Dalla metà del XX secolo con il termine Olocausto si indica, per antonomasia, il genocidio perpetrato dalla Germania nazistae dai suoi alleati nei confronti degli ebrei d’Europa. Esso consistette nello sterminio di un numero compreso tra i 5 e i 6 milioni di ebrei, di ogni sesso ed età. L’Olocausto in quanto genocidio degli ebrei è chiamato, più correttamente, con il nome di Shoah (in lingua ebraica:  HaShoah, “catastrofe”, “distruzione”).

Ma se il termine Olocausto è legato indissolubilmente allo sterminio degli Ebrei, ci sono tante altre pagine di storia macchiate dal sangue di tante vittime innocenti. Pagine che hanno interessato la nostra zona e che non sono state scritte nella Storia ufficiale, quella che, come si sa, scrivono sempre i vincitori. Nell’agosto del 1861, a pochi mesi dalla nascita ufficiale dello Stato Unitario, si verificò un evento, nelle nostre terre, rimasto quasi del tutto sotto silenzio per circa 150 anni: la cosiddetta strage di Pontelandolfo e Casalduni. All’epoca, entrambe le cittadine erano molto più grandi ed abitate di oggi: Pontelandolfo contava circa 5.000 abitanti.

Nell’agosto del 1861 era appena iniziata la guerra contro i “briganti”, guerra che poi tenne in scacco per parecchi anni l’esercito unitario, costringendo il governo di Torino a mandare e a tenere impegnati nelle nostre terre contingenti armati di diverse decine di migliaia di uomini e ad adottare provvedimenti legislativi estremamente restrittivi dei diritti civili nei confronti delle popolazioni meridionali.  Il primo ad opporsi fu un certo Cosimo Giordano, (Caprà Cosimo cioè il caporale Cosimo Giordano) cerretese, un ufficiale dell’esercito borbonico che non volle farsi piemontese. Non derubava nessuno ma utilizzava, da buon militare, le tecniche della guerriglia.

Ad inizio dell’agosto 1861 le due cittadine erano passate, con spargimento di sangue, nelle mani dei “briganti” o, comunque, erano state sottratte al controllo governativo piemontese. Un reparto di circa 40 soldati era stato pertanto inviato in zona; fu bloccato e disarmato a Casalduni; tutti i soldati, tranne uno che riuscì a scappare, furono barbaramente uccisi. Ma ci fu un altro episodio che scatenò il massacro di Casalduni e Pontelandolfo, fu l’incendio dell’anagrafe per evitare che i giovani fossero costretti alla leva coatta.

Non appena informato dell’accaduto, il comandante delle truppe Piemontesi, il generale Cialdini, decise un’immediata rappresaglia e ne affidò l’incarico attuativo al generale De Sonnaz, tristemente noto, per la ferocia delle sue campagne, come Requiescat; la colonna, di diverse centinaia di bersaglieri, inviata su Pontelandolfo era guidata da un ufficiale di Vicenza, il colonnello Negri (ogni anno a Vicenza si celebra una cerimonia in onore di questo signore e delle sue glorie militari; e tale usanza è continuata anche dopo che si è potuto accertare, nel 2004, che il Negri era stato il principale responsabile dell’eccidio). Negri raggiunse Pontelandolfo e qui scatenò letteralmente l’inferno. Non fu fatta alcuna selezione di cose e persone riconducibili o meno ai “briganti”; i militari misero letteralmente a ferro e fuoco l’intera cittadina; tutte le case furono bruciate e, la povera gente, man mano che scappava dagli edifici in fiamme, venne fatta oggetto di tiro al bersaglio da parte dei soldati (per chi ama i film di Sergio Leone, una scena simile è proposta in Per un pugno di dollari). Furono violentate tantissime donne della cittadina  (qui il riferimento cinematografico è famosissimo, La ciociara), in gran parte poi uccise. Furono trucidate anche persone che notoriamente avevano appoggiato il movimento unitario.
Questi i fatti certi, come da confessioni di soldati poi pentitisi e anche da dichiarazioni e denuncie fatte in Parlamento a Torino. Il dubbio resta sul numero delle vittime: furono assassinate tra le 160 e le 1000 persone. Casalduni fu più fortunata, in quanto i suoi abitanti riuscirono a mettersi in salvo avendo saputo dei fatti di Pontelandolfo. La cittadina, invece, fu anch’essa totalmente distrutta.

Pino Aprile, che nel suo best-seller Terroni ha dedicato un grande spazio al tragico evento, propone il confronto con un’altra famosa rappresaglia, ben più conosciuta e ben più condannata: parliamo delle Fosse Ardeatine, rappresaglia tedesca a seguito dell’attentato di via Rasella. In quel caso i nazisti uccisero 10 italiani (e tra questi molti ebrei) per ogni soldato tedesco perito nell’attentato. Ebbene, dopo aver osservato che a Pontelandolfo molto probabilmente furono uccisi molto più di 10 cittadini per ciascuna vittima piemontese, Aprile sottolinea: “Ma a Roma, i nazisti (oltre alla strage delle Fosse Ardeatine) non ebbero poi il coraggio di distruggere anche il quartiere (Quirinale incluso) in cui era avvenuto l’attentato, come pure avevano ipotizzato. A Pontelandolfo e Casalduni si fece.

Altro scrittore che ha dedicato molta attenzione ai fatti di quel periodo è Giordano Bruno Guerri, con il suo Il sangue del sud. A dispetto del titolo, il Guerri è molto meno deciso dell’Aprile nel portare avanti un’operazione revisionista di quel periodo storico; diciamo che è molto ma molto più moderato di Pino Aprile; ebbene, sulla strage di Pontelandolfo e Casalduni, non ha alcun dubbio e le pagine che dedica all’evento sono veramente drammatiche ed ad alta intensità emotiva. Ecco alcune delle tante storie che ci racconta: “Una ragazza di sedici anni, legata a un palo in una stanza, fu oltraggiata da dieci bersaglieri, davanti agli occhi del padre, e poi uccisa. Due giovani, i fratelli Rinaldi, che durante un soggiorno napoletano si erano imbevuti di idee liberali, increduli di quella mattanza, ebbero il coraggio di presentarsi al cospetto di Negri chiedendo spiegazioni. Per tutta risposta, furono portati nella chiesa di San Donato, derubati di ciò che avevano indosso, bendati e fucilati“.

Concludo con una considerazione di Gramsci: Non si tratta di mitizzare qualcuno, nel caso specifico Caprà Cosimo, ma di cercare le motivazioni per cui le popolazioni meridionali, soprattutto quelle contadine, si addormentarono suddite e si risvegliarono briganti.

Le vicende di quel periodo sono ancora segretate e fare luce è davvero un’opera lunga e difficile. Ma necessaria, perchè quello è stato l’inizio del lento, ma inesorabile, declino del Sud.

Lorenzo Morone

P.S.- Ringrazio studiosi e appassionati che hanno fornito e pubblicato materiale sull’argomento.

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2 Commenti

  1. Di Cosimo Giordano scrive molto accuratamente l’antropologo guardiese Abele De Blasio in ‘Appunti su Limata’ nel capitolo dedicato al brigantaggio. La sua descrizione del personaggio è tutt’altro di chi ‘non derubava nessuno’. Tra i molteplici assassinii che gli vengono attribuiti, anche quello di suo padre Raffaele De Blasio, ragione forse che induce il famoso studioso a dettagliare accuratamente ogni fatto saliente della vita avventurosa del brigante.

  2. Per chi volesse consultare il testo citato, dal catalogo del servizio bibliotecario nazionale è disponibile alla biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria, alla biblioteca dell’Associazione storica M.V. di Piedimonte, alla biblioteca provinciale di Benevento ed alla biblioteca comunale di Guardia

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