Carmine Sanzari. Apro questa mia riflessione sulla stagione venatoria appena conclusasi, dicendo da subito e con convinzione che, la caccia per i prossimi anni, dovrà essere concepita come prelievo sostenibile gestito e produttivo, e non solo per il gusto di sparare ad ogni costo, perché tale concezione non’ha giustificazioni.
La sola strada da percorrere è quella di custodire la caccia, l’unica possibilità alla prosecuzione di questa arte e cultura venatoria per noi, e per le nuove generazioni, che piaccia o no a chi non la condivide, e interrogarsi tutti al più presto al fine di esserne consapevoli, non fosse altro, per il solo fatto di giustificarne all’opinione pubblica il legittimo esercizio per la sua prosecuzione.
La caccia per noi non vuol dire solo prelievo, vuol dire essere protagonisti e conoscitori, frequentatori degli ambienti naturali che conosciamo bene, e sappiamo di che male soffrono e pertanto, abbiamo il dovere di intervenire per riacquistare quella dignità persa per colpa di chi ne ha beneficiato per altri scopi personali, facendoci passare per persone criminali che danneggiano tutti e tutto.
L’arte venatoria da noi intesa quindi, invoca alla sostenibilità, correlata ad una gestione moderna, che sia responsabile, che custodisca gelosamente e con forza gli habitat, che sia produttiva di tante specie stanziali, nell’interesse generale della caccia, e con esso dell’ambiente, per poter tempestivamente intervenire affinchè le specie svernanti e stanziali, possano le prime, beneficiarne, le seconde proliferare.
Un tempo molto lontano, i nostri avi già praticavano la sostenibilità e con essa la produzione in cattività, capaci di custodire gelosamente, difendendo la selvaggina e l’ambiente, poiché erano coscienti che una gestione responsabilmente custodita, avrebbe loro consentito di esercitare ogni anno il prelievo sostenibile, altrimenti impossibile come oggi, che lo stato di fatto di queste specie stanziali, (starna, coturnice, lepre italica) ormai estinte, ne sono la conseguenza di una calpestata e sprofondata cultura venatoria, a cui bisognava guardare con rispetto, o quantomeno, cercare con tutte le forze di porVI rimedio, ma nulla di tutto ciò è stato fatto, per ora.
Un esempio pratico che porto sempre dentro di me è quello di preservare, come dicevano i nostri avi, conservare e difendere i ceppi di selvaggina, perché solo da essi ne potevano germogliarne tanti altri, e così via.
È questa in poche parole la sostenibilità, la conservazione delle specie di interesse venatorio, oggi un lontano miraggio.
Oltre al fallimento, di quanto gelosamente custodivano i nostri avi, bisogna ora necessariamente volgere anche uno sguardo alla selvaggina migratoria, la quale va giustificata con dati scientifici per poterne esercitare il prelievo, riteniamo necessario nella nostra regione pertanto, la necessità di istituire un osservatorio faunistico, in grado di smentire le teorie dell’ISPRA che, è inutile dire abbia solo parere consultivo, ha invece parere vincolante, ne è prova quanto accaduto con la sospensione della pre-apertura, la chiusura anticipata della caccia alla beccaccia con il cane da ferma, e così via.
Ma una certezza alberga stranamente nelle normative di casa, ora Europee, che regolano la caccia, non sono gli anti caccia a limitarci, ma chi non sa, o non vuole, una moderna caccia gestita responsabilmente, e custodita, e che volga alla sostenibilità, alla conservazione e difesa delle specie stanziali e migratrici, nonché alla produzione della stessa stanziale autoctona, nelle apposite zone riconosciute per legge, istituite allo scopo di reintrodurre ciò che siamo stati capaci di estinguere, ed ora, molti, ma non tutti fortunatamente, si accontentano del solo prelievo venatorio con la così detta e non riconosciuta pratica della “pronta caccia” tra l’altro, effettuata contro le regole basilari dei P.F.V.P. e con esemplari al macello, un diversivo per pochi nominati, e non certo per VERI cacciatori.
Proporsi con queste tematiche, in nome di molti cacciatori moderni, è un nostro diritto, tacere si è complici.
Di questa nostra posizione molto chiara, ci viene in aiuto il prematuro approvato Piano Faunistico Venatorio Regionale, che dovendosi attenere alla normativa Europea recepita a seguito del D.P.R. 357/97 di attuazione della direttiva 92/43/CEE, così come modificato ed integrato dal D.P.R. 120/2003, specifica che i piani faunistico – venatori e le loro varianti devono essere fatti oggetto di valutazione d’incidenza.
Da ciò deriva la necessità di sottoporre i piani faunistici – venatori provinciali alla Valutazione Ambientale Strategica e quindi, in ossequio al piano faunistico venatorio regionale che ne ha dovuto prenderne atto, di tale normativa.
I rappresentanti delegati alla caccia nel nostro comprensorio, pur conoscendo già la buona norma da tempo ben evidenziata nel Piano Faunistico Venatorio Provinciale, non ne hanno mai invocato l’applicazione, ne sostenuto la figura istituzionale competente in materia di caccia, in capo oggi all’ Assessore delegato dott. Gianluca Aceto che voleva, nell’interesse dei cacciatori, applicarla coerentemente.
Gridare poi che, le sopraggiunte normative Europee sulla materia caccia, volgevano ad una consequenziale ulteriore restrizione per la caccia, sembra essere una fantomatica artefatta politica venatoria che non’ha giustificazioni.
Invece, a smentire ciò, e sostenere l’intento della buona politica venatoria e, informare correttamente i cacciatori scontenti che sono la stragrande maggioranza avverso la gestione improduttiva venatoria fin qui operata nelle regie decisionali a livello regionale nonché provinciale in capo agli A.T.C.; ci viene incontro proprio la normativa Europea, recepita per obbligo a livello regionale, il cui Piano Faunistico Venatorio Regionale, così al primo punto INTRODUCE: CAPITOLO 1 : RIFERIMENTI NORMATIVI – 1.1 La gestione faunistico- venatoria:
“GLI OBIETTIVI DI UN PIANO FAUNISTICO – VENATORIO SONO REGOLATI DA UNA SERIE DI LEGGI, CHE VERRANNO IN SEGUITO ELENCATE, E CONSISTONO NEL REALIZZARE LE MIGLIORI DISTRIBUZIONI QUALITATIVE E QUANTITATIVE SUL TERRITORIO DELLE COMUNITÀ FAUNISTICHE, E NELLO STESSO TEMPO GARANTIRE IL DIRITTO ALL’ESERCIZIO DELL’ ATTIVITÀ VENATORIA A CHI LA PRATICA.
Questa introduzione, così chiara, così costruttiva, ci legittima a invocare ancora di più a gran voce, il riappropriarci di un nostro diritto e, pretendere da coloro i quali decidono, sia a livello regionale, nonché a livello provinciale, e per esso gli l’ A.T.C., ad applicare le leggi di casa, nonché quelle di recepimento a normativa Europea, avvertendo inoltre che, in contrario, provvederemo a farlo presente nelle sedi opportune per farne verificare la legittima validità o meno del proprio operato, al solo scopo di difendere i diritti dei cacciatori.
Carmine Sanzari Coordinatore Provinciale S.V.I. (Sindacato Venatorio Italiano).