
Per chi, come me, non ha conosciuto Massimo Rao le sei serate “Dialoghi con la luna” sono state la piacevole realizzazione di una fantasia, quella di poter stare insieme al Pittore e ad alcuni suoi amici in una gradevole atmosfera di ospitalità, semplice, colta, forse posso dire meglio, pervasa di “mitezza” nel senso che Bobbio dava al termine “…quella gentilezza dei costumi che renderebbe più abitabile questa aiuola”. E’ il potere peculiare dell’Arte: allo stesso tempo saper incendiare gli animi, creare rivoluzioni eppure renderci persone più miti, in quanto meno condizionate dal magnetismo del nostro mondo troppo concreto, consueto, contingente. Seduta sotto tre incisioni senza titoli, uno tra parentesi recita “Un poeta”, faccio fatica a non lasciarmi distrarre dalle stravaganti figure, sulla testa di una fluttua una bella sediolina sospesa ad un nastro con fiori, quasi i personaggi vogliano stuzzicarmi, sottrarmi la sedia da un momento all’altro, portarmi con loro. E’ difficile resistere alla fascinazione dei veri padroni di casa della Pinacoteca, personaggi eterei, quasi più sottili del pigmento stesso del colore, ma dotati di una forza tale da indurti a chiederti se non sia vero che le Opere, una volta compiute, vivano di vita propria, stiano al mondo, nel nostro mondo, come agenti vitali che ci rianimano, ci sollecitano, vellicano la nostra sensibilità, troppo spesso anestetizzata dalle abitudini.
Grazie, allora, innanzitutto per questo, all’ Associazione Massimo Rao e a Patrizia Bove che ha coordinato le serate con entusiasmo genuino e tenace, credendo sin dall’inizio alla possibilità di distribuire l’evento nei mesi, per rendere la Pinacoteca una dimora ospitale e viva, parte integrata dell’attività di un paese, alleggerita degli aspetti “ufficiali” dei luoghi d’Arte.
Ieri sera è stata la serata conclusiva delle Conversazioni.
Toccante e raffinato, come sempre, nel suo intervento, il Prof. Valentino Petrucci, che ci ha condotti per mano nel tema del mistero.
Cominciamo dalla fine, incisiva e netta, una citazione di Borges: “la soluzione del mistero è sempre inferiore al mistero. Questo partecipa del divino e finanche del soprannaturale; la soluzione, invece, è solo un gioco di prestigio.” Definendo il suo intervento “solo un gioco di prestigio”, Petrucci ci accompagna ad individuare una serie di indizi presenti in un’opera di Vermeer, che porteranno ad una possibile soluzione del mistero in esso contenuto. Si tratta del dipinto Giovane donna assopita (1657 circa), conservato al Metropolitan Museum di New York che, nel catalogo d’asta Dissius, del 1696, in cui erano raccolte tutte le principali opere di Vermeer, viene descritto come Serva ubriaca addormentata a una tavola. Petrucci ci spiega che la curiosità e la sua ipotesi di lettura del quadro nascono dall’essere un lettore di gialli, pertanto rimasto colpito da una serie di incongruenze del dipinto che fanno sospettare che la scena rappresentata abbia un significato nascosto. Intanto la serva, dal modo in cui è abbigliata e dai gioielli indossati, non può essere una serva, dunque esattamente al contrario, forse trattasi della padrona di casa; l’ espressione del viso, assopita ma composta, non mostra quelle alterazioni caratteristiche che il pittore usa per dipingere persone ubriache, come Petrucci ci ha mostrato in altri quadri, di conseguenza quel leggero rossore, il colletto sbottonato rimandano a qualcos’altro; le vivande presenti sul tavolo, come la coppa intatta, farebbero pensare che la donna era in attesa di qualcuno, ma che l’incontro non si sia svolto completamente; la tovaglia rialzata e la sedia scostata dal tavolo, come se fosse stata spostata indietro, lascerebbero intuire che qualcuno si sia alzato all’improvviso per uscire di fretta e, allo stesso modo, si potrebbe intendere anche la porta lasciata socchiusa; la donna “volge le spalle” ad un quadro raffigurante un putto, che è simbolo di monito alla fedeltà; nella stanza è presente una maschera, che sembrerebbe suggerire: nulla è come appare, c’è un significato nascosto. Insomma, per quanto riguarda la “soluzione” del mistero del quadro di Vermeer, possiamo ormai facilmente dedurlo, si tratterebbe di una scena di infedeltà della padrona di casa. Ma, se abbiamo compreso appieno il messaggio di Petrucci, non ci fermeremo al suo gioco di prestigio, alla soluzione del mistero. Forse, come ci ha più volte detto, il vero protagonista di questo quadro è un personaggio che non ci è dato vedere, ma che ci sembra sia appena andato via. Allora penso che, nel nostro caso, il vero protagonista della serata e del suggestivo intervento di Petrucci, sia una persona che è appena andata via, anche se sono passati vent’anni. Rao, infatti, sembra appena essere uscito dalla vita, perché le sue tracce nella pinacoteca sono ancora palpitanti: opere che ci commuovono particolarmente, per esempio l’ultima, rimasta incompiuta perché il pittore è dovuto andare via troppo in fretta; misteriose citazioni letterarie annotate dalla sua mano sotto i dipinti, misteriose perché non sempre riconosciamo i testi di riferimento, per esempio, Rao, perché leggevi il libro di Mirdad del poeta libanese e disegnavi, magnifico!, un uomo con le ali inginocchiato su una una rupe: “ Furtivi raggi di sole, andate a carpirmi un sogno dalle catene delle prigioni di Bethar.” Oh! Certo, Pittore, non mi è difficile ipotizzare che anche tu ti sia sentito “metà prigioniero, metà alato”, come scriveva P. Klee. Ma questi sono solo giochi di prestigio, piccoli doni di grandi artisti capaci di incarnare nelle loro opere il mistero, perché solo loro sanno praticare “con il divino e finanche col soprannaturale”. D’altro canto ho sentito dire che una suora che aveva visto un quadro di Rao avesse esclamato: quest’uomo deve aver visto Dio.
Filomena Rita Di Mezza
Foto di Grazia Di Mezza