
Le parole della ex ministra Federica Guidi al suo Gemelli: “E adesso dove lo troviamo un popolo di vacche da mungere più fesso degli italiani?” al di là dello sdegno generale che provocano, rivelano la vera natura di una classe dirigente che, selezionata non dal voto popolare, ma dalle segreterie partitiche e dalle consorterie affaristiche, non ha nessun senso dello stato. Non è arroganza di potere, bensì, cosa molto più grave, è mancanza di cultura politica, imbevuta com’è di affarismo e potere. Da oltre vent’anni, dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi, il mantra ossessivamente ripetuto è quello che lo Stato deve essere gestito come un’impresa se si vuole ridurre debito pubblico e disoccupazione; gestione imprenditoriale e manageriale contro gestione clientelare, efficienza contro parassitismo. La storia ha smentito drammaticamente questa convinzione e le parole dell’ex ministra Guidi ne spiegano anche il perché.
Impresa e Stato sono due realtà completamente diverse, non assimilabili e non sovrapponibili: l’impresa ricerca legittimamente l’utile economico, il profitto, lo stato ricerca l’utilità sociale, l’efficacia dei servizi; l’impresa si fonda sul principio della proprietà privata, lo Stato si fonda sul principio della sovranità popolare; l’impresa ha un padrone, lo Stato ha dei servitori; l’impresa ha il potere concentrato nelle mani del proprietario, lo Stato ha la democrazia. La folle rincorsa di coloro che hanno avuto responsabilità governative, per lo più cresciuti ed allevati da aziende, banche, alta finanza, a immettere una visione aziendalistica e privatistica nella gestione della cosa pubblica non solo non ha prodotto un miglioramento dei bilanci, che rimangono tristemente in rosso, ma non ha neanche reso efficaci i servizi che lo Stato eroga ai suoi cittadini; ha solo immesso, in modo distorto ed assolutamente improprio, una visione padronale e personale nella gestione della cosa pubblica. Si è reso privato e, quindi, utilizzabile nel modo che si crede più opportuno, servizi e settori pubblici, ricercando non la pubblica utilità, ma la personale utilità economica ed elettorale. E’ questo errore storico, ancora perseguito da taluni cantori del privato, il retroterra culturale non solo dell’operato della Guidi e di altri ministri, ma dei tanti amministratori locali che hanno ridotto la cosa pubblica a orticello privato e la disinvoltura e la protervia con cui si muovono ne è la riprova.
Questi politicanti assomigliano sempre più, allora, alle scimmie di Balzac: “Gli arrivisti sono come le scimmie delle quali hanno l’agilità: durante la scalata si ammira la loro destrezza ma, una volta arrivati in cima, non se ne vede che il culo” e… le loro vergogne e malefatte.
Angelo Mancini
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