
Il vento, il vuoto, i bozzetti e i bassorilievi … sto ascoltando l’Architetto Vincenzo Vallone mentre racconta come è stato realizzato il Campanile di Telese, quando ad un tratto, mi ritrovo nella casa della mia infanzia, col suo ampio salone e un signore dai modi eccentrici che guarda insoddisfatto quello spazio. Solo due giorni dopo vi installerà un mobile realizzato in muratura e cristallo, sovrintendendo al lavoro di operai molto seccati dalla faccenda, ma evidentemente affezionati e avvezzi alle trovate dell’Architetto.
Io e i miei fratelli dovemmo abituarci progressivamente a quella costruzione che stentavamo a definire. Cos’era? un muro, un mobile, una installazione? E a che somigliava la sua forma? Non trovammo una risposta soddisfacente, ma ci abituammo a quella novità, ci giocavamo intorno, mia madre vi riponeva gli oggetti più belli, mio zio vi appoggiava, sistematicamente fuori luogo, il cappello e noi raccontavamo ai nostri amici che era stata progettata da un architetto amico di nostro padre, scrutando divertiti le espressioni di approvazione di meraviglia o di rifiuto…
… quell’originale divisorio forse nell’attuale restauro della casa non esiste neanche più, ma esiste e resiste come elemento importante del mio mondo interno, collegato all’esperienza del piacere e del disturbo insiti in qualsiasi processo creativo: da una parte il piacere della scoperta e della ricerca, del sogno e dell’immaginazione, dall’altra il disturbo di dover fare i conti con un terzo che divide lo spazio preesistente, introducendo il nuovo, l’estraneo, lo strano. Il taglio nella omogeneità.
Il punto è che la bellezza di un’opera artistica spesso si misura con il senso di armonia e appagamento che suscita nei fruitori, una sorta di meraviglia pacificata. Ma, questa, appunto è la bellezza. L’esperienza della bellezza, invece, che è una cosa diversa, richiede la partecipazione attiva e, inizialmente un po’ frustrante, degli occhi di chi guarda. Guardo il Campanile di Telese e di primo acchito provo un senso di disagio. Non sembra un campanile come è nella mia immaginazione e memoria. Vorrei poterlo inserire più facilmente in una forma canonica, ma non riesco. Allora mi dispongo a guardare meglio, facendomi accompagnare dalla presentazione del Campanile che l’Architetto ha fatto alla Fondazione Romano, qualche tempo fa…
-Ho voluto il plexiglass azzurro per la copertura del campanile perché è materiale leggero e trasparente e volevo creare una sommità che si continuasse nella copertura per antonomasia, quella della volta celeste… poi ho pensato che dovesse essere aperta al colmo per consentire al vento di passarvi dentro, evitando l’effetto vela…-
(Rifletto sulla bellezza di contemplare un modo per accogliere il vento, elemento familiare del nostro paese, a cui pertanto va data opportunità di circolare nel campanile sentendosi a suo agio…il vento che darà respiro al campanile contribuendo al timbro vocale delle sue campane, il timbro che è come l’impronta digitale di una voce…)
-e poi, naturalmente, c’era il problema dell’acqua piovana che, infilandosi anch’essa dalla porta del vento, doveva essere convogliata in una canalina per defluire ordinatamente nel suo percorso dall’interno all’esterno…-
( Mi pare di starci dentro quei movimenti del vento dell’acqua della luce, tanto la parola dell’architetto sapientemente sa illustrare l’opera)
– Guardate alla base del campanile, proprio sopra la cappellina inferiore…c’è un vuoto… ho pensato che ad un tratto, nella mia vita, mi ritrovavo anch’io con “un vuoto d’ anima piena”… sapete, faccio riferimento ad una corale sacra ascoltata tempo fa in un concerto per commemorare i mille anni della Chiesa romanica di Sarsina. Il concerto era diretto da Ennio Morricone… si avverte nella musica una specie di dialogo interreligioso tra strumenti diversi…-
(Caro Architetto, che meraviglia, hai ragione, è un vuoto, ma d’anima piena, quel tuo lavorare sul vuoto per dare slancio al Campanile, per mettere la nostra anima a cospetto con una dimensione così connaturata all’uomo e all’universo, che non poteva non trovar posto in un Campanile! Cos’altro è, in fondo, l’architettura, se non il tentativo di bordare un vuoto per estrarne una forma? l’anima? Cos’altro è, in fondo, la esistenza di ciascuno, se non la propria costruzione tra il vuoto dal quale proveniamo e a cui torneremo? E ciò che abbiamo realizzato, come un’opera architettonica, resisterà? avrà senso? fornirà un’esperienza di bellezza per qualcun altro?)
I bozzetti di Amedeo Del Giudice, memoria della storia sannita, romana e telesina sono così intensi, profondi, che quando nel bel video dell’Avvocato Fulvio di Mezza, li vedo trasformarsi in pannelli di terracotta, prendere volume e colore, attraverso le mani del figlio di Amedeo, Ivan, mi commuovo. Penso ancora una volta alla bellezza del passaggio generazionale di un’arte, quando avviene artigianalmente “ di mano in mano”… penso alla collaborazione, davvero eclettica, pittori, scultori, avvocati…per questo campanile… .
Si dice, tra storia e leggenda, che il grande condottiero Annibale, durante la seconda guerra punica, sia passato su un ponte che si trova tra Cerreto e Cusano. Dopo aver scritto queste righe sul Campanile, sono andata a rivedere il monumento di ferro realizzato per commemorare questo passaggio e posto sull’omonimo ponte. E’ opera dell’architetto Vallone e lo trovo semplicemente bellissimo. Mi acquieta l’armonia che se ne ricava.
Mentre ritorno a Telese vivo una singolare esperienza: l’immagine di uno degli elefanti creati da Vallone per il monumento ad Annibale si capovolge e si adagia dolcemente sul dorso, trasformandosi all’improvviso in un vecchio, amato divisorio.
Sono queste esperienze della bellezza, ciò che più amo dell’arte di Vincenzo Vallone.
Filomena Rita Di Mezza
Una rassegna delle opere collegate a questo articolo è su Playlife menadimezza.blogspot
Appropriate ed esteticamente apprezzabili sono le note della Di Mezza sulle opere dell’Architetto Vallone: il capanile di Telese ed il ponte romano che si ritiene sia stato attraversato da Annibale.
Se è vero che l’architettura è organizzazione dello spazio fruibile dall’uomo, è innegabile che essa si trasforma da attività strumentale in attività artistica allorquando si rivolge a privilegiare oltre alle esigenze funzionali anche quelle estetiche.La prima volta che ho visto il campanile di Telese (territorio al quale sono affettivamente e radicalmente legato) mi sono venute in mente le affermazioni con le quali Marco Vitruvio Pollione, celebrato architetto e scrittore romano, un quarto di secolo prima della nascita di Cristo, definì i requisiti che un’opera architettonica, in special modo di uso collettivo, doveva possedere: stabilità, utilità,piacere tutti caratteri che identificavo nella struttura che stavo osservando, mirabilmente concepita e realizzata dal maetro Vallone!.