
La vicenda Sarri-Mancini piomba come manna sul calcio per la gioia dei mille giornalisti sportivi che, dopo moviole a ripetizione, dopo ‘eclatanti’ notizie di mercato, puntualmente smentite dai fatti, possono lanciarsi, con ipocrita falsa contrizione, sul ‘razzismo’ di Sarri, sullo scandalo, e l’omofobia dell’allenatore del Napoli. Perché Mancini, con voce turbata, continuerà a parlare di razzismo e auspicherà la cacciata di Sarri. Tutto questo verrà come al solito strumentalizzato, come sempre.
Credo però che sia assolutamente fuori luogo parlare di omofobia. No, non è omofobia, né discriminazione sessuale.
E’ qualcosa di più grave: il continuo uso della parola ‘frocio’ o ‘ricchione’ nella sua accezione di offesa, della massima offesa che si possa fare ad un uomo. Un po’ come il termine ‘puttana’ o ‘baldracca’ nei confronti di una donna. E questo è ancora più grave della dichiarata omofobia. Questo significa che siamo ancora intrisi di quel substrato culturale, vecchio di secoli, che sarà difficile sradicare. La spiegazione sta proprio nelle parole di Sarri: “E’ la prima ‘offesa’ che mi è venuta in mente, avrei potuto dargli del democristiano, ma la prima ‘offesa’ è stata quella”.
Mi dispiace, mi dispiace tantissimo. Ho visto Sarri, mortificato e imbarazzato, cercare di spiegare come la sua storia personale e politica testimoni quanto lui possa essere lontano da qualsivoglia discriminazione sessuale e non. E gli credo.
Ma quelle parole, caro Sarri, dette in un campo di calcio, faranno il giro del mondo, rimarranno lì come un sasso e forse, suo malgrado, diventeranno una giustificazione per i mille ragazzi che la seguono che si sentiranno legittimati ad usare il termine ‘frocio’ per offendere, e da qui alla discriminazione reale il passo è breve.
Mi si dirà: ” Che vuoi che sia? In campo, termini come questi sono usati da anni, accettati, e poi, sai, sotto stress…”
Certo, in campo tollerano questo ed altro, molti calciatori gay sono stati costretti a nascondere il loro orientamento sessuale. E’ un mondo maschilista, omertoso, dove gli ‘attributi’ la fanno da padrone. E’ un mondo che tollera tutto, scommesse truccate, la violenza degli ultras, il machismo esasperato e stupido.
Ma il calcio, quello vero, è come un verso di poesia, come diceva Pasolini. E’ una poesia fatta di fraseggi, di geometrie perfette, della esaltazione di un goal che sfocia in un abbraccio. E’ solidarietà, è vicinanza, è competizione, è eccitazione, lacrime, sudore, emozione, è sentirsi parte di un gruppo. Tutto questo, caro Sarri, permette a volte di rinascere , di esprimere un gioco magnifico, come sta facendo il suo Napoli, come sta facendo il mio Napoli.
Al di là del discorso tecnico, le riconosco la sua grande capacità di aggregazione, umanità, capacità di comprendere i ragazzi, enorme empatia. E proprio lei, così diverso, non doveva cadere in questa pratica tanto comune quanto banale, stupida e pericolosa.
Lei è un uomo che ha voluto inseguire il suo sogno, contro tutto e tutti. Ha fatto una lunga gavetta, ha lasciato il suo posto sicuro in banca e, nemmeno più tanto giovane, si è lanciato in un volo rischioso, in nome di una passione cui non voleva e non sapeva rinunciare. Lei con la sua tuta, a dispetto dei cappotti di cashmere e delle sciarpette di seta, lei che si schermisce, lei che sorride dei giudizi poco lusinghieri di Maradona. Lei con le sue mille sigarette, lei così diverso da tutti gli altri.
Sì, proprio lei, con Bukowski e Fante sottobraccio e nel cuore.
Mariella Labagnara