
Pino Pietropaolo. Nei giorni in cui la ricorrenza dell’otto marzo ripropone nei dibattiti la centralità della donna nella vita sociale e la sua emancipazione, vi sono da segnalare due iniziative che all’otto marzo in qualche modo si collegano.
Le iniziative sono ad opera di due giovani amorosine (l’una purosangue, l’altra di adozione, essendo il padre, Serafino, un amorosino di nascita) che condividono non solo la parentela – sono cugine – ma anche lo stesso nome e cognome: Michela Pietropaolo.
L’una ha effettuato un accurato ed efficace studio sul ruolo dei consultori e sulle potenzialità, invero ancora inespresse nei nostri territori, degli stessi.
Non solo, come spesso erroneamente si è portati a pensare, “centri di ascolto” – specie su tematiche a carattere sessuale – ma luoghi nei quali, attraverso mirati percorsi, scoprire o riscoprire tecniche di relazione con i propri congiunti, o con tutto ciò che a 360° ci circonda.
Ed allora, tanto per citare uno tra molteplici esempi, non solo non deve stupire ma va sostenuto, il coraggio della donna manager nel mettersi in discussione ed afforntare un iter formativo al termine del quale avrà appreso a gestire meglio il rapporto con la figlia adolescente (rapporto che, causa i serrati ritmi di lavoro, stava imboccando la pericolosa china della incomunicabilità).
La ricerca è stata decisamente apprezzata, tanto da essere stata pubblicata su “Noi donne”.
L’altra, non nuova a forme artistiche nelle quali riversa la propria straordinaria sensibilità, ha avuto la soddisfazione di veder pubblicata una propria poesia “Un nome: Nair” sulla raccolta “Poeti e Poesie”.
Delicato è il tema trattato: la solitudine e la rassegnazione, il dolore e l’angoscia di una giovane prostituta, Nair appunto, niente altro che mera merce attraverso la quale soddisfare piaceri effimeri e scaricare tensioni e rancori.
Nessuna attenzione alla sua anima, nessuna riflessione sul fatto che di fronte ci sia un essere umano, con i propri sogni, i propri desideri, le proprie speranze.
Per questa donna solo una soffocante e consapevole disperazione.
Ed è bello che appena si siano spente le luci sulla componente commerciale dell’otto marzo, si continui a riflettere sulle tante, troppe donne, ancora solo oggetto e così vicine da essere drammaticamente invisibili.