Un tempo si eccedeva nell’importanza attribuita al rituale, quale garanzia della buona qualità della sostanza. Salire sul pulpito per fare la predica era garanzia di una parola speciale, pronunciata da persone che avevano la qualità di intermediari tra l’uomo e Dio. Salire sul pulpito, o guardare e ascoltare dal basso creavano la scena per un ascolto speciale, quello della spiegazione della Parola sacra. A ben guardare, oggi le cose sono cambiate solo apparentemente. Sono stati demoliti i vecchi rituali e sono stati introdotti dei nuovi per stare al passo con i tempi, ma ancora eccedendo nell’importanza loro attribuita. Niente più pulpito. Il giovane parroco più sorridente e disinvolto dei vecchi parroci ingessati prende il microfono dal ministrante e chiede il permesso alle persone di venire più avanti, verso di loro. Questo stile più sciolto, questo “passo verso la gente” è un modo di rafforzare l’idea che l’omelia è una conversazione, come precisa famiglia Cristiana, sottolineando che etimologicamente omelia viene dal “verbo greco che nel Vangelo indica il conversare dei due discepoli di Emmaus quando il risorto intervenne per spiegare loro le scritture”. In buona sostanza, scendere dal pulpito e avanzare verso le persone col microfono e uno stile più sciolto aiuta a sottolineare il contenuto, la semplicità e la familiarità dell’omelia.
In Psicoanalisi, e mi si perdoni il confronto tra sacro e profano, si assiste ad una trasformazione simile. Anche qui, cambiano i rituali, ma non cambia l’eccessiva importanza attribuita loro come garanzia di una buona sostanza. Un tempo il lettino, la posizione dell’analista seduto dietro l’analizzante per non guardarsi, creavano la scena per un ascolto speciale, originale rispetto ad altri contesti di conversazione, sia terapeutici che non. Oggi le cose cambiano. Si è autorizzati a fare le sedute via skipe, magari con l’analista alle spalle del computer!, per adattarsi alle necessità di spostamenti improrogabili di pazienti che sempre più, causa lavoro, sono costretti a viaggiare in luoghi lontani dallo studio dell’analista. Non adeguare il setting, nella fattispecie introducendo il computer, significherebbe allontanarsi dalle attuali esigenze in cui si muove la psiche.
Ora, il punto è, a mio avviso, che sia la Religione che la Psicoanalisi sono contesti nei quali le persone cercano di stare più a contatto con la propria interiorità rispetto al mondo fuori da questi contesti, mondo nel quale spesso si sentono confusi, smarriti, frammentati, vuoti o eccessivamente eccitati. Allora, se è vero che il rituale in sé non è garanzia di buona sostanza (infatti diciamo “da quale pulpito viene la predica” o “per me di può sedere anche a terra, tanto non è il lettino in sé che assicura un ascolto analitico”), tuttavia esso rimane importante per definire un confine tra ciò che è ordinario e ciò che è stra-ordinario, cioè fuori dal comune. Ma skipe, come le distanze ridotte, sono piuttosto pane quotidiano!
Dunque, una volta chiarita l’importanza del rituale per dare accesso ad altre possibilità del consueto vivere , non rischiamo di snaturarlo se crediamo che modificando le sue forme ne assicuriamo l’efficacia? Forse se si continuasse a salire sui bei pulpiti di un tempo, o si restasse fermi dietro l’ambone di fronte all’assemblea, o si rinunciasse a skipe e alle sedute che purtroppo non si possono fare per motivi di lavoro (quante cose di cui avremmo bisogno non si possono fare ed è molto frustrante accettarlo!), si rinforzerebbe l’idea che per alcune dimensioni, come la spiritualità o la psiche, la stra-ordinarietà dei rituali è una ottima premessa per accogliere bene la sta-ordinarietà della sostanza, spirito o psiche che sia.
F.R.Di Mezza