Una specie di protoplasma della pittura: un gruppo di figure geometriche colorate, vibranti e in perenne tensione percorre molte tele di Carmine Carlo Maffei. Si può provare a seguirle da un quadro all’altro e si avrà l’impressione di vedere un processo creativo dal vivo, mentre si schiude alla mente dell’artista.
Tra quelle forme geometriche due mani decise si aprono un varco, per guardare, per scoprire, per portare alla luce un paesaggio visionario, fatto di personaggi che mettono radici nella terra come fossero alberi e alberi che allungano le loro chiome antropomorfe al cielo. Corpi sensuali e forti, in primo piano, stanno plasticamente adagiati al suolo, in pose nervose, con proporzioni classicheggianti: esistenze misteriose, che non appartengono a questo mondo. Un volto sembra quasi liquidamente comporsi, mentre i quadrati colorati si ritraggono come un sipario per farlo affacciare verso lo spettatore. Trovo che il tocco più incisivo di questo Artista sia proprio nel movimento che imprime ai suoi quadri.
Carmine mi racconta che quelle figure geometriche sono le sue “pietre vive”, vive perché detentrici di tutta la vita che scorre loro intorno, sopra, dentro, quando le calpestiamo, le sfioriamo, le usiamo, o semplicemente quando “restano”, sopravanzando alla nostra breve esistenza. Ascoltandolo penso che le pietre non sono davvero materia “inerte” come spesso immaginiamo, se inerte significa, appunto, “senza arte”.
Intanto vedo un bambino con un palloncino in mano che siede sul bordo delle pietre vive e ci guarda, con una disinvoltura e una pace che mettono quasi a disagio: la levità dell’animo, in noi adulti, dove è finita? E dove, la serietà del gioco?
Quando diciamo “Io”, usiamo una convenzione: la nostra interiorità è sfaccettata e dinamica. Ecco, dunque, profili e sagome che si stagliano gli uni nelle altre, pronti a dileguarsi, a sfumarsi, a gridare la loro contingente presenza. Il pittore dà spazio alla loro armonica combinazione, rassicurandoci della molteplicità che si nasconde dietro ogni “Io”.
Per finire, due Opere. Le mie preferite. Non conosco il loro titolo, ma prevale l’impressione della spettatrice: un cavaliere in sella al suo cavallo combatte all’interno di un filo rosso che sembra un lungo cordone ombelicale. Tutti, prima o poi, vorremmo rinascere, venire al mondo in modo nuovo, ma lottiamo invano, contro la nostra origine di cui portiamo una cicatrice sul ventre.
Ultimo quadro. La raffinatezza di un volo, incisa di giallo su uno sfondo tra l’azzurro e il viola. Mi piace pensare che sia l’Ispirazione.
Filomena Rita Di Mezza