L’amico medico-scrittore Emilio Bove ha colpito ancora. Qualche sera fa mi comunica che sta raccogliendo un po’di materiale su Antonino Votto con l’intenzione di scriverne, un giorno, una biografia. La mia domanda conseguenziale e scontata è: ”E chi era?”. E lui mi distilla solo qualche informazione tenendone la gran parte riservata, in particolare quelle sui primi anni di vita, forse per il suo progetto. Ma non desisto e mi documento.

Il padre del Maestro Antonino Votto era di San Salvatore Telesino mentre sua madre era napoletana, ma lui, per una serie di circostanze, nacque a Piacenza nel 1896. Fece, comunque, i primi studi al conservatorio di Napoli dove si diplomò in pianoforte e composizione. Debuttò come pianista a Trieste nel 1919 e da allora in poi fu un susseguirsi di successi. Nel 1922 entra alla scala di Milano come assistente di Arturo Toscanini e ne diventa il suo braccio destro. Dirige poi a Buenos Aires, Londra, Amsterdam, Tokio e Berlino. Dal 1928, dice la Treccani, “si impose in Italia, soprattutto alla Scala, e all’estero, come uno dei più puntuali interpreti del melodramma italiano”.

Nel 1941 ottiene la cattedra di direzione d’orchestra al “Verdi” di Milano che conserverà fino al 1973 quando a causa di una sopraggiunta cecità smette di dirigere.

In quel periodo fu il maestro di grandissimi talenti tra i quali Claudio Abbado e Riccardo Muti. Quest’ultimo non ha mai perso l’occasione per ricordare con riconoscenza il suo maestro tanto da dichiarare in occasione della sua morte nel 1985: “Votto, con rara competenza e senza spavalderia aveva dischiuso i segreti del dirigere a centinaia di giovani, credendo fermamente nei valori di una scuola italiana che affonda le sue radici, attraverso Toscanini, in un atteggiamento di assoluta moralità di fronte alla musica. Sono orgoglioso di essere stato suo allievo e, come musicista, gli sono grandemente debitore”.

Anche in una recente intervista a “Che tempo che fa” da Fazio ha ricordato la figura del suo maestro condendola con dei simpatici aneddoti. Numerosa e la sua discografia riguardante in particolare l’opera lirica. Era il direttore preferito, tra gli altri, dalla Callas e da Renato Del Monaco inoltre, come il suo maestro Toscanini, dirigeva a memoria senza bisogno della partitura.

Non so se il maestro Votto, con la fama e la notorietà, si sia dimenticato del suo paese d’origine (lo sapremo eventualmente con la biografia di Bove) ma il suo paese lo ricorda al momento solo con una via a lui intitolata e con un’associazione musicale che porta il suo nome. Strade intitolate ad Antonino Votto ci sono pure a Piacenza e Parma mentre a Milano, in via Caravaggio, vi è una lapide che recita “In questa casa ha vissuto il Maestro Antonino Votto (1896-1985) pianista e direttore d’orchestra”.

Ovviamente, però, la discussione con l’amico medico non poteva limitarsi a ricordare il grande maestro di origini sansalvatorese per cui da lì si è passati ad elencare gli altri grandi musicisti che hanno un legame con il Sannio.

E parlando di grandi maestri d’orchestra il pensiero è andato subito ad Antonio PappanoFiglio di genitori di Castelfranco in Miscano emigrati a Londra, lì nasce nel 1959. Studia musica dall’età di 6 anni e già a 12 rivela grandi doti di pianista. E’ stato il più giovane direttore della Royal Opera House di Londra. Ha diretto le migliori orchestre e si è esibito nei migliori teatri mondiali. E’ direttore musicale, dal 2005, dell’Accademia di Santa Cecilia a Roma e dirige con regolarità la London Synphony Orchestra, la Chicago Sinphony Orchestra e la Berlin Philarmonic Orchestra.

Numerosissime sono le incisioni discografiche e i premi e riconoscimenti avuti nel mondo. E’ cavaliere e commendatore della Repubblica Italiana e, contemporanemante, cavaliere del Regno Unito. Ogni anno a fine agosto si esibisce nella “sua” Castelfranco dirigendo l’Orchestra Filarmonica di Benevento nel Memorial Pasquale Pappano, padre e primo maestro di Sir Tony.

Facendo qualche passo indietro negli anni e a proposito di Benevento, sappiamo che il conservatorio della città è intitolato a Nicola Sala (Tocco Caudio 1713). Sala studiò al Conservatorio della Pietà dei Turchini di Napoli e lì insegnò per quasi tutta la vita. La sua opera di maggior successo fu “La Zenobia” rappresentata al San Carlo nel 1760. Molto stimato al suo tempo ebbe come allievi i migliori musicisti dell’epoca.

Più che come compositore di musiche operistiche, però, venne apprezzato per i suoi scritti e le sue opere teoriche, in particolare “Le regole del contrappunto pratico” che tanto piacquero a Giovanni Paisiello e che gli diedero fama e notorietà in Italia e Francia.

Un altro Nicola importante musicista sannita è Nicola Calandro detto il Frascia nato nello stesso periodo del Sala (1715) a Frasso Telesino. Diplomatosi al conservatorio di Napoli, si trasferì ben presto a Roma sotto l’ala protettiva del Cardinale Orsini e in quel contesto compone numerose opere sacre. Calandro però scrisse di tutti i generi: una “Farsetta per musica”, andata in scena a Roma, “I tre matrimoni”, commedia per musica, rappresentata a Venezia e “La Pugna amorosa” messa in scena a Bologna. Finì il suo tempo a Roma nel 1759 quando la sua fama aveva superato i confini italiani essendo ormai noto in tutta Europa. I suoi libretti e i suoi manoscritti sono conservati, infatti, nelle migliori biblioteche mondiali.

Un altro passettino indietro nel tempo e troviamo il cerretese Tommaso Carapella (1662). Operò a Napoli dove fu molto apprezzato dai suoi contemporanei che lo definirono “ottimo compositore, ottimo contrappuntista ed eccellente maestro di canto”. Amato e considerato dal poliedrico compositore veneziano Benedetto Marcello (a cui è intitolato il conservatorio di Venezia), scrisse numerose opere per varie famiglie nobili napoletane. La critica lo ha definito “una delle personalità più interessanti del barocco musicale napoletano”. Non aveva genitori, figlio di N.N. fu scritto nel suo atto di morte, e non ebbe figli. Mori, solo, in un convento di Napoli.

Abbastanza recente è la storia di Mike Mosielllo nato anch’egli, come il Calandro, a Frasso Telesino nel 1898. Di famiglia di musicisti (il padre clarinettista e lo zio compositore) emigra in America quando aveva circa due anni e a sei già comincia a suonare la tromba. Negli anni venti e trenta era tra i più noti e meglio pagati trombettisti jazz degli Stati Uniti. Suona nelle migliori orchestre, compresa l’orchestra radiofonica della NBC, e collabora con i più grandi musicisti dell’epoca. Tra i suoi migliori amici vi erano il noto attore comico Lou Costello e il campione mondiale di boxe Primo Carnera. Morì nel 1953 quando già da qualche anno aveva abbandonato le scene.

Nella storia della musica contemporanea troviamo, invece, un altro grande artista che ha origini a Cerreto Sannita: Al Di Meola. I nonni partirono dal borgo titernino nell’altro secolo alla volta del New Jersey dove nacque Al nel 1954. Adesso è un rinomato e talentuoso chitarrista jazz che ha venduto milioni di dischi nel mondo. In verità il suo genere è il jazz fusion, che è la fusione del jazz con il rock, ma Di Meola ha sperimentato vari tipi di generi musicali collaborando con Paco De Lucia, considerato il più grande chitarrista di flamenco, con Carlos Santana e Pino Daniele.

Il suo ultimo lavoro si chiama “Opus” che contiene all’interno un brano intitolato proprio “Cerreto Sannita” dedicato al paese d’origine che l’anno scorso gli ha conferito la cittadinanza onoraria ricambiata con un delizioso concerto.

Infine, se vogliamo considerare il Sannio storico, non dobbiamo dimenticare che i genitori di Enrico Caruso erano di Piedimonte d’Alife (come si chiamava allora). Che dire? Niente male come terra di talenti musicali.  Anche il gene della musica ha trovato nel Sannio dei geni attraverso i quali esprimersi.

Antonello Santagata

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