L’alone di emozioni e pensieri che prolunga un incontro quando esso è finito, mentre si ritorna casa, dà il polso dell’intensità dello scambio. La vostra spontanea e vivace partecipazione, la veemenza della mia voce e la provocazione di alcune mie inattuali posizioni esistenziali (prima ancora che teorico professionali!), hanno creato davvero un bel clima vitale. Volevo, anzitutto, ringraziarvi di questo.

Il vostro applauso catartico, liberatorio, alla famosa citazione freudiana: “signora, faccia come le pare, tanto sbaglia comunque!”, ammetto che mi ha “disarcionato”, per restare nel tema del quadro di Caravaggio, di cui abbiamo parlato. Non mi aspettavo che una citazione che sancisce l’impotenza fondamentale dell’uomo ( il quale non potrà mai inquadrare in tecniche e saperi pre-stabiliti l’esito di un incontro con i figli, gli studenti, un paziente, la cittadinanza…), potesse dare sollievo. Come! Mi son detta, applaudono a qualcuno che ha riconosciuto e dato voce alla loro impotenza? Qualcuno che dichiara: costruiamo pure tecniche e saperi, che sono ovviamente imprescindibili per orientarci, ma sappiate che ci sarà sempre un “resto” nella dimensione umana che sfugge ai nostri più sofisticati calcoli, e che per giunta, è istintivo, non razionale, non direttamente conoscibile?

La citazione avrebbe dovuto essere una ferita narcisistica alla immagine dell’uomo che oggi si va alimentando da tutte le parti e che propone l’idea di un uomo o addirittura di un bambino con la “superdotazione cognitiva”, per dirla con una delle più recenti trovate della psicologia, che quando non mi fa sobbalzare mi fa sorridere perché mi ricorda i super saiyan di Dragon ball, il cartone animato giapponese!

Eppure, dicevo, non c’è stata ferita al narcisismo. Non avete reagito con il disagio di riconoscere l’impotenza, ma con un sollievo dichiarato. Come spiegare questa vostra “inattualità” rispetto al mito dell’onnipotenza, cioè il dover essere sempre efficaci produttivi rapidi competitivi, di successo?

Forse che siamo finalmente vicini ad un’altra oscillazione del pendolo della Storia, in cui si ricomincia a costruire non più “per via di aggiungere” come si dice in Arte, ma “ perviadi levare”? cioè levando i troppi pesi del mito dell’onnipotenza e dell’onniscienza? Forse sapremo ritrovare la bellezza e lo stupore della nostra incompiuta, impotente, fragile e indomabile “umanità”, come lo splendido cavallo dipinto da Caravaggio? Quel resto di noi stessi che all’improvviso ci disarciona, dandoci la possibilità di guardare la vita dal basso verso l’alto, come fanno spontaneamente i bambini, nella loro incompiutezza piena di creatività.

Filomena Rita Di Mezza

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