dicembre del 2017 si è ridotta a 279.100.
Il comune con più abitanti, dopo Benevento che ne conta poco meno di 60.000 (59.789 per la precisione), è Montesarchio con 13.500 seguito da altri due che superano i 10.000 abitanti: San Agata dei Goti con 11.150, da San Giorgio del Sannio con 10.064. Dopodiché c’è Airola con 8.390, Telese Terme con 7.700 e Apice con 5.578, nessun altro paese supera i 5.000 abitanti.
Quello più piccolo è Ginestra degli Schiavoni con 476 abitanti superato da Pietraroja con 545 a sua volta superato da S. Arcangelo Trimonte con 573 abitanti, poi c’è Sassinoro con 615, Arpaise 760, S. Lupo 783, Castelfranco in Miscano con 864, Santa Croce del Sannio con 897 e San Nazzaro con 906 abitanti. In tutto 9 paesi che contano meno di mille persone.
Vi sono, inoltre, 21 paesi con abitanti compresi tra mille e duemila, da Campolattaro con 1.033 a Pesco Sannita con 1.945.
22 comuni tra 2.000 e 3.000 da Cautano 2.017 (con Bucciano a 2.098) a San Giorgio la Molara 2.952 (con Dugenta a 2.929).
11 paesi fra tre e quattromila. Da Paduli con 3.881 (con Cerreto Sannita a 3.852 e Solopaca a 3.778) a Pietrelcina con 3.094 (con San Leucio del Sannio a 3.096).
Ed, infine, otto paesi con abitanti compresi fra i 4.000 e i 5.000. Guardia Sanframondi 4.920, Morcone 4.897, San Bartolomeo in Galdo 4.743, Sant’Angelo a Cupolo 4.300, Moiano 4.099, Limatola 4.095, San Salvatore Telesino 4.075 e Cusano Mutri con 4.028.
Per un totale di 78 comuni.
Il paese più alto è Montefalcone V.F. con 830 m/slm seguito da Pietraroja situato a 818 m/slm. Il più basso è Limatola con 48 m/slm che sta appena sotto Dugenta e Telese T. situati a 55 m/slm.
Dopo il capoluogo (130 Km2), il comune più esteso è Morcone con 101 Km2 mentre quello con minore estensione è San Nazzaro con soli due Km2.
La più alta densità abitativa è a Telese Terme con 770 abitanti/Km2, quella più bassa è a Pietraroja con 15 abitanti/Km2.
Il paese più caldo risulta essere Limatola seguito da Amorosi, Telese, Dugenta e Puglianello. Il più freddo Montefalcone V.F. insieme a Pietraroja, Castelfranco in Miscano e Colle Sannita.
Nel 2018 la distribuzione per età dei circa 280.000 residenti era dell’17,4 % nella fascia 0-20 anni, del 24,3% in quella 20-40; del 29,7% in quella 40-60 anni e del 28,7% oltre i 60 anni con 79 ultracentenari (61 femmine e 18 maschi). Quindi poco più del 40% di giovani e poco meno del 60% di adulti- anziani.
Il saldo naturale (rapporto nascite/morti) nel quinquennio 2011-2015 è stato, in media, negativo di oltre 1100 unità per anno. La media annuale, nello stesso quinquennio, di immigrati all’estero è di 322 persone. Complessivamente circa 1.400 persone all’anno in meno in tutta la provincia.
La popolazione straniera nel 2016 nella provincia era di 7.500 unità (con maggiori presenze a Benevento, Montesarchio, S. Agata dei Goti e San Giorgio del Sannio) di cui il 36,7 provenienti dalla Romania, il 16% dall’Ucraina e il 9,2% dal Marocco con un 2,6% di indiani e un 2% di cinesi.
Detto questo, ci si chiede: è possibile che paesi così piccoli non abbiano mai pensato di unirsi con un altro vicino e affine per avere più forza, per risparmiare di più oltre che per ottenere gli incentivi economici previsti dall’attuale normativa?
Negli anni dal 2009 al 2018 ci sono state in Italia 147 fusioni tra due o più comuni di cui una sola nel Sud Italia (Montoro Superiore e Montoro Inferiore in provincia di Avellino nel 2013) tutte le altre nel Centro-Nord, facendo passare il numero dei comuni da 8.101 a 7.954. Nel 2019 sono state, sinora, approvate altre 23 fusioni (di cui una sola interessa la Puglia) con la soppressione di ulteriori comuni che porterà il loro numero complessivo a 7.925.
Perché al Nord lo fanno e al Sud no? Sono forse meno legati al campanile oppure, a differenza nostra, non hanno paura di perdere la loro identità?
Eppure gli incentivi economici sono notevoli: contributi statali straordinari per i successivi 10 anni, contributi regionali obbligatori (si parla, complessivamente, di cifre che possono arrivare fino a un paio di milioni di euro all’anno per 10 anni consecutivi). È previsto, inoltre, l’allentamento del cosiddetto Patto di stabilità che impedisce ai comuni di indebitarsi. Altri vantaggi sarebbero le minori spese per le strutture e i minori costi per i servizi (e quindi meno tasse per i cittadini) oltre ad avere la possibilità di istituirne di nuovi. La possibilità di realizzare le necessarie opere pubbliche o di manutenere quelle esistenti. Senza parlare del maggior “peso istituzionale” del nuovo, più grande comune.
Gli inconvenienti sono rappresentati soprattutto, se non unicamente, dal timore di perdere la propria specificità e la propria cultura, in particolare da parte del comune più piccolo che sembrerebbe inglobato.
A parte che l’attuale normativa contiene, anche, delle misure “anticampanilismo” di partecipazione e di decentramento dei servizi. Queste misure possono essere previste, pensate e scritte in piena autonomia da parte di entrambi nello “statuto” del nuovo comune (come, ad esempio, l’istituzione di uffici nel comune più piccolo per evitare la scomodità della fruizione dei servizi comunali). Comunque nulla vieta ad una comunità di conservare il proprio orgoglio ed il forte sentimento di appartenenza (come accade per le contrade di Siena) pur facendo parte di un’unica città.
Il più grosso ostacolo è che, in verità, il comune più piccolo teme che verrà amministrato da una maggioranza di persone appartenenti al paese più grande, cioè verrà “comandato” dagli “eterni rivali”. Fortunatamente al giorno d’oggi le persone intelligenti e capaci di amministrare non dovrebbero essere scelte, e sicuramente non vengono scelte, dagli elettori a seconda del rione di provenienza.
Oltre agli incentivi economici contemplati dalla normativa, il percorso di aggregazione è stato facilitato anche dall’ultima revisione della Costituzione del 2001, che all’articolo 133 dice: “la Regione, sentite le popolazioni interessate, può con sue leggi istituire nel suo territorio, nuovi comuni”.
Passando, ora, al territorio provinciale viene da farsi la stessa domanda: una Provincia così piccola, il cui scarsissimo peso in Campania è dimostrato, anche, dalla attuale legge elettorale che le consente di avere un solo rappresentante nel Consiglio Regionale (due se va bene) su 50, perché non pensa di unirsi con il vicino e più affine (da un punto di vista storico, geografico ed economico) Molise?
La Città Metropolitana di Napoli conta circa 3.100.000 abitanti, Salerno e provincia oltre 1.100.000, la provincia di Caserta 920.000 e Avellino a provincia con 420.000 abitanti è più grande del Molise stesso. Da sole Giugliano, Torre del Greco e Pozzuoli arrivano a 300.000 abitanti. Salerno città ha da sola, pressappoco, la metà degli abitanti dell’intero Sannio. Con questi numeri, con tutta la buona volontà, quale attenzione può essere riservata dagli Amministratori Regionali ad un territorio periferico, montano, spopolato e con sempre meno elettori.
Il Molise, da questo punto di vista, ha più o meno gli stessi problemi della provincia di Benevento. Conta 308.493 abitanti sparsi su ben 136 paesi di cui solo 4 superano i 10.000 abitanti (compresi Campobasso ed Isernia). Una neo-regione così costituita dunque, arriverebbe a 587.593 abitanti lasciando il fanalino di coda alla Basilicata che ne ha 567.118.
Anche in questo caso il percorso è facilitato dalla recente riforma della Costituzione. L’Art. 132 recita: “Si può, con l’approvazione della maggioranza delle popolazioni della Provincia interessata espressa mediante referendum e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che le Provincie, che ne facciano richiesta, siano staccate da una Regione ed aggregate ad un’altra”
E’ necessario, dunque, un referendum promosso dalla Amministrazione Provinciale il cui costo non sarebbe neanche eccessivo. La spesa calcolata nell’unico precedente in Italia di questo tipo di referendum (la provincia di Verbania-Chiuso-Ossola che voleva staccarsi dal Piemonte per passare alla Lombardia) è stata di circa 350.000 Euro.
L’altra domanda è: il Molise ci vuole e che vantaggi ne trarrebbe? E perché mai i molisani dovrebbero essere così miopi da rifiutare di diventare più grandi e di maggior peso! I maggiori fondi, anche solo quelli dovuti alla maggiore popolazione, che arriverebbero alla nuova Regione (nazionali ed europei) verrebbero investiti in una zona che ha la stessa economia, le stesse criticità di sviluppo, le stesse caratteristiche territoriali. Un territorio di campagne, montagne e piccoli paesi, non di grosse e “problematiche” città e di una lunghissima ancorchè attrattiva fascia costiera.
Rispetto al passato, da Togo Bozzi in poi, quando pochi “visionari” o di “illuminati” hanno pensato al Molisannio, molte cose sono cambiate. La riforma della Costituzione, come detto, l’Unione Europea e i suoi fondi, ed, infine, l’istituzione del Parco Nazionale del Matese che già comprende vari comuni sanniti.
Due territori con interessi comuni, paesaggi comuni, Storia comune, con le stesse aspirazioni di sviluppo e con gli stessi problemi, che uniti avrebbero maggiori possibilità di affrontare meglio.
Antonello Santagata
Fonte dati: Tuttitalia.it- dati ISTAT 2016-2017-2018