
Tra l’Inferno e il Paradiso ci sarebbe un luogo terzo, una terra di mezzo, il Purgatorio, dove i morti sostano, in attesa di espiare i propri peccati con i suffragi dei vivi e le indulgenze distribuite dalla Chiesa. Il Purgatorio sarebbe, dunque, un luogo di sofferenza, ma anche di speranza e vi è implicita la tensione tipica delle condizioni di confine. Il Tribunale divino deciderà l’ammissione al Paradiso, ma nella terra di mezzo, nel Purgatorio, c’è ancora una comunicazione attiva con i mortali che pensando, pregando, dispiegando le proprie virtù in questo mondo, possono incidere, anche se solo parzialmente, sulla vita nell’altro mondo. Forse, a ragionarci un po’, l’idea del Purgatorio mi commuove e mi inquieta più del Paradiso o dell’Inferno, perché è più simile alla condizione dei viventi, dinamica e difficilmente rappresentabile in una logica binaria, del tipo si e no, buoni e cattivi, oscurità e luce, io e altri, salvo per un bisogno psichico difensivo di semplificarci le cose. Ovviamente, solo in apparenza. Allora mi è sembrato di poter capire l’arguto espediente dell’Abate Longano, quando, nel 1779, nel libro Il Purgatorio ragionato, ha provato a sollecitare gli uomini ad esercitare una serie di virtù civili ed economiche, sociali e pratiche, utili per migliorarsi già in questa terra. Il ragionamento sulla dimensione peculiare del Purgatorio è uno spunto critico, ma certo è un po’ rischioso per un Abate inserire la ragione in una verità di fede e avvicinare troppo il modello dell’aldilà con quello terreno. Se già in questa terra ci impegnassimo per realizzare una condizione ideale, virtuosa, utopica, sortiremmo effetti benefici oltre che per noi, anche per i nostri cari nell’aldilà, prosegue Longano, perché si potrebbero avvalere del nostro vivere secondo virtù. Far convivere fede e ragione non è, notoriamente, processo semplice. Dobbiamo ammettere che ci sono elementi non conciliabili, a meno di posizioni edulcorate. Cosi l’Opera di Longano fu censurata e ne fu proibita la pubblicazione: “materialista, epicureo, incivile, sedicente moralista”, furono le accuse fatte all’Abate molisano e il Purgatorio ragionato finì nell’oblio “per oltre due secoli”. Ma l’oblio ha anche una funzione molto importante nella memoria, che non è subito evidente. Il destino del testo di Longano mi consente di fare un esempio: ci sono stimoli che la nostra mente individuale o collettiva non è pronta ad elaborare per immaturità e per una serie di altre variabili. L’oblio in questi casi protegge e salvaguarda lo stimolo, perché ne registra la traccia, ma lascia che si conservi ignorata e intatta, finchè non si verifichino delle condizioni idonee a richiamarla alla luce della coscienza. La sensibilità raffinata e la curiosità intellettuale di Francesco Lepore hanno rappresentato quello che i greci definivano il kairos, il tempo giusto perché un evento si dispiegasse pienamente. Grazie infatti al suo impegno, oggi possiamo leggere il testo controverso dell’Abate molisano, che egli ha trascritto e di cui ha curato una bella edizione critica.
Due note conclusive. La prima riguarda l’Associazione Storica della Valle telesina, che, da poco fondata, ci ha già coinvolto in iniziative di pregevole livello culturale, senza perdere quel carattere di semplicità e laboriosità che attiene alla capacità di “fare” cultura, piuttosto che esaurirla in un prodotto di puro piacere narcisistico ed intellettuale.
Consentitemi, infine, un pensiero di carattere più personale che non so esprimere diversamente da come segue e che riguarda l’incantevole contributo del Prof. Valentino Petrucci alla presentazione del libro di Longano: il Professore poggia l’orologio da polso sul tavolo, davanti a sé, apre un piccolo quaderno di appunti, che naturalmente fa pensare alla calligrafia, e si premura di dirci che parlerà per venticinque minuti. Un breve silenzio. Si inizia. Non io, che resto inopportunamente inchiodata a quell’incipit, mentre il relatore sta proseguendo. Poche battute che mi hanno condotta altrove. In particolare sto pensando ad un libretto di Alfonso Berardinelli dal titolo Aforismi Anacronismi, forse perché quei pochi gesti di Petrucci, precisi, discreti, rassicuranti, mi sembrano insieme una specie di aforisma di un modo di essere, e un anacronismo rispetto allo stile barocco e multimediale della contemporaneità. Quando riprendo ad ascoltare mi trovo, però, sorprendentemente al passo con il discorso, perché anche il relatore sta parlando di un altrove, di Filopoli, l’U-topia di Longano, il luogo di fuga, di evasione dalla realtà, in cui si immagina di realizzare un modello di società ideale che punta proprio su virtù come l’essere spartani, frugali, semplici, temperati. Provo nostalgia per qualcosa che oggi stiamo perdendo. Dall’U-topia all’U-cronia: se l’ U-topia consiste nell’immaginare il luogo che non c’è, precisa Petrucci, esistono alcune Opere che parlano di U-cronia, cioè immaginano una sorta di viaggio nel tempo, in cui si realizza un modello ideale di vita. Ma per Longano, per esempio, tale tempo è anche il ritorno, nostalgico, all’agricoltura e ai sanniti, come un’età dell’oro.
La bellezza di un incontro culturale è anche sentirsi meno soli nei propri pensieri. Conclude Petrucci con Montaigne: “E’ apprezzare la vita per quello che è, saperla abbandonare per un sogno”.
Filomena Rita Di Mezza