Lorenzo Morone. Consentimi di rompere oggi quella scelta del silenzio che ho fatto il 17 febbraio quando, al compimento del tuo 64° anno, ho deciso di non chiamarti alle prime luci dell’alba per farti gli auguri. Già, scambiarci per primi gli auguri. Una consuetudine che ci accompagnava da sempre. E che mai avevamo tradito. Ma quest’anno no. Avevo deciso così. Ero in Sicilia, ad Acireale. E al risveglio avevo immediatamente preso il telefono per chiamarti…poi ho detto: no! Questa volta no. So che ci sei rimasto male, so che avevi profetizzato una sciagura. Me lo ha detto Lucia, la tua compagna silenziosa e paziente, anche troppo, in questa tribolata vita. Ora è il momento di dirti il perché della mia scelta. Volevo scuoterti. Volevo farti capire che il tempo di ritenere ancora valida la terza scommessa era finito. Non la accettavo. Già, le scommesse. Quante ne abbiamo fatte e vinte. Dalla scuola al calcio, dalla politica alla cultura. Ricordo, così, quella che ogni volta facevamo quando andavamo a Roma, alla CAF, il supremo organo calcistico nazionale ove sfilavano i migliori avvocati italiani. Io e te. Tu, l’avvocato, io il portaborse. Quante cause abbiamo vinto per salvare il Cerreto. Quante volte le nostre teorie, le tue argomentazioni, sono diventate legge. Ricordo ancora davanti la Corte Federale, quando ci presentammo per difendere la mia posizione: deferito perché avevo “osato” imporre ad un arbitro un minuto di silenzio per la scomparsa di un giovane cerretese alla vigilia di Natale. Se fossi stato condannato, addio alla mia carica di dirigente nazionale della Lega Calcio. Allora la Giustizia Sportiva non faceva sconti. Quando ci sedemmo, il Giudice chiese: Lei è il signor Morone Lorenzo, imputato. E lei? Sono l’avvocato Agostino Di Lella, rispondesti con orgoglio. E fui assolto conservando così, grazie alla tua bravura, l’incarico nazionale. Già. Avvocato Di Lella Agostino. Ciò che avresti voluto essere e che non è stato possibile perché…per tanti motivi che forse hai confidato solo a me. Poi vennero le scommesse serie. La prima fu quella di scuotere i politici, i tecnici, l’apparato burocratico che in Italia blocca tutto per far prima finanziare, poi riprendere i lavori di riparazione prima, di ampliamento poi, della sede dell’Istituto tecnico. Quanti articoli sul Mattino hai fatto. Durante le nostre manifestazioni di protesta li esponevamo con orgoglio e fiducia. Addirittura ne facemmo un libro da consegnare a tutti. Vincemmo e festeggiammo. INSIEME. Spero che qualcuno, troppo impegnato a sfruttare il presente per ricordarsi del passato, se lo ricordi.
Fu poi la volta del Museo. Andasti prima da solo a Faenza per vedere i pezzi lì esposti della ceramica cerretese. Li fotografasti e venisti da noi, dai tuoi amici a dirci: vedete, lì, a Faenza, nel centro mondiale della maiolica, c’è la ceramica cerretese. Venite a vedere, andiamo! E con i tuoi articoli, con la tua insistenza, convincesti l’amministrazione ad intraprendere l’avventura: Basta un piccolo museo, per ora, poi penseremo alla Collezione Mazzacane. E così fu. Festeggiammo insieme nel 1995, quando fu aperto il nostro piccolo Museo, ho festeggiato da solo quando il 27 ottobre anche il sogno della collezione Mazzacane è diventato realtà. Già, ero solo a godermi il momento della vittoria. Tu eri già a letto, immobilizzato dalla tua malattia, dalla tua intelligenza e soprattutto dalla mediocrità del burocratizzato sistema sanitario. Poi è stato il turno della terza scommessa. Una scommessa il cui termine avevamo procrastinato tante volte. Una scommessa che questa volta, non potendo vincere insieme, volevo assolutamente vincere io. Ma tu non volevi consentirmelo. Dovevi vincere tu. E l’hai vinta, anche se per festeggiare aspetterai di vedermi nel cielo e dirmi: visto? Anche questa volta avevo ragione io. E litigheremo, perché questo è stato l’unico argomento sul quale ci siamo divisi. Ora che giaci qui tranquillo, posso solo dedicarti due versi dell’altro grande tuo amore: la letteratura.
Dov’era l’ombra, or sé la quercia spande
morta, né più coi turbini tenzona.
La gente dice: Or vedo:era pur grande!
Ciao Agostino… Te ne sei andato per non ammettere di avere avuto torto una volta nella vita…non ce l’ho fatta. Questa volta ho perso solo io….ciao, Don Vito!
Renzo