
Lorenzo Morone. Nella Contrada della Madonna della Libera in Cerreto sorgeva già al tempo delle guerre sannitiche una cittadina, come dimostrano le pietre poligonali del tempio prima sannitico e dedicato alla dea Kerres, donde la Cerere romana, poi romano dedicato alla dea Flora. Anche i molti sepolcreti “all’uso sannitico” trovati nella zona e l’uso di costruire simili fortificazioni in luoghi adatti alla difesa e alla vita degli abitanti (pastorizia soprattutto e agricoltura) avvalorano questa tesi. Inoltre sul monte Cigno, sulla cui cima sono evidenti tipici terrazzamenti sannitici, sono state trovate varie monete romane, come pure sono osservabili nei muri della nuova Cerreto alcuni resti di epoca romana.
La chiesa che lì sorge, dedicata alla Madonna della Libera, è situata a poco più di tre chilometri dal centro urbano della cittadina, a ridosso del monte Cigno e di Montalto. Costruita parzialmente sul podio del Tempio Italico, la Chiesa spazia sulle verdeggianti colline che formano la conca in cui si adagia la Cerreto attuale, fino all’orizzonte chiuso dai monti del Camposauro e da quelli di Maddaloni-Caserta-Caiazzo..
La sua costruzione risalirebbe per alcuni storici (Iannacchino, Rotondi, Mazzacane) alla peste del 1656, che imperversò in tutta Italia. Per altri (Montono, Pescitelli, Pacelli) si tratterebbe di un magnifico e munifico ampliamento di una chiesa preesistente, fatto dall’Università. Anche io, leggendo le pietre, penso che la Chiesa attuale sia il risultato finale di più trasformazioni avvenute nel corso dei secoli: prima Tempio Italico, poi chiesetta ricavata nella cella, infine chiesa attuale che potrebbe risalire tranquillamente alla liberazione dalla peste del 1656. Infatti l’ambiente adibito a sagrestia, presenta tuttora delle forme caratteristiche di una chiesetta: sono visibili quattro capitelli con i relativi basamenti, incassati nel muro, la parte bassa di una costruzione rotonda (il vecchio campanile?), alcune decorazioni floreali (sec. XVI?) nel muro ad arco del piano superiore (ora soffitta).
Una preziosa fonte di notizie è stata per me il libro “Le dodici province del Regno di Napoli” Stella XXXII-del segno di Ariete, 1715 – Ordine dei Padri Predicatori, in cui si legge:
“…In una di queste Province, e precisamente nel Principato Ultra o Ulteriore, con capoluogo Avellino, era la Terra di Cerreto.…poco discosto dalla sopra descritta Terra di Cerreto sollevasi una collina, che ancora porta, e mantiene l’antico nome di Campo di Fiore, che ottenne, come si ha per tradizione antichissima, da un tal Capitano Romano detto Fiore, il quale vi piantò l’esercito, quando guerreggiò con l’Imperadore Licinio, che in una forte, ed inespugnabile Rocca erasi fortificato, e di questa si veggono in piedi alcune reliquie, tenendo ancora l’antico nome di Rocca di Licinio. In questo colle dunque era un’antichissima Chiesa fabbricata di grosse pietra quadrate, e poste una sopra l’altra senza calcina, delle quali pietre fino a qualche tempo fa ne veggono alcune sparse per quelle campagne. Era nulladimeno la Chiesa assai angusta, e vi si adorava una statua della Vergine scolpita in legno colorito, e il suo titolo era di Santa Maria della Libera. Durò questo culto fino all’anno 1656, quando dilatatosi per tutto il Regno il male epidemico (la peste), attaccossi anche in Cerreto. Intimoriti i Cerretani in vedere tanti portati al sepolcro in pochi giorni, come devotissimi di quell’antica Effigie, per averla più da vicino la portarono alla Chiesa delle Monache di S.Chiara, ove porgevano incessanti suppliche, acciocché il Signore, mediante la intercessione della Sua Santissima Madre, placando il suo sdegno, liberasse quel Popolo dal pestifero male. Non furono vane le loro suppliche, perché dopo alcune settimane cessò il contagio; onde quei Cittadini memori di un tanto beneficio, e grati alla loro sovrana Benefattrice, le donarono tant’oro, argento, denaro, ed animali, che cavandone la somma di settemila, e più scudi, con essi demolita l’antica, edificarono una nuova Chiesa, ma così magnifica, e riguardevole, che degnamente può dirsi unica in quei paesi. Vi sta destinato di continuo un Sacerdote, che con titolo di Cappellano vi celebra ogni festa la Santa Messa coll’assistenza di un Romito, che la custodisce. Il concorso è ammirabile in tutti i giorni dell’anno, vedendo quanto è liberale Maria della Libera nel liberarli da qualsivoglia travaglio, infermità, e miseria.”
Da questo prezioso documento nacque la certezza che le Pietre sparse davanti la Chiesa non stessero lì per caso, ma fossero qualcosa di più importante. Alcuni sondaggi mirati, fatti durante i lavori di recupero dell’edificio sacro, portarono alla scoperta che i massi superficiali erano poggiati su un altro filare di massi cementati a terra e sepolti da uno strato di terreno franato: erano I resti del Tempio Cerretese, su cui è stata poi edificata l’attuale Chiesa della Madonna della Libera, Finalmente fu così approntato un progetto che, grazie anche alla Soprintendenza archeologica di Salerno, mise in luce parzialmente il resti del Podio del Tempio.
Questi sono straordinariamente simili a quelli esistenti nel Sannio Molisano. Infatti il Tempio di Cerreto misura, alla base, m 17,92 X 10,81; il tempio piccolo di Pietrabbondante m 17,70 x 12,20, quello di Vastogirardi è praticamente la fotocopia del nostro, misurando m 17,92 x 10,81, con un’altezza del podio di m 1,83. Tali affinità fanno risalire la sua costruzione al II secolo a.C. (130-120) mentre la dedica alla dea Flora risulta ricavata dall’analogia toponomastica con la vicina località di Campo dei Fiori. Ma la presenza delle due fontane, quella di una cascata poco più a monte e la stessa identità architettonica con Vastogirardi ci farebbero ipotizzare una dedicazione a Mefite. E che la zona fosse franosa per presenza abbondante di acqua è emerso chiaramente durante i lavori di scavo.
Mefite è una divinità italica legata alle acque, invocata per la fertilità dei campi e per la fecondità femminile.
Il nome Mefitis è sicuramente osco, con la caratteristica -f- intervocalica, e deriva forse da “medio-dluitis”, donde “mefifitis” e quindi Mefitis, cioè “colei che fuma nel mezzo” oppure da “Medhu-io” cioè – “colei che sta nel mezzo”, ovvero entità intermedia fra cielo e terra, fra morte e vita. A lei veniva attribuito il potere di fare da tramite e di presiedere al passaggio. Il culto era diffuso in tutta l’Italia osco-sabellica, in particolare nelle zone abitate o frequentate dalle popolazioni sannitiche.
La presenza di Mefite si riscontra anche fuori dell’area osco-sabellica: a Cremona, a Lodi vecchio, a Roma – dove sono attestati un tempio (aedes Mefitis) ed un boschetto sacro (lucus Mefitis) a lei dedicati sull’Esquilino fin dal III secolo a.C. – e a Tivoli.
I luoghi di culto di Mefite sono situati quasi sempre in un ambiente caratterizzato dalla presenza di acque fluviali o lacustri.
Un aspetto non ancora indagato è l’eventuale rapporto tra questo culto e un rito di transizione quale la transumanza, che costituiva il passaggio delle greggi ai nuovi pascoli stagionali. Questa ipotesi è rafforzata dal fatto che a ridosso dei percorsi tratturali erano presenti antiche aree sacre dedicate a Mefite. Ma ciò che ora si sta mettendo in luce, da parte dell’Associazione Archeoastrologica da me interpellata, è il rapporto tra l’azimut dei templi sannitici e le stelle, come si sta scoprendo per alcune costruzioni Maja. Il fine è scoprire come gli antichi interpretassero i fenomeni celesti, come li utilizzassero e quale ruolo avesse la volta celeste nelle loro culture. Un rapporto che conferiva potere ai sacerdoti che davano, dall’alto del podio e grazie al comparire in cielo di una determinata stella, indicazioni ai contadini di dove, come e quando piantare per avere un buon raccolto. Ma questa è una storia intrigante di cui parleremo grazie alla sezione di Archeoastrologia di Napoli.
L’immagine proposta- Il podio del Tempio Italico di Cerreto Ricostruzione ideale del Tempio sovrapposizione tra la pianta del Tempio e quella della Chiesa
Lorenzo Morone
Trovo molto interessante la pubblicazione di questo studio che va interpretato credo, non solo per gli aspetti puramente scientifici degli ‘addetti ai lavori’ ma anche in una nuova consapevolezza sociale che, attraverso la conoscenza dei luoghi in cui si vive, si possono raggiungere due straordinari obiettivi. Il più semplice appaga la comune esigenza istintiva di conoscere le proprie origini, e, non secondariamente, la valorizzazione del patrimonio artistico può, e deve, innescare una sana economia che di questi tempi non guasta. Complimenti.
Da curioso, questa notizia mi ha fatto riflettere sul fatto che se fosse confermata l’ipotesi del santuario dedicato a Mefite, ci sarebbe una sorta di omogeneità con le altre aree sannite citate, e ritagliano l’area pedemontana cerretese nel territorio dei Pentri, quale gente delle alture. Più a valle invece, con una maggiore esposizione agli influssi della civiltà greca stanziatasi in Campania, si possono definire i Caudini, storicamente legati alla pianura campana intorno al Taburno e ai monti Trebulani. Sicuramente, ancora oggi, si notano queste differenze socio-culturali.