
Lucio Rubano. Nell’estate di qualche anno fa, ho avuto il piacere di conoscere Giuseppe La Porta, cusanese trapiantato in Belgio, a Charleroi, dove il papà era emigrato negli anni 50. Tra noi è nata da subito una stima ed una simpatia reciproca, e ciò mi ha permesso di conoscere la sua storia, fatta di grandi sacrifici ma anche di grandi soddisfazioni. Il papà di Giuseppe, infatti, a faceva il minatore a Marcinelle e fu solo grazie ad un cambio turno imprevisto, che non si trovò coinvolto nell’incendio che scoppiò in una miniera del BoisduCazier l’otto agosto del 1956, in seguito al quale morirono 262 minatori, di cui 136 italiani.
Tanti sacrifici hanno fatto i genitori di Giuseppe per evitargli di andare in miniera, sacrifici che lo hanno portato a diplomarsi, a laurearsi in ingegneria tecnica e poi a diventare un imprenditore affermato in terra belga, ma con un forte legame, non solo affettivo, con la nostra terra. Conscio e consapevole delle ottime maestranze presenti a Cusano, non esita, infatti, a commissionare lavori favorendo la conoscenza della realtà produttiva del nostro piccolo paese. Giuseppe, classe 1952, il 25 aprile ha compiuto sessant’anni e ha organizzato una grande festa alla quale ha invitato anche me, insieme a tanti altri amici di Cusano. Non abbiamo esitato ad affrontare queste mille miglia che separano il nostro paese da Charleroi, per rispondere all’invito di Giuseppe, perché, davvero, non si può non volergli bene e non gli si può dire di no.
Ho conosciuto la sua splendida famiglia, la moglie Luisa, le figlie, Sabrina e Diana, con i rispettivi mariti, Beniamino e Nino, il nipotino Emilio, nato da appena un mese. Ho visto la vita bella e piena che ha saputo costruire, mattone dopo mattone, con tenacia e passione e mi sono ritrovato a pensare al tremendo periodo che stiamo attraversando, ai giovani che non hanno più speranza, che non riescono a immaginare il futuro. Gli anni 50 del secolo scorso non erano così diversi, c’era da ricostruire un Paese, dilaniato da macerie morali e materiali. Erano anni difficili, pieni di fame e di difficoltà, pieni di situazioni disperate, ma nonostante ciò, in tanti hanno trovato la forza di sperare l’insperabile e quei tanti hanno fatto dell’Italia il grande Paese che, ancora e a dispetto di tutto, è. Le statistiche che circolano in questi giorni non sono drammatiche solo perché ci forniscono numeri altissimi di disoccupati, ma perché ci offrono numeri altissimi di giovani che non cercano più lavoro, per stanchezza, per disillusione, per mancanza, appunto, di speranza. L’amico Giuseppe e la sua storia, che è la storia di tanti altri nostri connazionali che, qui in Italia o all’estero si sono costruiti da soli e dal nulla il loro futuro, dimostra che a questi giovani è necessario dare, oltre che dimostrazioni di serietà, di fermezza morale e di impegno concreto, lo spunto, l’input per ritornare a sperare e riavere fiducia nel futuro.
Cusano Mutri, 4 maggio 2012
Lucio Rubano