Per almeno 15 secoli Benevento è stata una importante città, una vera e propria capitale e in alcuni periodi anche una capitale rilevante.
Capitale del Sannio Irpino per qualche secolo come Maloesis; importante colonia romana dal 268 a. C. come Beneventum, centro di commerci e snodo verso l’oriente; poi capitale, con il nome attuale, dell’omonimo e potente Ducato Longobardo, dal 570 d. C. al mille inoltrato.
Sembra che oggi, di questo antico splendore, resti poca traccia nella coscienza collettiva dei beneventani, più impregnati, forse, della cultura e della mentalità “isolazionista” del lunghissimo periodo papalino.
Eppure quando Napoli era un piccolo Ducato bizantino (che possedeva solo Amalfi e Sorrento), Benevento era un influente e vasto Ducato (dall’Abbruzzo a Crotone). Quando Napoli viveva di cultura riflessa (per quanto rispettabilissima) quella greco-bizantina, Benevento aveva raggiunto una tale autonomia culturale da creare nuovi modelli, esportati in tutto il meridione, come un particolare tipo di scrittura (quella beneventana), un originale canto liturgico alternativo al canto gregoriano (il canto beneventano appunto) ed una scuola artistica di pittura nota come “scuola di miniatura beneventana” (di cui restano tracce in Santa Sofia, San Vincenzo al Volturno, Montecassino, San Michele sul Gargano).
Eppure la città è uno splendido testimone vivente di quella gloria, dall’Arco di Traiano al Teatro Romano, dalla Rocca dei Rettori alla splendida chiesa di Santa Sofia ed ogni giorno manifesta silenziosa la sua bellezza ad ogni singolo passante il più delle volte distratto ed inconsapevole.
Il prestigio del passato di Benevento, però, non sfuggì ad un grande stratega e cultore di storia come Napoleone Bonaparte che restaurò, nel 1806, il titolo di Principe di Benevento concedendolo ad un vescovo della famiglia Talleyrand.
Fu Zottone, un capo guerriero, nel 570 a fondare il Ducato. Quando scesero nel sud Italia i Longobardi non arrivarono proprio con le intenzioni di conquistatori piuttosto come mercenari al soldo dei bizantini. Trovarono però l’Italia in uno stato di tremenda confusione dopo la dissoluzione dell’impero di Roma e le guerre tra barbari e bizantini.
Di stirpe e lingua germanica, adoratori di Odino e degli dèi del Walhalla, dovevano essere un popolo molto pratico. Non impiegarono molto, infatti, ad adottare il latino (l’editto di Rotari, il compendio delle leggi dei Longobardi, fu scritto, già nel 643, in latino) e la religione cristiana (con il decisivo intervento di San Barbato da Castelvenere, come racconta la leggenda mista alla storia).
Pur se inferiori di numero rispetto ai residenti, (tenendo presente che alcune stime calcolano la popolazione complessiva dell’Italia in circa 4 milioni nel VI-VII secolo, ridottasi a meno della metà rispetto ai tempi dell’Impero Romano a causa di guerre, carestie ed epidemie) fu per loro abbastanza agevole conquistare ed iniziare un duraturo dominio sia dell’Italia centro-meridionale (la cosiddetta Langobardia Minor che comprendeva il Ducato di Benevento e il Ducato di Spoleto) sia del nord dove fondarono il Regno con capitale Pavia.
La scelta di Benevento non fu un caso. La città era già un presidio bizantino molto ben fortificato, inoltre era situata in posizione strategica protetta dai monti tutt’intorno e, soprattutto stava alla confluenza di due grosse vie di comunicazione: la via Traiana che portava a Taranto e la cruciale via Latina.
La conquista non fu indolore. Arrivavano in gruppi di circa duecento persone (dei clan familiari che si comportavano come vere e proprie orde) e portavano morte e devastazione. Prova ne è la distruzione da parte loro di numerose ed importanti sedi vescovili che per anni non ebbero successori. Dopo aver violentemente dimostrato chi fosse il più forte, imponevano ai possidenti locali di cedere un terzo delle loro terre e proprietà alla maniera dei Romani.
Parlavano una lingua di ceppo germanico ora estinta, che, come detto, abbandonarono ben presto in favore del latino e dei volgari neolatini. Di questo idioma sono rimaste molte tracce nell’italiano attuale. Termini come sguattero, stamberga, panca, trappola, guerra, schiena e verbi come russare e scherzare sono di origine longobarda.
Veneravano gli dèi della mitologia nordica il cui capo era Wotan (Odino) con sua moglie Frigg, Thor (dio del tuono e della tempesta), Loki (dio dell’inganno e dell’astuzia) e così via.
A Frigg, “signora degli Dei”, è legata una leggenda circa l’origine del loro nome. In una battaglia in cui essi si trovarono in inferiorità numerica la dea suggerì di schierare nello scontro anche le donne dopo aver girato sul volto i lunghi capelli così da sembrare al nemico uomini dalla “lunga barba”.
Comunque la loro integrazione, anche religiosa, fu molto rapida. La conversione al cristianesimo, almeno nel meridione, si dice sia stata opera di San Barbato. Avvenne nel 648, quando convinse il Duca Romualdo che avrebbe salvato Benevento, assediata da Costante II Imperatore bizantino, invocando la protezione della Vergine in cambio della conversione sua e del suo popolo.
Il miracolo riuscì, Benevento fu salva e i Longobardi adottarono ufficialmente il culto cristiano.
Anche se alcuni conservarono per un po’ di tempo i culti pagani come l’adorazione delle Vipera d’Oro a cui dedicavano dei riti misterici e sfrenati con teste di caproni neri, lungo il fiume Sabato (da cui il nome “sabba”) ai piedi di un grosso albero di noce.
La tipologia dei rituali li fece identificare come culti satanici dove le donne, considerate come streghe o janare, si incontravano, anche carnalmente, con il diavolo. Ancora una volta ci pensò San Barbato che, con un atto di forza, proibì questi culti facendo ardere il malefico “noce di Benevento”.
A Zottone successe Arechi I, duca friulano che non aveva rapporti di parentela con il primo ma che di questi continuò l’opera espansionistica annettendo al Ducato Capua e Salerno già rilevanti centri bizantini. Diversi duchi beneventani non furono beneventani ma imposti dal Re di Pavia, perché il Ducato era di fondamentale importanza strategica nella politica del Regno longobardo, essendo l’estremo baluardo posto ad arginare l’espansione bizantina nel mezzogiorno della penisola.
Nonostante ciò i duchi beneventani godettero sempre di una spiccata autonomia rispetto al Re del nord, sia per le difficoltà di comunicazioni con la capitale a causa della lontananza geografica sia perché, come capi di un vasto e strategico ducato, si sentivano importanti e potenti. Autonomia che divenne completa quando, con la caduta del Regno longobardo di Pavia ad opera dei Franchi di Carlo Magno nel 774, Benevento divenne un Principato, cioè totalmente indipendente da qualsiasi potere superiore.
Tornando alla cronologia, dopo brevi governi da parte di altri duchi di origine friulana, venne il momento di Grimoaldo che, da abile politico riuscì a farsi incoronare Re a Pavia (662) e, nel frattempo, a controllare l’altro grande Ducato longobardo di Spoleto lasciando contemporaneamente al comando di Benevento il figlio Romualdo (quello di San Barbato e della conversione dei longobardi). Anche Romualdo fu un conquistatore, riuscendo ad allargare i confini del Ducato fino alla penisola salentina sconfiggendo più volte i bizantini.
Con Romualdo si stabilì, inoltre, una successione per via ereditaria (non in uso tra i Longobardi) infatti a questi successe il figlio Romualdo I poi il nipote Grimoaldo II e poi l’altro nipote Gisulfo I. Sotto i citati duchi il territorio ebbe la massima espansione arrivando a comprendere anche la Puglia (tranne Otranto) e la Lucania.
Seguirono, poi, anni di congiure, di complicati intrighi politici e diplomatici tra longobardi del nord e del sud, papato, bizantini ed aristocrazia beneventana la quale cercò, per un paio di volte, di far sedere sul trono un nobile della città.
Fino ad arrivare ad Arechi II che, nel 774, si fece proclamare Principe, dopo che Pavia e Spoleto erano cadute nelle mani dei Franchi. In tal modo Benevento rimase “l’unica erede dell’identità politica e culturale dei Longobardi in Italia”. Arechi ingrandì ed abbelli la città, che doveva testimoniare la magnificenza del principato, costruendo la Rocca, Santa Sofia e San Modesto.
Chissà perché contro Arechi, Carlo Magno non mosse mai una vera e propria guerra, nonostante le insistenze del Papa di allora, fermando, di fatto, il suo Sacro Romano Impero alle porte del Ducato di Benevento.
Tra i successori di Arechi II è da ricordare Sicardo principe tiranno che combattette a lungo contro Napoli e l’Impero d’Oriente trafugando da Lipari (possedimento bizantino) le ceneri di San Bartolomeo divenuto patrono della città.
Dopo la morte di Sicardo il principato cominciò a frantumarsi tanto da essere diviso, nell’849, in due entità: quello di Benevento a cui rimasero la Puglia, il Molise e la parte abruzzese, e quello di Salerno a cui andarono la Lucania e la parte nord della Calabria.
Successivamente alla spartizione Benevento cominciò ad avere sempre meno importanza. Ci fu un periodo in cui fu occupata dai bizantini mentre, nel 900, il Conte longobardo di Capua, Atenolfo, fondò il nuovo Principato di Capua e Benevento a predomino capuano.
Nel 978, una breve riunificazione di tutta la Langobardia minor da parte di Pandolfo Testadiferro (fondatore anche dell’Arcidiocesi di Benevento) che raccolse sotto la sua autorità Benevento, Capua, Salerno e Spoleto, rappresentò un ultimo tentativo di ritrovare la passata potenza. Dopo di che Benevento cadde nelle mani dei nuovi conquistatori normanni i quali, nel 1078, l’affidarono al potere papale sotto il quale rimase fino al 1860.
Molto scarse, invece, sono le notizie sulla presenza longobarda nei paesi della Valle Telesina.
Telese, già da tempo dimora vescovile, ebbe nel VII secolo un vescovo Menna che partecipò ad un concilio indetto da San Gregorio Magno. Certamente fu sede di un “gastaldato” che era una specie di provincia amministrata dal Gastaldo, nominato dal Duca, che aveva poteri giuridici, civili e militari. Di uno di questi gli storici ci ricordano anche il nome: Maielpoto, Gastaldo di Telese nell’861, che invano cercò di contrastare i saraceni.
Altro sito di rilievo era Limata (Piana di San Lorenzo Maggiore), un centro fiorente che si dice sia stata fondata dallo stesso Zottone. Fu teatro, nel VII secolo, di una decisiva battaglia tra il Conte longobardo di Capua e le truppe bizantine, dirette a Benevento, che furono sconfitte.
Nella prima metà del IX secolo le frequenti incursioni dei saraceni (che dopo la conquista della Sicilia spesso si spingevano nell’entroterra campano occupando più volte la stessa Benevento) nonché uno dei tanti terremoti, portarono all’abbandono di Telese e alla fondazione di nuovi paesi (come Solopaca che risale proprio a quell’epoca) o al ripopolamento di insediamenti vicini e meglio difendibili come Cusano, dove già agli inizi del 700 dei monaci benedettini edificarono la chiesa di Santa Maria del Castagneto, o come Cerreto, di cui è documentata l’esistenza nel X secolo di una chiesa di San Martino di proprietà dell’abate di Santa Sofia.
A Faicchio (sopra il monte Monaco) a Frasso Telesino (Grotta di San Michele) e a Cerreto (nella grotta esistente all’interno della suggestiva Morgia Sant’Angelo o Leonessa), i longobardi fondarono delle chiese dedicate a San Michele Arcangelo a cui erano molto devoti, forse perché quel Santo con la spada ricordava loro la potenza del battagliero Odino, dio della guerra.
A proposito della Leonessa è interessante riportare una leggenda, poco nota, riferita da Nicola Vigliotti che la riprende da Abele De Blasio. Si narrava che davanti a quella grotta ogni venerdì si riunissero i diavoli ed ogni sabato le streghe per le loro demoniache faccende. La consacrazione a San Michele fu sufficiente a far sprofondare i diavoli in un posto detto “Fossa delle streghe” (?) e a convincere le streghe ad allontanarsi in volo sulla scopa verso il più sicuro sito del noce di Benevento.
Antonello Santagata
- Fonti:
- T. Indelli-Storia politica della Langobardia Minore-Ed. Gaia Salerno 2018
- N. Vigliotti- Il culto micaelico nella grotta della Leonessa in Cerreto Sannita- Ed. Comunità Montana Titerno 2000
- www.wikipedia.org