Leggere un carteggio, addentrarsi tra le righe di lettere private (benché pubblicate) è sempre un atto di invadenza e una strana forma di “violenza” di grande impatto emotivo. Momenti  intimi, parole strappate alle dita, alle labbra, al cuore. Leggere, poi, il carteggio incrociato di tre grandi poeti e scrittori, che hanno segnato il Novecento letterario, è un’esperienza intensa ed emozionante. Ho letto Il settimo sogno in “punta di piedi”, e confesso che più volte ho avuto la tentazione di interrompere la lettura, quasi come se stessi profanando qualcosa.

Rainer Maria Rilke, Marina Cvetaeva e Boris Pasternak si trovano stretti e intrappolati in una morsa epistolare che dura sei mesi, fino alla morte di Rilke,nel 1926. Solo parole, versi, senza mai incontrarsi, con la promessa e la paura di farlo. Si amano, si odiano, si cercano, si tradiscono, sempre con il timore di non ritrovarsi, e con la segreta e sofferta speranza di perdersi. Forse perché l’incontrarsi, il contatto dei corpi, avrebbe tolto loro qualcosa: quella comunione di anime, quello sfiorare e accarezzare  l’Io più nascosto dell’altro.

Nel sanatorio svizzero nel quale Rilke è ricoverato i giorni scivolano lenti, in attesa di quelle lettere: Il treno, Marina, quel treno (con la Tua lettera precedente) di cui poi non ti sei fidata, è giunto fino a me senza fiato; la cassetta delle lettere poco rassicurante era vecchia,  […]. Sì, Sì e ancora Sì, Marina, tutti i Sì possibili per tutto ciò che vuoi e sei, così grandi che presi insieme sono come il Sì della vita stessa…ma nel quale ci sono anche quei diecimila imprevedibili No…

E Marina, in esilio nel sud della Francia: Reiner, si fa sera, ti amo. Ulula un treno. I treni sono lupi, i lupi sono la Russia. Non un treno, la Russia intera sta ululando verso di te.

La voglia e la paura di Marina di bruciare in un interminabile “istante”, la ossessiva ricerca della “verità  ” (perché la verità non va oltre: esplode e brucia solo in pochi, preziosi  istanti) si scontrano con la dolce e dolorosa rinuncia di Rainer, ormai minato dalla malattia, spaventato.

E a Boris Pasternak, che vive chiuso nel suo piccolo appartamento nella Russia postrivoluzionaria, Marina scrive: Quando penso all’ ora della mia morte penso sempre: la mano di chi prenderò nella mia? e: soltanto la tua mano! Non voglio né sacerdoti né poeti, voglio chi per me soltanto conosce le parole (…). Voglio le tue parole, Boris, da portare in quella vita!

A Pasternak che le scrive: Che versi stupendi scrivete! Voi siete un poeta scandalosamente grande. Oh, come vi amo, Marina! Proprio come piace all’ anima… E poi verrà l’ estate del nostro incontro…Lei risponde: Sarò paziente e attenderò l’ incontro come la morte. Oh, non dovete temere le mie parole smisurate. Quanto alla vita con voi, come si fa a vivere con un’ anima in un appartamento?

La forza trainante è Marina che travolge i due, che si stimano profondamente, in un rapporto senza fiato, dove la lirica, la passione e l’erotismo si intrecciano in un nodo doloroso. Ardente, avida, ribelle, gelosa: Pura gelosia, Rainer. La stessa che l’anima prova per la carne.  In Marina tutto è passione. Una passione feroce per l’arte, la politica, la vita. Si innamora di giovani artisti, di poeti, di giovani sconosciuti, senza averli mai incontrati. E, in quei momenti, lei ama, ama così disperatamente da distruggersi.

Rainer Maria Rilke muore di leucemia il 29 dicembre del 1926.

Marina, alla notizia della sua morte, scrive queste parole:  Non ho voglia di scrivere un saggio su Rilke.[…] Ho voglia di parlare a lui (più precisamente – in lui). Il mio lui, il lui del mio amore che non è mai esistito al di fuori del mio amore…

Nel 1935 Marina Cvetaeva e Boris Pasternak si incontrano a Parigi, ed è la fine. Quell’amore impossibile non regge alla realtà. Il rapporto epistolare trai i due si interrompe. Eppure, il “sogno” non riesce a morire.  Pasternak  ama e stima moltissimo la Cvetaeva che ha avuto il coraggio, in un clima difficile, di dichiararsi avversa  alla Rivoluzione d’ottobre. In qualche modo Marina dà voce ai dubbi storici che lo tormentano. Ama in lei la forza, la coerenza, la voglia di risorgere nonostante i lutti dolorosi, e la vita di stenti che conduce da controrivoluzionaria. E’ un amore idealizzato che affonda le sue radici nel sogno. E’ un amore che non può e non vuole misurarsi con la quotidianità.

La Cvetaeva ritorna in Russia nel 1939. Perseguitata, vive una vita segnata dal dolore e dalla miseria. Quel fuoco, che le bruciava dentro, sembra quasi divorarla. Il rapporto con il figlio, l’unico che le è rimasto accanto, diventa ogni giorno più difficile.

In una sera di agosto del 1941, Marina cerca una corda, sale su una sedia e si lascia andare.

 Sappiate che esistono solo omicidi. Al mondo nessuno si è mai suicidato.

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