Ha inizio in epoca longobarda la storia di San Lupo, quando, già nell’837, quelle terre erano possedimento dell’abbazia beneventana dei Santi Lupolo e Zosimo. Con i secoli l’abbazia fu dedicata, chissà, come ad un altro Santo, a San Lupo di Troyes, ed il paese, nel XIII secolo, prende definitivamente il nome attuale.

Nello stemma civico, naturalmente, è riportato un lupo, simbolo del condottiero coraggioso, che sovrasta tre monti e guarda tre stelle. Le stelle rappresentano la guida sicura e l’aspirazione a cose superiori.

Abbiamo visto che il numero tre è ricorrente nella simbologia araldica (tre monti, tre archi del ponte, tre stelle, tre torri, ecc.) probabilmente perché il 3 è da sempre considerato il numero della perfezione.

Sembra proprio che Pietraroia abbia origini antichissime come villaggio sannita raso al suolo da Silla, insieme agli altri insediamenti sanniti, dopo la Guerra Civile (82-83 a. C.) e rifondato subito dopo dagli stessi telesini, vittime di quei fatti, profughi verso le montagne.

La versione più accreditata sull’origine del nome è quella che lo fa derivare dai marmi rosa presenti nella zona da cui “pietra rosa” e, dunque, Pietraroja. Anche se non tutti sono d’accordo preferendo l’origine dal latino petra ruens, cioè pietra che scorre, in riferimento ad alcune zone franose presenti in loco.

Lo stemma comunale rappresenta un leone rampante, che simboleggia la forza ed il coraggio, che si erge su tre torri, simbolo, come detto, di antica nobiltà.

E’ concordemente accettato dagli storici di datare la nascita di Solopaca alla fine della prima metà del IX secolo quando venne fondato, anch’esso, dai telesini che scappavano dalle incursioni saracene e da un violento terremoto nell’ 848.

Varie invece sono le versioni circa l’origine del nome. La versione che più piace è quella di Don Vincenzino Canelli che parla di “super pagos” cioè villaggio posto in alto rispetto agli altri che giustificherebbe il dialettale “Surrrupaca”, che è anche il nome con la quale era conosciuta nei secoli scorsi. In netto contrasto con l’interpretazione “sub pagus”, villaggio di sotto (alle falde del Taburno). L’ipotesi meno piacevole fa derivare il nome da “sol opacus” cioè poco esposto al sole.

A smentire quest’ultima versione i solopachesi hanno voluto nel loro stemma un sole nascente con volto umano, simbolo di grandezza e chiara fama, che si affaccia fra tre monti ai cui piedi vi è uno specchio d’acqua che di certo richiama il sottostante fiume Calore, ma che nella simbologia fa riferimento al concetto di famiglia.

San Salvatore nacque come Casale dell’abbazia del Santissimo Salvatore, ancora una volta grazie ai telesini profughi dopo il terremoto del 1349 che portò all’abbandono totale dell’antica Telesia. In realtà si spostarono di poche centinaia di metri visto che Telesia si ergeva nel territorio dell’odierna San Salvatore. Afferiva al Casale anche la Rocca dove si andò a costituire un abitato detto di Massa Superiore per distinguerlo da Massa Inferiore, l’attuale Massa di Faicchio.

Quando, nel XVII secolo, con la istituzione della Universitas (la moderna amministrazione comunale) il Casale divenne autonomo dall’abbazia benedettina, conservò il nome che la legava ad essa. L’identificativo Telesino fu aggiunto, con Regio Decreto nel 1862, al fine sia di distinguerlo da altri paesi con lo stesso nome sia per ricordare che lì stava l’antico e noto insediamento di origine sannita.

Infatti nello stemma vi è la classica immagine del Cristo Salvatore, mentre benedice e regge il mondo in una mano, che si eleva dalle mura merlate di una torre di Telesia.

Da quando si ha memoria storica, Telese è sempre esistita. A partire dal IV secolo a.C. ha solo cambiato nome, da Tulisiom a Telesia, da Telesis a Telese, e spostato di poco la collocazione geografica. Ha avuto momenti di splendore assoluto e periodi di completo spopolamento, ma di fatti è il paese che in varie tornate a fondato o ripopolato gran parte dei paesi circostanti. Divenuto comune autonomo nel 1934 (prima era frazione di Solopaca) con il solo nome di Telese, la denominazione Terme viene aggiunta nel 1992 a seguito di un referendum popolare.

Chiaramente nello stemma è rappresentato un fiotto d’acqua zampillante da una collinetta che poggia su di una base verde, colore simbolo dell’abbondanza.

Che il suo nome derivi dalla potente città pentra di Murgantia o, come sostenuto dalla maggioranza degli storici, dal villaggio di Mucrae, che partecipò con i Romani alla seconda guerra contro Annibale, l’origine sannita di Morcone è indubbia. Bisogna attendere, però, l’anno 776 per avere la prima notizia scritta di Morcone (anche se la cosa è ancora oggetto di dibattito tra gli studiosi) quando ospitava il Gastaldo. Per i Longobardi il Gastaldato era più o meno corrispondente al Ducato e se Morcone ne era la sede è ovvio che esisteva già, ed era anche importante, precedentemente a tale data.

Lo stemma civico è l’emblema dell’equilibrio. Vi è disegnato un leone rampante, simbolo di forza, valore e comando, che si arrampica su una rosa, metafora della grazia e della bellezza.

Gli storici locali hanno proposto varie ipotesi circa la genesi del nome Amorosi. Dal classico, ma ritenuto meno probabile, “amne rosus” cioè “fortezza di fiume”, al popolare, ancora più improbabile, “ambo eroso” (eroso da entrambi i lati dai due fiumi) trasformato nel dialettale Amb’rus. Fino alla leggenda di un nobile che, nei tempi antichi, si recava in quei posti per “amoreggiare”. Più plausibile, agli occhi degli studiosi, è invece la supposizione che il toponimo sia dovuto al cognome del proprietario di quelle terre, che doveva chiamarsi Amoroso.

Il paese esisteva nel periodo longobardo, forse già IX secolo, come una estensione di Telesia, commercialmente importante per gli scambi tra gli opposti fiumi Calore e Volturno. Ricordo del periodo longobardo è il culto di San Michele Arcangelo, patrono del paese, molto diffuso tra quel popolo. Il suo nome però compare in un atto scritto solo nel XII secolo, come importante Casale di Telese. Negli anni venne chiamato in vari modi: Amorosis, Amoroso, Amorosa.

Lo stemma raffigura un leone ed una leonessa rampanti che si fronteggiano ergendosi verso un albero sradicato e fiorito. I leoni, come detto, sono simbolo di coraggio e forza ma presentati in coppia diventano un evidente richiamo all’amore e dunque al nome del paese.

Anche Frasso, a cui l’identificativo Telesino fu aggiunto dopo l’unità d’Italia, si vuole sia stato fondato dai telesini dopo la distruzione della città nel 1349, ma del paese si parla in un documento già nel 956, quando il Duca longobardo di Benevento, Pandolfo VI, donò la chiesa frassese del S.S Salvatore al monastero beneventano di San Modesto. E’ probabile quindi che i telesini abbiano ripopolato un nucleo già esistente. Alcuni fanno derivare il nome dal latino “fractum” che significa rotto, alludendo alla localizzazione del paese in una frattura tra due monti. Più plausibile che derivi da “fraxinus”, il nome latino dell’albero di frassino. Nello stemma civico, infatti, è rappresentato quell’albero, su sfondo azzurro, sormontato da una colomba bianca. Il frassino, visto che attorno ad esso non cresce nulla, è simbolo di padronanza assoluta mentre la colomba, in araldica, rappresenta l’amore puro. L’azzurro è il colore della gloria.

Si dice che Puglianello sia stata fondata, come le altre, dai telesini, questa volta profughi a seguito della devastazione della loro città da parte di Silla dopo la Guerra Civile dell’82 a. C. Ed infatti dal nome latino del proprietario di quelle terre, Pullius, alcuni fanno derivare il nome del paese. Puglianello compare per la prima volta in un documento scritto del IX secolo quando viene riportata come Pullianellu.

Frazione per un secolo esatto di San Salvatore Telesino, dal 1848 al 1948 quando divenne comune autonomo.

Lo stemma civico porta nel quadrante superiore otto spade poste a raggiera su campo giallo e nel riquadro inferiore un castello con due torri su sfondo rosso. La spada simboleggia l’origine guerriera mentre il numero otto riporta alla mente l’infinito ma anche l‘equilibrio e la giustizia. Giallo è il colore del benessere. Il castello, oltre ad essere simbolo di antica nobiltà, è un riferimento al Castello Baronale presente nel paese.

Antonello Santagata

Fonti:

I significati della simbologia araldica si trovano nel sito www.portalearaldica.it

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1 commento

  1. penso che dopo i risultati del Pria (Programma Ricerca su gliinsediamenti antichi) pubblicati nel 2004 che hanno diretto le incursioni saracene del IX secolo sulla sola città medioevale ed ha accertato_ che l’abbandona di Telesia data al VII-VIII secolo causa un irreversibili processo di dissoluzione dell’intero tessuto sociale e urbano sia opportuno orientare i lettori e gli appassionati della storia locale su altri temi, quali l’anbbandono come fenomeno di mobilità sociale causato dalla nacessita di usufruire di nuove strutture idonee alle mutate esigenze e dalla presenza del potere politico e religioso nell’metà obbligataagglomerato a ridosso del Grassano fuori dalla vecchia città,meta obbligata per la conservazione della identità cittadina necessaria per delineare la fisionomia urbana del nuovo abitato.La costruzione della città di cui parla la cronaca,in pianura secus primariam,riferisce all’ampliamento nella zona pianeggiante a nord in direzione di Pugliano.Secus è avverbio di luogo e non di tempo,significa contigua alla “primaria” ossia il nucle principale,importante sede di potere.Tulisiom è un toponimo inesistente come la moneta del IV sec.Il nome osco di Telese è Tedis dalla moneta del III sec con la scritta TERIS.Nell’alfabeto osco il suono D e rappresentato graficamente dalla R.Chiedo scusa per l’intromissione .dovete tuttavia convenire l’opportunità di sfatare miti.Le fonti finora Utilizzate,non sono altro che “interpretazioni” dei vari Ciarlanti,Pratilli.Trutta,Cluverio,utilizzate da Vigliotti,Romano,Bove Rossi,Jannacchini,Riccardi ecc.

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