Il Dottore spunta dal lungo corridoio in zelante ritardo con la sua prosopopea, timbrando subito il cartellino della scarsa professionalità, dato che, semplicemente, essere puntuali nel lavoro e nella vita è segno di serietà (noialtri svegli dalle 7.00 per arrivare puntuali alle 8.00. Ma che importa, noi siamo “pazienti”, qualcuno poi, di che vuole lamentarsi, non è mica venuto con le proprie gambe, è spinto su una sedia a rotelle!)

Escludiamo categoricamente che il ritardo sia dovuto a qualche emergenza sanitaria, perché  il buon uomo ha pensato bene (sicuramente come segno di considerazione per i malati) di venire al lavoro con un improbabile rigato azzurro cielo, giacca avvitata e pantaloni alla caviglia per mostrare il calzino in tono con la sigla sulla camicia (forse),  super abbronzatura da lampada e fluente chioma, biondo-scuro tinta. Scambiamo tra noi qualche sorriso di intesa, auspicando un camice al più presto, macché, non lo indosserà neppure per visitarci. Non so perché, forse per un’iperbole difensiva della mente, penso a S. Giuseppe Moscati che, di sicuro, gli avrebbe dato due calci nel sedere.

Lungimiranti, sebbene stia finalmente arrivando, non tiriamo un sospiro di sollievo e infatti, come da copione, eccolo ritornare sui suoi passi, borbottando nell’aria, senza ovviamente guardarci in faccia “torno subito”. Ridiamo nervosi. Ma sì, avrà dimenticato qualcosa, il caffè, gli strumenti di lavoro o di salutare qualche collega all’arrivo: “siamo pazienti!” –ci redarguisce l’infermiera- “oggi abbiamo perso il senso di umanità e a volte vediamo le persone litigare per chi viene primo o dopo nella visita”.

E’ surreale! non ne posso più di questo squallido teatro dell’assurdo che si diffonde tra i sanitari come la loro peggiore malattia, malattia dell’ignoranza in tutti i sensi, della banalità di pensiero e della mediocrità. Andrei via prima della visita, convinta che non avrò alcuna sorpresa della serie “l’abito non fa il monaco”. Ma resto appellandomi ad un barlume di necessità a causa della malattia “Magari è bravo”, mi dico mentendo. Pazienti sì, ma non stupidi: nessuna sorpresa.

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