Filomena Rita Di Mezza. Nella calura estiva decido di fare una pausa dal mare. Andrò a Castellaneta (Taranto) a visitare un Museo dedicato a Rodolfo Valentino, divo del cinema muto di cui conservo nei ricordi sfocate immagini esotiche e qualche didascalia, qualificazioni che fino ad ora mi hanno fatto attribuire al personaggio una natura prevalentemente di celluloide: come se la sua esistenza fosse rimasta impressa per sempre solo in una pellicola.
Mentre cammino nel centro storico del paese, biancheggiato e silenzioso, ogni tanto arrivano folate di vento fresco, in piccoli turbinii. E respiro molto meglio che al mare. E penso che ho fatto bene ad allontanarmene.
Deve essere passata una sposa nel tratto che sto percorrendo, perché nel vicolo, a destra e a sinistra, ci sono piante da interno su ogni uscio, con brandelli di tulle svolazzante. Le padrone di casa avranno voluto metterle fuori, in segno di augurio e di partecipazione.
Mi lascio il vicolo alle spalle.
C’è un’ atmosfera araba, di luce bianca e densa. Mi piace molto.
Non so bene perché, ma continuo a pensare agli straordinari articoli di Scalfari e Ferraris letti in questi giorni sula Repubblica, circa il nuovo realismo e l’interpretazione della realtà. A quei livelli di discussione non è più importante per il lettore prendere posizione, perché ciò che arricchisce è essenzialmente la vigorosa bellezza di persone che ragionano con rigore, con intelligenza, sensibilità, Cultura e senso estetico della conversazione. Ognuno sa far brillare il proprio ragionamento, e, in un gioco di rimbalzo, chi legge assapora pienamente ora l’uno ora l’altro argomento. Ripenso, in particolare, a due passaggi della discussione. Il primo riguarda Eros, la forza istintiva che dà una curvatura all’intero essere e che ci rende soggetti desideranti, cioè desiderosi di desiderare, continuamente.
In base a questa tensione, la vita e la morte acquisiscono un senso e il disagio nella civiltà è che, a differenza degli animali, gli uomini non possono non desiderare il desiderio, cioè la ricerca incessante di ciò che manca. Il reale, dunque, per chi sostiene una posizione relativistica, è il senso che ciascuno di noi di volta in volta dà alle cose che conosce, possiede, anima attraverso l’Eros. E questo senso, questa interpretazione, non ha nessuna pretesa di ricerca della verità assoluta, perché è indissolubilmente viva e vera solo nel desiderio di ciascuno, preso singolarmente, nelle sua quotidianità: nel suo fuggente attimo di vitalità, che Eros dispiega.
Tanto è, conclude poeticamente Scalfari, che l’addio alla vita è quando Eros, in un estremo atto di amore, ti chiude gli occhi e ti abbandona insieme al tuo ultimo respiro.
Mentre scorrono questi pensieri sono giunta al Museo. Mi pare di ricordare che Eros, che ha trovato in Valentino una delle sue più fulgide espressioni, lo abbia (forse, proprio per questo) abbandonato presto, a soli trentuno anni.
Prima di entrare, mi accorgo di essere accanto ad un grande ritratto in bianco e nero. E’ un primo piano dell’attore affisso di fronte alla porta di ingresso del Museo. Penso che sia stato posto in una posizione intrigante: egli è fuori dal proprio Museo. E’ come se gli fosse stata data la possibilità di guardarsi dall’esterno, nel racconto di sé fatto dagli altri. In fondo, chi di noi non ha fantasticato qualche volta di vedere se stesso attraverso i commenti degli altri, quando ormai non ci siamo più? In effetti, mi sembra di scorgere un velo di malinconia in quel ritratto.
Il Museo che visiterò è la realtà di Rodolfo Valentino vista, sentita, pensata dal paese natio. Una realtà che esiste per il desiderio di alcuni di riavvicinare il Mito alle sue origini, ricostruendo una storia che riallacci i fili tra l’esistenza del Divo in America e la sua terra. Ciò che mi colpisce è che in questo piccolo Museo, accanto alla immagine documentaria di Valentino, fatta di filmati storici, bobine originali dei suoi film, costumi, oggetti: insomma, cose concrete, si gusta una continua ricostruzione del personaggio, attraverso i vivaci e coinvolgenti interventi della guida, del Presidente della Fondazione e degli astanti. Quella che vivo è una realtà animata dal desiderio. In quel momento e in quel contesto quella realtà non potrebbe essere più vera.
Se Ferraris scrive in modo meno poetico, nondimeno mi affascina nel ragionamento. Se sosteniamo che non esistono fatti, ma solo interpretazioni relativistiche della realtà, finiamo per chiudere gli occhi di fronte a tutto il mondo dell’essere che resta fuori ad un’interpretazione, ad un sistema di pensiero o di desiderio. Ferraris definisce questo mondo dell’essere che resta fuori, “lì fuori”, come ciò che nella nostra vita quotidiana ci colpisce e ci disorienta proprio perché resiste al nostro pensiero, al nostro desiderio, alle nostre intenzioni: “soprattutto è la nostra vita, fatta di porte che non si aprono, di occhiali che non si trovano, e ovviamente di felicità inaspettate. In queste esperienze quotidiane, noi incontriamo la cosa in sé, ciò che esiste innanzitutto perché insiste e resiste al pensiero”.
Questa che segue è la foto di Rodolfo Valentino affissa di fronte all’ingresso del Museo. E’ stata scattata dall’interno del Museo.
Quando vedo la foto resto colpita dalla possibilità di sintetizzare in un’immagine i pensieri che mi hanno accompagnato in questa visita al Museo. C’è un uomo che guarda l’interpretazione di sé nata dal desiderio dei suoi compaesani di ricordarlo. L’esperienza di conoscenza che offre questo Museo toglie al mio personaggio ogni natura di celluloide e lo rende estremamente reale, desiderabile, davvero ne percepisco il fascino e la bellezza. Un effetto di verità nato da un contesto di desiderio.
Ma, l’occhio sensibile del fotografo ha colto un dettaglio che risalta proprio perché sembra non avere niente a che fare con un Museo, con un Divo, con il bianco e nero. Si tratta di due comunissime cassette di plastica colorate, di quelle che si usano per metterci la frutta, le verdure…
Esse erano “lì fuori”. Semplicemente e inaspettatamente. La sorpresa in un contesto di pensiero. La realtà.
…
(foto di copertina di Lucio Fiorillo)