Il gioco delle tre carteEra il gioco dei giochi, a Napoli, sui marciapiedi davanti alla stazione centrale, al Corso Garibaldi, sotto la Galleria o dovunque c’era un passaggio di persone frettolose.  Era il gioco delle tre carte che mi affascinava quando, uscito dall’università, mi avviavo frettoloso verso il treno, pronto a perderlo pur di godermi quella favolosa sceneggiata. Mi fermavo a guardare, incantato non dalle carte ma dall’organizzazione perfetta finalizzata a truffare il passante di turno. Un panchetto pieghevole, tre carte da gioco e una “paranza”, piccola banda di  5 o 6 persone, ciascuno con il suo compito, uniti a crocchio intorno al “mastro di carte” che mischiava le tre carte e le faceva roteare più volte sul ripiano del  panchetto aperto come un piccolo  tavolo da gioco.

      Vicino a lui due “compari-giocatori” facevano finta di non conoscersi tra di loro e puntavano accanitamente fior di 10.000 lire sulla carta “vincente”, ma perdevano puntualmente perché sfilando i soldi dalla tasca fingevano di dover abbassare gli occhi e questo consentiva al manipolatore di spostare la carta vincente per farli perdere. Intorno, altri “compari” “assistenti” al gioco parteggiavano per i “giocatori” e a volte puntavano anch’essi.

La calorosa partecipazione creava un clima di favorevole connivenza che trascinava i passanti. Chi si fermava a guardare prima o poi era spinto  a partecipare e lo stimolo a puntare diventava sempre più irrefrenabile.   A qualche metro il “palo” badava che non si avvistassero vigili, poliziotti o carabinieri. In tal caso partiva un fischio, il mastro di carte chiudeva a libretto il panchetto e sparivano nella folla.

Un’organizzazione perfetta, con ruoli precisi e degni di un’affiatata banda inserita nella cornice di un’estemporanea sceneggiata  napoletana. “La carta vince”, “la carta perde”. I due “compari-giocatori” a volte perdevano ma a volte vincevano perché la vincita doveva stimolare “i passanti” fermatisi ad osservare. La scena era sempre la stessa. “Il pollo” si fermava, guardava con aria disinteressata come a dire “a me non mi fanno fesso”, poi piano piano, incoraggiato da quelli che vincevano (non sapendo che erano complici) e confidando sulla  sua presunta furbizia, si faceva largo,  sempre più vicino al panchetto, soldi in mano e “zac” partiva la puntata sulla carta che credeva di aver seguito in tutti i suoi spostamenti.

A questo punto il gioco diventava psicologico. La “paranza” studiava in un attimo il soggetto per capire se bastava farlo perdere una volta sola o se era meglio incentivarlo con qualche vincita per spingerlo a puntare più volte con la voglia di rifarsi ma col risultato di perdere tutto. Una vincita, una perdita e così via. Al momento opportuno un’occhiata d’intesa  e un urlo:  “ …’a polizia…’a polizia”…”. Non era vero ma, come per incanto, le carte sparivano, il panchetto si ripiegava a libretto e tutti i compari sparivano dissolvendosi tra la folla come in una  rosa dei venti. Sul posto restava il truffato, ma ormai era troppo tardi per capirlo.

Si allontanava a testa bassa con un magone in gola, il portafoglio più leggero e il dramma di doverlo raccontare a casa. Ho visto in quegli anni persone perdere anche 2 o 300.000 mila lire. Poi i napoletani hanno capito che a Napoli non c’era più spazio, che il gioco era “bruciato” e si doveva emigrare in altre città  per cercare clientela più vergine. Hanno colonizzato le varie piazze d’Italia e il gioco si è anche evoluto, con paranze che oltre alle  tre carte usano   i bicchieri o le campanelline sotto cui nascondono il cecio o la pallina da scoprire. Cambia la location ma la sceneggiata è la stessa e alla fine c’è sempre un truffato che resta e dei truffatori che fuggono.

Ora per la prima volta in Italia il gioco dal reato da truffa semplice è stato “promosso” ad  associazione a delinquere finalizzata alla truffa. Ci ha pensato il Tribunale di Torino che con le prove offerte dalle telecamere dei carabinieri ha condannato 17 persone a tre anni di carcere.  Quella paranza non guadagnerà più oltre 3.000 euro al giorno ma di certo c’è già quella di riserva che aspettava solo di entrare “in gioco”.

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Aldo Maturo 1210 letture al 31/12/2012

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13 Commenti

  1. Questa era la Napoli prima del dilagare della camorra. La Napoli del “Teatrino dei burattini”; la Napoli dei “Gioco delle tre carte” da te meravigliosamente descritto; la Napoli del furto delle quattro ruote ad una macchina ferma al Parco delle Rimembranze con una coppia di fidanzatini che amoreggiavano: quando il ragazzo mise in moto, innestò la prima e la macchina non partiva, scese e la trovò su quattro blocchi di cemento. Episodi che ti facevano anche sorridere.
    La Napoli della segatura negli scatoli di Malboro. Assistetti ad una scena degna di essere riportata da De Filippo: il maldestro acquirente girò l’angolo aprì la stecca di Malboro e la segatura gli cadde addosso. E’ impresso in me il suo volto stupito: si guardò intorno, rimise lo scatole nella busta di plastica e disse: “manno fatto fesso”.
    Ed i pataccari! Dopo aver inflazionato Napoli si spingevano fino a Milano: erano dei poliglotta dei dialetti italiani, li conoscevano tutti alla perfezione. Vendevano le patacche per orologi d’oro Omega. Una volta, sull’area di servizio di S.Nicola la Strada ove spesso effettuavano le vendite agli stranieri, chiamai i Carabinieri e quando arrivarono i pataccari così si difesero:”Merescià che site fesso vuie! Vu accattassite pe oro ‘st’orologio, chiste è ‘a marca ‘ell’oro? Vedite ‘o 750 quant’è gruosso? Nuie ‘o pagammo mille lire e ‘o vennimmo a duie”
    Ciao Aldo.
    Pietro Quercia

  2. purtroppo non è così…la camorra c’era eccome!!! era meno strutturata ma 🙂 Nell’immediato dopoguerra oltre al contrabbando, la delinquenza, ma non è ancora camorra, si occupa dei prodotti alimentari che vengono dalla campagna alla città per forniture ai privati e per forniture pubbliche. Fioriscono figure di mediatori che detengono in realtà il monopolio dei mercati. Si affermano figure criminali che non sono ancora boss camorristici, ma ne costituiscono i perfetti antecedenti. I prodotti vengono dalle aree che qualche decennio dopo diventeranno veri recinti camorristici: il nolano, l’agro nocerino sarnese, il giuglianese casertano, la zona costiera vesuviana, con al centro Castellammare e Torre Annunziata. L’intervento dei gruppi criminali è violento; nel nolano tra il1954 e il 1956 vengono commessi 61 omicidi, è la terza zona nella classifica nazionale degli omicidi.(40)

    • Gentilissimo amico, conoscevo già quei testi che Lei ha così dottamente citato, solo credo che Lei non abbia tenuto conto di una variabile importantissima: la camorra di quei tempi era mossa da ben più benevoli intenti verso la popolazione. Infatti sopperiva alle mancanze ed alle prepotenze del potere ufficiale aiutando e proteggendo il popolino. Allora la mancanza di opportunità spingeva la gente ad arrangiarsi, ma lo faceva con ordine sottostando a regole ben precise. Non mi dilungo oltre.
      Chi le dice, però, che la situazione in altre città d’Italia e d’Europa fosse diversa? Non dimentichiamoci la Corte dei Miracoli di Parigi, I bassifondi di Londra etc.
      Vorrei fosse chiara una cosa: non mi sta bene solo che tutti quelli che amano generalizzare lo facciano a senso unico. Mi spiego: se andiamo a guardare il passato di TUTTI troveremmo tantissimi “scheletri” nei loro armadi, ma io ed i miei concittadini ci guardiamo bene dal dichiarare tutti assassini i Lombardi o tutti ladri ed approfittatori i Piemontesi e così via. Non è nel nostro stile. E questa la dice lunga su chi sbaglia molto e su chi sbaglia meno.

  3. Caro Pietro, simpatico il tuo commento che inquadra ancor meglio il periodo. Forse però noi, giovani ed inesperti, eravamo più attratti in quegli anni dagli aspetti folkloristici della piccola criminalità napoletana mentre le dinamiche sottese alla spartizione della città erano appannaggio degli addetti ai lavori.
    Ho visto che in tanti, a Telese, avete commentato favorevolmente l’operazione della magistratura che indubbiamente ha dato un grosso colpo alle famiglie che si spartiscono il territorio. Concordo con il doveroso ringraziamento del sindaco e capisco che vi è sembrato all’improvviso di veder splendere finalmente il sole.
    Io sarei più cauto perché la storia del crimine testimonia che le famiglie non lasciano mai a lungo dei vuoti e c’è sempre chi prende il testimone al volo. D’altra parte, per tradizione storica, una certa criminalità è un po’ come la forma dell’acqua e prende sempre la forma dei territori in cui opera.
    In provincia di Benevento da metà dicembre a metà marzo (100 giorni circa) ci sono stati 67 reati. Parliamo naturalmente solo di quelli denunziati (28 furti, 6 rapine,7 incendi,3 aggressioni,7 truffe,8 scippi, etc..etc..).
    A livello nazionale, per l’ordine pubblico, la provincia di Benevento è 52^ su 107 province, come ho scritto su un mio recente intervento su questo sito.
    C’è ancora tanto da lavorare e la speranza è che una capillare educazione alla legalità che parta sui banchi di scuola, di anno in anno, possa contribuire a migliorare le cose. Qualcuno ha scritto anni fa che la mafia non è un’organizzazione criminale ma una forma mentale. Speriamo che non lo si possa mai dire della camorra.

  4. Oggi splende a Telese un sole caldo ma ciò non è dovuto all’intervento della Magistratura, delle Forze dell’Ordine o alla lettera di ringraziamento della maggioranza consiliare. Ho ringraziato l’ amministrazione ritenendo il suo intervento epistolare solo un impegno, perché prestissimo sarà chiamata alla prova del nove e voglio non credere che siano così ingenui da pensare che basti così poco per far splendere il sole.
    Non nascondo che se fossi amministratore sarei disposto a fare brogli ma solo nel caso in cui gli appalti venissero aggiudicati alle Ditte locali, certamente serie quando non c’è da pagare il pizzo politico.
    Pietro Quercia.

  5. gentili amici tutti, fare del folklore a spese dei napoletani è uno sport che alletta anche i nostri fratelli campani a quanto vedo. Guardatela così: Napoli e il suo interland sono una sola città metropolitana, anche dall’alto, scendendo con l’aereo ci si rende conto che non c’è soluzione di continuità, si vede solo una immensa città abitata da 5 milioni di individui. Che voglio dire? Che non è la quantità di reati che si commettono a contare ma il loro rapporto percentuale con il numero di abitanti. Se teniamo presente questo concetto ci accorgeremo che, forse, a Roma e a Milano e a Torino si commettono più reati che a Napoli anche perché tutto quello che succede nella provincia di Napoli viene attribuito alla città; ma Napoli deve portare la croce. Da napoletano voglio poi precisare che il gioco delle tre carte è un gioco molto antico che si giocava migliaia di anna fà usando delle ciotoline. Quindi i napoletani del dopoguerra non hanno inventato niente del genere, semmai, vista la grande povertà che ci affliggeva allora, lo hanno riportato in vita per sbarcare il lunario. La camorra non lo ha mai avallato ne sfruttato anche perché ci sono tanti reati molto più redditizi che vengono commessi, anche in tutta Italia. Finiamola perciò di etichettare Napoli ed i napoletani; andate a conoscerli e vi renderete conto di quanto siano meritevoli di amicizia e considerazione.

  6. Caro Sergio, scusami se mi rivolgo a te affettuosamente pur senza conoscerti, ma dimmi: a Milano ti hanno venduto una patacca? Senti quest’altra storiella, la lessi sul “Roma” una quarantina d’anni fa.
    Un giornalista svizzero si recò a Napoli perché voleva scrivere un articolo sui furti che in essa avvengono ed esserne parte coinvolta. Si riempì la macchina di apparecchiature appariscenti e facilmente commerciabili (cineprese, macchine fotografiche, ecc.) ed a Napoli soggiornò una settimana perché voleva che gli rubassero le apparecchiature ma non successe nulla. Si fermava in tutti i bar delle cosiddette zone malfamate, lasciava la macchina aperta con le chiavi inserite, nulla. Decise di tornarsene in Svizzera per scrivere un articolo di diverso contenuto rispetto a quello che pensava di scrivere ma, appena oltrepassato il confine, si fermò per bere un caffè e, all’uscita, non trovò più la macchina. Il ladro, preso, risultò essere un napoletano.
    Le storielle che ho riportato solo per aggiungere qualcosa al gioco descritto da Aldo e che mi lasciano un senso di profonda amarezza quando penso alla Napoli di questi ed altri casi di delinquenza che lasciai oltre quarant’anni fa e la Napoli attuale che compiango.
    Provo un profondo senso di fratellanza verso la stragrante maggioranza di napoletani seri ed onesti e dei quali conosco l’immenso cuore.
    Un caro saluto.
    Pietro Quercia.

    • Caro Pietro, ti sono estremamente grato per il tuo bellissimo commento al quale vorrei aggiungere una sola cosa: il mio, più che altro, era stato uno sfogo, per altro abbastanza contenuto, su un fatto inconfutabile. Quando succede qualche cosa ad Aversa o Melito, per esempio, i media non fanno altro che citare il “misfatto commesso a Napoli”, mentre se succede qualcosa a Pieve Emanuele che si trova a due passi da Milano, è successo a Pieve Emanuele. E a questo sono abbastanza rassegnato. Ma vedere dei fratelli fare della facile ironia su noi napoletani mi ha ferito profondamente. Almeno fra noi aiutiamoci
      poiché sappiamo bene che Napoli non è affatto diversa o peggiore di qualsiasi altra città italiana.
      Aggiungo solo che sarei estremamente onorato di fare la tua conoscenza e anche quella di chi ha, involontariamente, fatto scattare il mio risentimento, se non altro perché abbiate la conferma che la stragrande maggioranza dei napoletani sono degni della vostra amicizia.

  7. Caro Sergio, anch’io desidererei conoscerti. Ho abitato a Napoli, al Parco Ameno di via Tasso, per 11 anni. Nella città più bella del mondo ho trascorso la mia giovinezza, immagina quanto l’ami.
    La sai la poesia del grande Eduardo? “…Napule è bella ‘e notte, ‘e juorno ‘e a mmattutine; quant’è bella Napule quann ‘a saie chiammà napulitanamente “Napule”.
    Quando l’ho lasciata, quarantacinque anni fa, Napoli era un incanto, un sogno ed era vivibile: ti poteva succedere che ti vendsessero le Malboro alla segatura, ti poteva succedere di incontrare il cosiddetto Guappo e farti una scazzottata, ma nulla più.
    Oggi, invece, una grossa maggioranza vuole fare il guappo e chi non conosce il napoletano, per evitare, fa il fesso.
    Un giorno andai a trovare mio fratello che abita al Viale delle Mimose al Colli Aminei e, poiché mi vide fare il giro per ben tre volte per cercare un posto per parcheggiare, dall’ottavo piano mi fece segno di immettermi in una stradina laterale. Essa mi sembrò un vicolo cieco e feci una manovra a retromarcia approfittando di uno spazio lasciato libero dalle auto perché vi era un garage. Procedevo a millimetri per non urtare nessuna macchina, ma, dal primo piano di un palazzo, sentii una persona sbraitare e dimenarsi, poi ebbe il sostegno del figlio con la voce più potente del padre: “Fermatelo, m’a scassate tutt’a fiancate da macchina”. Io incredulo per qualche istante, poi fui costretto anch’io a vestirmi da guappo e ad usare parolacce, invitandolo a scendere per verificare. Ciò fino a quando si fermò un signore che, in dialetto napoletano, gli disse: “ma cosa vuoi, hai tutta una fiancata rovinata ed il signore non ha un graffio”.
    Potrei dirtene cento di questi episodi e, per uscirtene indenne, devi sempre fare il guappo.
    Ciao Sergio, ti abbraccio.
    Pietro Quercia.

    • Carissimo Peter, i casi della vita qualche volta mi sorprendono ancora. Pensa che nel periodo da te citato, io abitavo in Via Aniello Falcone, a pochi passi da Via Tasso. Chissà quante volte ci saremo incrociati senza sapere che un giorno ci saremmo conosciuti. Sono d’accordo con te per la Napoli di 40/45 anni fa, si, era effettivamente un sogno. Non sono in accordo con te sulla constatazione che è la maggioranza a voler fare il “guappo”. Si tratta sempre di una sparuta minoranza di stronzi. Si tratta comunque, come si diceva una volta, di guappi di “cartone” che si mettono a tacere già solo facendo la voce grossa. I delinquenti veri, anche quelli minoritari per grazia di nostro Signore, avrebbero sparato direttamente. Non posso darti qui il mio recapito telefonico ma, se ne hai voglia, puoi trovarmi su facebook.
      Un fraterno affettuoso saluto.
      Viva Napoli e viva Telese Terme
      PS un “fattariello” come il tuo con l’auto mi è capitato a Portici ed il guappo in questione era addirittura il Sindaco che non ebbe scrupoli a mandarmi i VVUU a casa. Sai come finì il fatto? Con l’aiuto di un amico pubblicai la faccenda su un foglio locale e non ne sentii più parlare. Qui sorge spontanea una domanda: chi sono i veri delinquenti a Napoli?

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