A luci spente. Che sollievo!, lo dico francamente, quando è saltata una luce nella sala dove si è tenuto il Convegno dal titolo Luci sulla memoria, dedicato all’inaugurazione del Sito archeologico e della Torre medioevale, mi sono detta che era stata proprio una coincidenza ironica: capisco le esigenze esibizionistiche della star della serata…ma, si sa, quando si esagera, si rischia che la luce salti!
Per rimanere in tema di luci e di memoria, ma in tutt’altra atmosfera, credo che la memoria sia piuttosto un gioco di penombre, cioè capacità di far luce sul passato illuminando ciò che è ancora visibile, ma anche talento nel dare rilievo a ciò che è ancora al buio, lo spazio vuoto, quel che è incerto, come ad esempio ha saputo fare uno degli Autorevoli Relatori del Convegno, parlando dell’origine longobarda e/o normanna della Torre. Ascoltandolo, pensavo che quella che potrebbe sembrare solo una disquisizione storico-archeologica, in realtà ha un respiro ben più ampio, perché ci mostra che definire un luogo e un tempo di origine è sempre un’affascinante “costruzione” narrativa. Essa è inevitabilmente dinamica, in quanto il punto di inizio della storia si sposta a seconda delle tracce della memoria -i reperti- che potrebbero ancora emergere. E’ un po’ come quando, ricostruendo la nostra storia individuale, ci siamo appena affezionati all’idea che le radici della nostra identità affondano in un dato momento e in un dato luogo della nostra vita e all’improvviso la memoria “ci spiazza”, ci dis-loca, letteralmente, lasciando affiorare altre tracce più remote. A quel punto, non è più importante solo la storia in sé, ma che essa ci abbia sedotti al piacere-dispiacere della ricerca: che abbia saputo rilanciare il nostro desiderio di conoscenza e recupero del passato. Parlo di “dispiacere” della ricerca, perché è solo l’insoddisfazione derivante da ciò che ancora manca, i vuoti, il buio di un sito archeologico o di una qualsiasi storia che ci fa venir voglia di cercare ancora. Tutto ciò è percepibile nell’intervento di restauro della Torre e dell’area archeologica, un risultato che viene da lontano ed ha avuto vari protagonisti ricordati durante il Convegno e in varie Pubblicazioni, persone che hanno saputo vedere al di là del presente, come quando, nel 1967, si è impedito che il vuoto devastante di uno spazio industriale prendesse il posto di una Torre. Ho visitato quest’ultima accompagnata dall’Architetto Vincenzo Vallone, responsabile dell’attuale riqualificazione del sito, passando dagli aspetti più tecnici a quelli più artistici e sognanti, come le Opere “Creazione mistica” e “Astrolabio”. Ho visto le stratificazioni temporali della Torre, valorizzate rispettando anche le bizzarrie estetiche che una lunga esistenza, inevitabilmente, implica. Per esempio, sulla facciata esterna della Torre è ben in evidenza un blocco di pietra che richiama l’iscrizione Tribunale, ma a tale austera iscrizione esterna fa da contrappunto, all’interno, sullo stesso piano, un elemento rustico, il forno di una casa colonica, traccia domestica di una delle trasformazioni della Torre nei secoli.
Sensibilizzata dalla mia guida a guardare con attenzione, alternando la vista tra pieni e vuoti, sono attratta da due importanti fori. Uno al primo piano, che rimanda ad un’assenza, perché era il foro da dove pendeva la fune per suonare la campana, un “vuoto”, evidenziato nel restauro, da cui si può solo immaginare ciò che manca e il suo suono: ma non abbiamo detto che la memoria è un gioco di penombre che, stimolando l’immaginazione, ci fa sentire più partecipi nel passato? L’altro foro è al secondo piano, all’interno di una strombatura. Provo a descriverlo in contrapposizione alle monofore con strombatura. Queste ultime mi ricordano un po’ le feritoie, sono l’espressione materializzata di uno sguardo assottigliato, come quando si fanno gli occhi stretti per guardare in maniera tagliente qualcuno, ma nella nostra Torre l’architetto Vallone ha voluto creare la possibilità di un’ulteriore prospettiva. Il foro, di per sé, indurrebbe solo a guardare all’esterno il panorama, come fanno i bambini che guardano dal buco della serratura … ma l’Artista ha contornato quel foro di “nervature filiformi in oro” che lo fanno sembrare, nella mia fantasia, un occhio con lunghe ciglia dorate rivolto all’interno della Torre. E allora: sono io che guardo all’esterno o è anche l’occhio della Torre che guarda me, visitatrice interna? Giochi di fantasia, certo, ma chi di noi, via!, visitando una Torre, non torna un po’ bambino? e non è forse, questa regressione, una delle funzioni principali dell’Arte, nonchè della memoria?
Infine:
mi è piaciuto molto guardare dall’alto della Torre la forma circolare del mondo, che tale non è, niente affatto perfetto, ma l’attuale ristrutturazione dell’area archeologica crea una bella illusione architettonica, che la circolare agorà, con le sue sedute di pietra antica, disposte per i ragazzi di Telese e di ogni parte che vorranno sedervi, possa essere il nostro futuro migliore, con effetto concentrico.
Filomena Rita Di Mezza