Angelo Mancini. E’ di questi giorni la notizia che il ministero della pubblica istruzione intende proporre una modifica dell’orario degli insegnanti della scuola media superiore aumentandolo di 6 o di 3 ore senza, peraltro, nessun adeguamento economico. Prevale una visione aziendale della scuola, il voler equiparare il lavoro burocratico a quello didattico facendo leva sull’ “orario esiguo” di cui godono gli insegnanti. In un clima di caccia al privilegio, si crede di avere vita facile in tale intento, nell’additare alla pubblica opinione il’ “ridottissimo numero” di ore lavorative dei docenti e nel proporne un aumento nel segno di un improrogabile esigenza di giustizia. Si parla di ore di lezione in classe, ma si evita di parlare delle ore che gli insegnanti destinano alla correzione dei compiti scritti, delle ore passate a preparare la lezione da proporre in classe, delle ore di autoaggiornamento ect. Ebbene queste ore vanno conteggiate come ore lavorative o no? Oppure si ha la visione, perché in questa prospettiva conviene, dell’insegnante come di un missionario laico? In realtà, e anche smaccatamente, si intende esclusivamente fare cassa a discapito della formazione delle nuove generazioni con una aggravante non di poco conto: non toccando minimamente i milioni di euro che lo stato destina alle scuole private in barba al dettato costituzionale.
L’intento allora è chiaro:
“Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d’occhio i cuochi di questa bassa cucina. L’operazione si fa in tre modi: ve l’ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico”
(Pietro Calamandrei, dal discorso al III Congresso dell’Associazione a difesa della scuola nazionale, Roma, 11 febbraio 1950)
Ecco, invece, come affronta la questione dell’orario scolastico e degli insegnanti il futuro presidente della Repubblica Luigi Einaudi in un suo intervento sul Corriere della Sera del 21 aprile 1913.
[…] “Formare la mente ed anche il carattere del giovane; ecco lo scopo della scuola media. A raggiungere il quale non sono necessari ne i lunghi orari i, ne le prediche interminabili» né i programmi minutissimi. Tanto meglio anzi se il programma si limiterà alla semplice indicazione della materia da insegnare. L’insegnante valoroso sarà più libero nel dare ai giovani le nozioni che egli riterrà più atte ad interessarlo, a risvegliare ed esercitare la sua intelligenza, a renderla capace di risolvere problemi e superare difficoltà.
Che ha da far tutto ciò con le questioni proprie dei professori? Molto più che non sembri a primo aspetto. Perchè invero c’è crisi nell’insegnamento secondario? Perchè i professori sono mal pagati e non se ne trovano più abbastanza e solo gli scarti della gioventù universitaria, si dedicano ad una professione così mal remunerata. E sono mal pagati, perchè, essendo moltissimi e crescendone sempre il fabbisogno, la spesa totale aumenta benché gli stipendi unitari siano bassi. Facendo un esempio schematico, dato che in un paese ci siano 100.000 studenti divisi in 2500 classi, a 40 per classe, numero eccessivo didatticamente, ma che talvolta viene superato, due vie si possono tenere : o il sistema degli orari lunghi, delle molte materie e dei programmi particolareggiati; od il sistema degli orari brevi, delle poche discipline e dei programmi ridotti al titolo della materia. L’uno può dirsi il metodo della forma, l’altro della sostanza, il primo della esteriorità infeconda, del funzionarismo, il secondo della scuola viva ed educatrice. Io dico che il secondo sistema consente assai meglio di risolvere il problema dei professori. Supponiamo infatti che lo Stato non possa impostare in bilancio più di 10 milioni di lire per la scuola media, di cui si tratta. È possibile spenderle in due maniere, che si potrebbero ridurre in cifre come segue :
Orari lunghi/ Orari brevi
- Numero studenti 100.000/ 100.000
- Studenti per classe 40 /40
- Numero delle classi 2.500/ 2.500
- Numero medio delle ore settimanali di lezione per ogni classe 26 /16
- Numero totale delle ore settimanali di lezione per tutte le classi . 65.000 /40.000
- Numero medio delle ore settimanali dì lezione per ogni professore 20/ 16
- Numero dei professori necessari . 3-250/ 2.500
- Stipendio medio L. 3-076/ 4.000
- Spesa totale per lo Stato L. 10.000.000/ 10.000.000
Naturalmente questo è un puro schema grezzo, che nella realtà dovrebbe adattarsi alle infinite esigenze della scuola; ma giova a mettere in chiaro come, con la stessa spesa, sia possibile : 1) pagare 1000 lire circa di più di stipendio all’ anno ad ogni professore e quindi farli star più contenti; 2) diminuire il numero delle loro ore settimanali di lezione da 20 a 16; 3) ridurre il fabbisogno di professori da 3250 a 2500, rendendone più facile e nello stesso tempo più rigoroso il reclutamento; 4) diminuire da 26 a 16 le ore di insegnamento settimanale per gli studenti.
Sui vantaggi del quale ultimo risultato ho già detto abbastanza; ma son vantaggi che crescono a mille doppi quando alla diminuzione degli orari per gli studenti si accompagni la diminuzione delle ore di lezione per i professori. Questi sono diventati, cogli stipendi bassi e colla necessità di guadagnar da vivere, delle macchine per vender fiato. Da vent’anni a questa parte le ore di fiato messe sul mercato dai professori secondarli sono andate spaventosamente aumentando. Specie nelle grandi città, dalle 10 a 12 ore settimanali, che erano i massimi di un tempo, si è giunti, a furia di orari normali prolungati e di classi aggiunte, alle 15, alle 20, alle 25 e anche alle 30 e più ore per settimana. Tutto ciò può sembrare ragionevole solo ai burocrati che passano 7 od 8 ore del giorno all’ufficio, seduti ad emarginare pratiche. A costoro può sembrare che i professori con le loro 20-30 ore di lezione per settimana e colle vacanze, lunghe e brevi, siano dei perditempo. Chi guarda invece alla realtà dei risultati intellettuali e morali della scuola deve riconoscere che nessuna jattura può essere più grande di questa. La merce « fiato » perde in qualità tutto ciò che guadagna ini quantità. Chi ha vissuto nella scuola sa che non si può vendere impunemente fiato per 20 ore alla settimana, tanto meno per 30 ore. La scuola, a volerla fare sul serio, con intenti educativi, logora. Appena si supera un certo segno, è inevitabile che l’insegnante cerchi di perdere il tempo, pur di far passare le ore. Buona parte dell’orario viene perduto in minuti di attesa e di uscita, in appelli, in interrogazioni stracche, in compiti da farsi in scuola, ecc., ecc. Nasce una complicità dolorosa ma fatale tra insegnanti e scolari a far passare il tempo, pur di far l’orario prescritto dai regolamenti e di esaurire quelle cose senza senso che sono i programmi. La scuola diventa un locale, dove sta seduto un uomo incaricato di tenere a bada per tante ore al giorno i ragazzi dai 10 ai 18 anni di età ed un ufficio il quale rilascia alla fine del corso dei diplomi stampati. Scolari svogliati, genitori irritati di dover pagare le tasse, insegnanti malcontenti; ecco il quadro della scuola secondaria d’oggi in Italia. Non dico che la colpa di tutto ciò siano gli orari lunghi; ma certo gli orari lunghi sono l’esponente e nello stesso tempo un’aggravante di tutta una falsa concezione della missione della scuola media” .( Luigi Einaudi)
La travagliata storia della scuola pubblica italiana, nonostante cambino gli attori, sembra destinata a ripetere vecchi errori e a riproporre vecchie “tentazioni”.