
Il 9 ottobre del 1963, alle ore 22.39 una massa di 260 milioni di metri cubi di roccia precipitò da un fianco del monte Toc ad una velocità di 108 Km/h nell’ invaso idrico sottostante, che conteneva 115 milioni di metri cubi di acqua, provocando un’onda di 25-30 milioni di metri cubi di acqua che si abbatté sui paesi sottostanti ad una velocità di 100Km/h , con uno spostamento d’aria, al momento dell’impatto, superiore a quello provocato dalla bomba atomica su Hiroshima.
Il quadro che si presentò ai primi soccorritori fu raccapricciante: 1910 morti, di cui solo 1500 recuperati, il paese di Longarone ed altri paesini completamente distrutti, un territorio devastato, infrastrutture spazzate vie, attività economiche completamente azzerate.
Durante la costruzione della diga e subito dopo la sua entrata in funzione alcuni movimenti franosi di modesta entità avevano già creato allarmi nella popolazione: Toc, il nome della montagna da cui si staccò la grande frana, nella lingua locale significa marcio, friabile, poco consistente. Il vasto movimento franoso lungo circa 2 chilometri e denominato, poi, la grande M, responsabile del disastro, era già stato individuato dai geologi della Sade (Società adriatica di elettricità di Venezia), responsabile della realizzazione della diga, ma venne tenuto accuratamente nascosto. La giornalista Tina Merlin aveva denunciato, dalle colonne del giornali L’Unità, l’impatto disastroso che l’invaso avrebbe avuto per il territorio e la popolazione del luogo, ma rimase inascoltata. La domanda che subito allora ci si pose fu:
disastro imprevedibile o provocato?
Alcuni responsabili della Sade vennero condannati a 6 anni di carcere, di cui due condonati, per omicidio colposo, responsabili solo di non aver avvertito e messo in moto lo sgombero dei paesi vicini alla diga. Non venne in alcun modo riconosciuta la prevedibilità della frana.
Nel febbraio del 2008, dichiarato dall’ ONU Anno internazionale del pianeta Terra, in una sessione dei lavori, il disastro del Vajont venne citato, insieme ad altri quattro eventi, come un esemplare “disastro evitabile” causato dal “fallimento di ingegneri e geologi nel comprendere la natura del problema che stavano cercando di affrontare”.
L’attore Marco Paolini nel sue spettacolo di teatro civile “Vajont” mette chiaramente in rilievo che più che l’incompetenza di ingegneri e geologi fu l’avidità, il cinismo della Sade, che volutamente ignorò i numerosi avvertimenti che la natura inviò, l’unica, vera responsabile del disastro.
Le “inondazioni” negli anni seguenti sono continuate dappertutto: sostanze tossiche, veleni, materiali radioattivi riempiono i nostri fiumi, le nostre campagne, le nostre strade causando ancora morti. Ricordare il Vajont non è solo un dovuto esercizio di memoria storica: è anche uno sguardo doloroso su quanto accade oggi nelle nostre belle e (in)contaminate contrade.
Angelo Mancini