
“Capii subito che dietro ogni fascicolo non c’era solo un nome, ma un uomo di cui avrei dovuto imparare a conoscere il viso, le abitudini, le aspettative, il carattere, le miserie, la sua vita affettiva e, perché no, la sua connaturata voglia di evadere.”
Al termine del mio periodo di lavoro presso una UOSM, in qualità di vincitrice di avviso pubblico, un collega psichiatra mi donò un libro di Adam Phillips (per i non addetti, un noto psicoanalista inglese) dal titolo L’arte della fuga. Bastò lo sguardo di intesa, non ci fu bisogno di dire niente, sapevamo che dietro quel dono si nascondeva un reciproco riconoscimento: eravamo entrambi artisti della fuga, appassionati e attenti osservatori dei limiti, dei vincoli e, ovviamente, di una “connaturata voglia di evadere”. Per chi fa il mio mestiere la questione è fondamentale: le persone si costruiscono internamente delle vere e proprie prigioni, con vari livelli di sicurezza e di impenetrabilità della struttura, ma l’aspetto affascinante della faccenda è che esse hanno costruito quella prigione per evadere da una realtà in cui non riuscivano a muoversi senza farsi molto male. Poi, come primo livello di sicurezza, hanno dimenticato di esserne i veri artefici, attribuendo ad altri i ruoli di carcerieri, direttori e responsabili della propria limitata libertà. Per cui, non si tratta semplicemente di aiutare queste persone ad evadere dalla loro prigione, ma soprattutto di aiutarle a riconoscere che quella struttura l’hanno costruita loro. In realtà, tutti abbiamo bisogno di erigere dei limiti per coltivare la nostra “connaturata voglia di evadere”, che è poi l’arte di vivere intesa come capacità di andare oltre, ma si tratta di un’arte complessa, che va appresa e raffinata.
Perdonate la lunga premessa personale, ma leggere Fotogrammi di memoria, di Aldo Maturo, comporta l’essere immediatamente sedotti dal gioco dei ricordi e dal piacere di ritessere frammenti della propria vita, a partire da quelli di un altro. Ed è questo uno dei pregi particolarissimi dell’Autore, la capacità di stimolare la riflessione su aspetti importanti della vita, potenzialmente racchiusi nei ricordi personali di ciascuno, ma capaci di schiudersi solo grazie all’esempio di rimemorazione appassionata di un altro. Le sollecitazioni sono molte ed avvincenti: c’è il treno dei bagnanti, che dopo la lettura del libro, corre per alcuni come me, che non l’hanno mai visto, sui binari dell’immaginazione e fa ripensare al valore curativo delle nostre acque solfuree in uno scenario completamente diverso. Un ricordo , dunque, come rilancio di progettualità e desiderio; ci sono poi gli oggetti del passato, il braciere, il prete, rievocati in modo così suggestivo da risvegliare tepori e bisogni di intimità famigliare che appartengono a ciascuno, indipendentemente dalle generazioni. Insomma, direi che si tratta di un pamphlet sulla memoria che, paradossalmente, ci riporta tutti in uno stesso tempo, quello dei principi fondamentali della vita, dove le differenze cronologiche si allineano sulla “contemporaneità”.
Un’ultima nota. Conosco Aldo Maturo da due anni, attraverso la lettura dei suoi articoli su Vivitelese, articoli che mi incuriosivano non solo e non tanto per i contenuti, ma per quella “firma interiore” che solo alcune scritture posseggono. Sto parlando del piacere di leggere qualcosa perché si è attratti dallo stile dell’Autore, prima ancora che dall’argomento e degli scritti di Aldo mi ha sempre attratto la particolare mistura di un’intelligenza affilata dalla sensibilità e dalla cultura, con una lieve ma inconfondibile vena di severità.
Soprattutto, però, ho imparato a riconoscere l’inclinazione nostalgica della sua penna, di cui questo ultimo libro è profondamente intessuto.
Ma, attenzione, la nostalgia che si ritrova nel testo non è semplicemente il desiderio agrodolce di tornare in un luogo o in un tempo lontano, piuttosto, come ogni autentico nostalgico sa, si tratta di continuare a ricercare un luogo speciale in cui sappiamo di essere già stati, ma che non sapremmo circoscrivere esattamente, per farvi ritorno.
Ecco perché Fotogrammi di memoria, pur essendo dedicato prevalentemente a Telese, si rivela come una vera ricerca nostalgica: ogni volta che l’Autore ritrova un pezzo del proprio passato, è subito pronto ad evadere, per guardare ancora ed oltre…senza mai restare prigioniero di una falsa nostalgia.
Filomena Rita Di Mezza
Quello di Mena è sicuramente uno dei commenti più belli e profondi che ho ricevuto da parte degli amici che hanno ricevuto questa piccola pubblicazione, circolata in sordina per mia scelta, pur avendo potuto tecnicamente darle un risalto ufficiale per aver seguito tutti i rituali editoriali.
Anche la mia è stata una “voglia di evadere” ripercorrendo con la mente gli anni che mi hanno legato a Telese Terme, cui questo libro è dedicato.
Nell’infanzia e nell’adolescenza si vivono quelle quotidianità e quei rituali che al momento sembrano coinvolgerci noiosamente, salvo poi a riscoprirli anni dopo ben fotografati nella mente e meritevoli di essere ricordati e rivissuti in qualunque cosa ci offre il segno del loro passaggio.
Chi c’era può ritrovare nelle pagine della raccolta questi frammenti di vita e riviverli con un nostalgico sorriso. I più giovani possono scoprire che nelle strade del passato si sono susseguiti riti, episodi, legami e storie personali meritevoli di attenzione per essere stati le radici delle strade che percorrono oggi.
Grazie ancora Mena, per la tua attenzione e per il tuo pensiero