Una sera un padre si alza da tavola ed esce per andare “laggiù”. Ha perso un figlio, e “laggiù” è dove il mondo dei vivi confina con la terra dei morti. Non sa dove stia andando, continua a camminare per giorni e notti infinite.

 

È solo che il cuore
mi si spezza,
tesoro mio,
al pensiero
che io…
abbia potuto…
trovare
per tutto questo
parole.

 

Nel suo viaggio incontra altri personaggi piegati da un dolore simile al suo. Figure fortemente simboliche, ma anche cariche di una dolorosa umanità, e tutte perse dietro una speranza assurda che diventa certezza ad ogni passo, ad ogni caduta, ad ogni lacrima.

C’è il Duca, l’ostetrica, il ciabattino, e il professore di matematica che continua a riempire le mura di problemi , formule e calcoli, in modo ossessivo, quasi volesse trovare una risposta logica e razionale ad una perdita assurda e lacerante. E poi il Centauro, che segue idealmente il corteo, perché impossibilitato a muoversi, in quanto la parte inferiore del corpo è trasformata in scrivania. E’ uno scrittore che vive da anni circondato dagli oggetti appartenuti al figlio morto.

David Grossman ha perso un figlio sei anni prima : Questo dolore minacciava di paralizzarmi e pietrificarmi. E inizia un viaggio, convinto di poter ritrovare il figlio, convinto che anche il suo ragazzo si stia incamminando verso di lui.

Da quando ho perso mio figlio, ucciso in guerra sei anni fa, ho sentito di dover fare qualcosa. Di tentare un altro passo per arrivare ‘laggiù’, nel cuore di ciò che è successo. Cercare di capire, intuire. Dopo tutto, ho pensato, qualcosa di me, di mio, è già lì…

E’ una lunga poesia, profonda, incalzante, che inchioda ad ogni rigo, ma che spinge ad andare avanti. Strana sensazione quella che ho provato: era un continuo sentirmi trattenuta nella melma del dolore, per poi essere sospinta fuori verso qualcosa di indefinibile, verso qualcosa che potesse dare un senso , lì dove un senso non c’è. E Grossman lo fa con le parole, con la capacità che ha di rendere le parole viventi. E qui le parole respirano, urlano, diventano carezza, singhiozzi. Ed è con le parole che vuole disperatamente catturare la morte. Illusione? Forse. Eppure, alla fine del “viaggio”, si percepisce la morte non più come la nemica che ti lascia nella paralisi e nel gelo più profondo, ma si ha la sensazione che, affrontandola e dandole “vita”, si possa sfidare l’oblio, e resistere al tentativo della menzogna e del rifiuto. E finalmente quel dolore non è più solo devastazione.

Dietro l’immane sofferenza di perdere un figlio, c’è anche tutto il dolore che accompagna l’uomo nel suo cammino. Questo libro è un atto d’Amore, un abbraccio a tutti coloro che soffrono, e quell’abbraccio si sente. Dopo aver letto il libro ci si sente, forse, un po’ meno soli…E trovo questo straordinario.

Mariella Labagnara

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