Internet, volente o nolente, è la rivoluzione copernicana del terzo millennio, ancora più pervasiva e coinvolgente di quella astronomica del XV secolo. Non cambia la visione del cosmo, ma quella dell’uomo, modificando progressivamente e radicalmente la società, la comunicazione, le relazioni e il modo di entrare in contatto con il patrimonio di conoscenze dell’umanità. Comunicazione globale, velocità, facilità di accesso alle conoscenze impongono un doveroso ripensamento della scuola, una  sua visione nuova, potente, rivoluzionaria e non invece una  “nuova toppa” di un vestito ottocentesco consumato, che a forza di ripetute e fallimentari riforme appare essere sempre più come il vestito di Arlecchino.

L’ennesima riforma, la “Buona Scuola”, sancisce innanzitutto questo primo aspetto:  certifica il fallimento delle precedenti riforme ed, essendo anche lei in sintonia con loro, condanna anche se stessa al fallimento.

Tutto si riduce, sempre, a riorganizzazione burocratica che va ad innestarsi sulle precedenti senza annullarle del tutto, in un appesantimento funzionale che vira più verso la confusione, la babele normativa e il disorientamento che verso la semplicità e il successo formativo. Evidentemente si procede come quel tale ubriaco che cercava la chiave smarrita di casa sotto un lampione non perché lì l’avesse persa, ma perché lì c’era la luce. La luce di un percorso centenario che, però, paradossalmente si vuole cambiare rimanendovi legato. Ed ecco allora il tam-tam mediatico che, dallo scoglio delle sirene governative, viene ripetuto ossessivamente come un mantra miracoloso e che va a solleticare  l’esercito dei precari e di quanti intravedono nella scuola una possibilità di impiego stabilizzato e stabile: assunzioni, assunzioni, centomila posti e più, eliminazione del precariato .Per far accettare questa maldestra riforma all’opinione pubblica si fa  leva sull’occupazione e non sulla qualità dell’istruzione.

Muovendosi in linea con i precedenti tentativi,  anche la  “Buona Scuola” renziana perviene allo stesso corollario: docenti e allievi, i due poli veri ed unici del processo educativo, bocciano la riforma, la reputano inadatta allo scopo;  peggiora piuttosto che migliorare la qualità del processo educativo-didattico.

Magari ciò che c’è di buono non è nuovo e ciò che è nuovo non è affatto buono e costituzionale, visto, ad esempio,  che la nostra costituzione vieta gli sgravi fiscali promessi alle scuole private.

Il salto di qualità della  “Buona Scuola” sta nell’aver individuato la fonte del “malessere” scolastico:  gli insegnanti, privilegiati, con orario di lavoro ridottissimo, indolenti, assenteisti, impreparati, e la sua soluzione: più potere ai dirigenti, che potranno scegliersi da un albo regionale i docenti che reputano più preparati. Si dà in pasto all’opinione pubblica degli odiosi e parassitari privilegiati su cui proiettare tutto il malessere sociale, frutto, però, dell’insipienza politica della nostra classe dirigente.

I dirigenti, poi, finalmente  intravedono  la  “luce” in fondo al quarantennale tunnel della  chiamata diretta. Finalmente hanno la possibilità di rendere la “propria”  scuola a “propria immagine e somiglianza”, di disfarsi delle  “negatività” e di circondarsi di “eccellenza”.  Non capiscono, i poveretti , che mentre gli si dà il coltello dalla parte del manico gli si punta un bazooka alla tempia: saranno sottoposti a fortissime  “pressioni”:  di  “amici”, parenti, colleghi, potenti locali, regionali e nazionali, finanziatori, benefattori, questuanti.  Non sceglieranno, ma saranno scelti; ci sarà appiattimento e non eccellenza, uniformità e non creatività, ripetitività e non innovazione e si rimpiangeranno le vecchie modalità di reclutamento del personale docente.

Perché, allora, tanta determinazione a procedere in una direzione che la sovranità popolare giudica sbagliata?

Credo che su un tema così sensibile e importante, come quello della  scuola, un governo debba procedere attraverso il vecchio democratico metodo della concertazione tra le parti e non con la semplice arroganza numerica. Solo così potrà evitare l’esito, evidente a tutti, di questa riforma: un catastrofico successo politico.

Angelo Mancini

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