A testimoniare quanta storia sia passata da queste parti, ancora oggi si ergono, bellissimi ed imponenti, parecchi castelli nella Valle Telesina. Alcuni diroccati, altri restaurati e ben tenuti. Di altri ancora resta solo una torre o uno spesso muro a ricordare l’antica grandezza.
Faicchio, Castelvenere, Limatola, Puglianello, Limata, Guardia Sanframondi, Cusano Mutri, Pontelandolfo, Dugenta, Melizzano, San Salvatore Telesino oltre alle torri di Cerreto Sannita e Telese Terme.
Quasi ogni singolo paese, ogni insediamento urbano di questa terra ha un suo maniero ed un pezzo di Storia legata ad esso.
Immaginiamo un percorso, un itinerario che ci faccia fare un tuffo nel passato quando quei luoghi erano frequentati da nobildonne e signori, da armigeri, valvassori e abitanti del contado.
Cominciamo con quelli “visitabili” e cominciamo dal Castello di Faicchio.
Quando i Normanni invasero il sud Italia, a partire dall’ XI secolo, sconfiggendo i Bizantini e a seguito della decadenza dei Longobardi, cominciarono a costruire anch’essi le loro fortificazioni ed i loro castelli. Di solito li costruivano dove in precedenza già c’era una fortificazione longobarda anche perché i luoghi scelti erano in posizioni strategiche. Posti su un’altura, inaccessibili e dominanti la vallata. E’ probabile che lo stesso sia accaduto per il castello di Faicchio, infatti alcuni storici hanno supposto che le prime mura in quel luogo possano risalire addirittura al tempo dei Sanniti.
Fatto erigere intorno al XII secolo dalla famiglia normanna dei Sanframondo, divenne, nel ‘400, proprietà dei nobili Monsorio che lo restaurarono secondo la moda dell’epoca, dandogli quell’aspetto attuale che tanto ricorda il Maschio Angioino (anche se il castello di Faicchio ha solo tre torrioni). Dal ‘600 divenne possedimento di Gabriele De Martino, duca di Faicchio, e da allora viene denominato “Castello Ducale”.
Ha ospitato negli anni ’70 del novecento l’Università del Turismo e dopo di allora, attraverso vari gestori, è diventato un lussuoso ristorante per cerimonie.
All’interno vi è una “Sala delle armi”, una “Sala del teatro”, una bellissima scala a chiocciola d’epoca, accessibili sono i sotterranei usati in passato come carceri mentre al primo piano c’è una chiesetta.
Si narra che in questa cappella vi fosse affisso un quadro di Santa Barbara che veniva fatto baciare ai condannati dopo aver assistito all’ultima messa. Ai piedi dell’immagine, però, vi era una botola che si apriva non appena questi si avvicinavano al quadro inghiottendo i malcapitati. Il “trabocchetto” spediva così i galeotti direttamente nelle viscere del castello.
Fu invece Raone, capostipite della famiglia normanna dei Sanframondo a far erigere, nel 1139, il Castello di Guardia Sanframondi, posto a “guardia”, come il paese, della Valle Telesina.
E’ probabile che anche in quel sito vi sia stata prima una fortificazione longobarda. Nel XV secolo passò ai Carafa, nuovi Conti di Cerreto, fino all’800. Più volte distrutto e mai completamente ricostruito, era diventato luogo di ricovero per miseri braccianti addetti alle coltivazioni della terra. Finalmente restaurato negli anni ’80 del secolo scorso è attualmente ben utilizzato per convegni, mostre e, nel grande terrazzo, per festival cinematografici e kermesse teatrali.
E’ accessibile solo da “Porta Francesca”, cioè dalla parte interna del paese, essendo gli altri lati a strapiombo sulla valle. E’ visitabile la domenica mattina quando è possibile ammirare una interessante collezione nell’annesso Museo delle farfalle che ospita un migliaio di esemplari provenienti da tutto il mondo.
In cima alla fortezza si gode di un panorama mozzafiato che comprende tutta la Valle Telesina fino a Benevento e il massiccio del Matese.
Purtroppo non si ricorda e non è stata tramandata nessuna storia particolare, nessuna leggenda legata a questa maestosa costruzione.
A differenza dei manieri britannici, scozzesi in particolare, che hanno ciascuno una storiella di un fantasma (tramandata o inventata che sia), che faccia da attrazione turistica, la fantasia del popolo guardiese, così generosa in fatto di miti, tradizioni e leggende, nel caso del castello è stata molto avara.
Lo stesso dicasi per il Castello di Pontelandolfo. Nessun fantasma ha mai dimorato tra le sue mura.
Era sicuramente presente nel XII secolo anche se a seguito del terremoto del 1688 venne completamente distrutto e mai più ricostruito. Di quel fortilizio resta in piedi solo la mastodontica torre, risalente ad almeno un secolo e mezzo dopo, alta 21 metri con mura spesse oltre quattro metri.
Anticamente la torre era di difficile accesso poiché vi si entrava dall’interno del castello tramite un ponte levatoio. Oggi la struttura, che è di proprietà privata, è di altrettanto accesso complicato in quanto vistabile solo in occasione di eventi.
Non si ricordano leggende o fantasmi ma c’è un episodio legato a quelle mura risalente al periodo più tormentato della storia di Pontelandolfo.
Agli inizi di agosto del 1861, il vicesindaco dell’epoca diede ricovero nella torre a 45 soldati piemontesi lì inviati per controllare il territorio. Il loro comandante però ebbe lo stesso paura e si avventurò nottetempo alla volta di San Lupo dove pensava di essere più sicuro. Il drappello fu intercettato lungo il tragitto dal capo brigante Cosimo Giordano e condotto a Casalduni dove i militari furono massacrati. Da quell’episodio il generale sabaudo Cialdini diede inizio alla feroce e violenta rappresaglia (“di Pontelandolfo e Casalduni non resti pietra su pietra”) che fece strage di civili nei due paesi. (cit. Renato Rinaldi).
Di epoca normanna (XII sec.) è anche il Castello di Limatola, posto su di una collina che domina il Volturno, anche questo pare sia stato ricostruito su precedente fortificazione longobarda e prima ancora sannita.
Più volte danneggiato e più volte ristrutturato e abbellito, prima da Carlo D’Angiò nel XIII sec.( con le volte ogivali) poi dai Della Ratta nel 1400 (scale rinascimentali) ancora dai Gambacorta nel ‘500 (che ristrutturarono anche la chiesa di San Nicola presente all’interno delle mura conservando, però, il portale romanico) poi man mano abbandonato all’incuria e alle intemperie fino a giungere, in tempi recenti, fatiscente.
Gli attuali proprietari, gli Sgueglia, invece, lo hanno completamente restaurato e reso fruibile tanto che oggi ospita alcune delle attività più attrattive della zona come i “Mercatini di Natale”.
Nel 1647 scoppiò a Napoli la rivolta di Masaniello che si fece sentire, però, anche in periferia, particolarmente a Limatola. Signore all’epoca era Francesco Gambacorta, secondo Duca di Limatola. Molti nobili napoletani e i signorotti della zona, essendo Francesco considerato tra i più abili capitani militari ed il suo castello tra i più fortificati, decisero di rifugiarsi all’interno del maniero in attesa che i moti si placassero. Quando il popolo insorse, il Duca, con la scusa di trovare un accordo, convocò al castello il capo dei rivoltosi limatolesi e lo fece impiccare.
Qualcuno dice, inoltre, che in un pozzo del castello di Limatola trovò la morte Mariacatena, accusata di essere una janara. La giovane Maria, rea di aver ucciso con un maleficio la piccola castellana, legata a delle catene di ferro lì venne lasciata affogare. Prima di morire lanciò una maledizione: avrebbe attirato a sé qualunque bambino che, incautamente, si fosse avvicinato troppo ad una di quelle cavità riservandogli la stessa sorte che era toccata a lei. Da allora è conosciuta ovunque come la “strega dei pozzi”.
Più “giovane” rispetto agli altri è il Castello di Melizzano, risalente al XVI secolo, quando Melizzano, Limatola, Dugenta e Frasso erano feudi della famiglia Gambacorta durante il periodo Aragonese.
Ha l’aspetto del tipico castello con una merlatura a coda di rondine, gli ambienti interni sono ben conservati richiamando tutte le atmosfere e le suggestioni dell’epoca. Pregevole è una scala interna in tufo e pietra con una balaustra traforata a motivi floreali.
Attualmente è di proprietà della famiglia Caracciolo-D’Acquara, dei Duchi Caracciolo, ed è visitabile solo in occasione di eventi o di visite guidate organizzate.
Continua…
Antonello Santagata