
di Giuseppe Di Cerbo. Il 31 marzo 2013 è la data fissata da un emendamento del Governo Monti entro cui Giunte e Consigli in carica delle province decadono. Indipendentemente da ogni considerazione di carattere costituzionale, oltre a quello puramente dei costi per le rispettive collettività, credo che l’argomento debba essere visto anche da un altro punto di vista, quello, cioè dell’importanza che esse rivestono in rapporto ai servizi essenziali delle esigenze primarie dei Comuni, per la loro crescita attraverso il coordinamento per lo sviluppo economico, culturale e sociale delle popolazioni e dell’ambiente. Ma su questo aspetto si sono espressi concordi all’unanimità tutti i partiti politici che, nel 2008 (durante la campagna elettorale…) a parole, ne auspicavano l’abolizione nel 2013 (a parole, ma, nei fatti nel 2009 diedero vita ad altre cinque o sei di tali asili parassitari!!!). La medesima data è stata indicata dal Governo Monti, con la differenza che, mentre per i primi era semplice ignominiosa promessa elettorale, quest’ultimo pare voglia fare sul serio.
Fatta salva qualche rara eccezione, questi Enti non hanno alcuna ragione che ne giustifichi l’esistenza, tranne quella di essere un ricettacolo parassitario di subdoli protegés (parenti, amici e cumparielli) e serbatoi di voti della Casta politica. Sulle cui spalle ricade gran parte della responsabilità, perché, non avendo concesso alle medesime significativi poteri, tali da giustificarne l’esistenza, ha creato di fatto una sovrapposizione delle competenze delle Regioni, istituendo ulteriori – gravosi e dannosi – passaggi burocratici per le necessità di aziende e cittadini. Ma, al danno dell’inutilità, bisogna aggiungere la beffa dei costi. (Fonte Eurispes 2008): nel 2006 13 miliardi di euro di spesa complessiva, 11 miliardi di euro di flussi finanziari in entrata più 2 miliardi di euro di indebitamento! Il risparmio ottenibile dalla loro abolizione sarebbe stato (nel 2006) di 10,6 miliardi di euro. Monti ha capito – e certo sapeva – che le Province costituiscono una sorta di cancro, le cui metastasi, se non asportato immediatamente, causerebbero la morte dell’organismo in cui si è sviluppato. Un esempio dei maggiormente significativi è quello della strada provinciale Limatola/Cantinelle, da due lunghissimi anni dannazione dei cittadini di un paese definito anni addietro (molti, ahinoi) la Svizzera italiana, da televisioni e stampa nazionali, per le decine di aziende operanti sul suo territorio (e di un indotto che ha reso a moltissime famiglie la costruzione o l’acquisto di una casa propria) e di ristoranti che prosperavano grazie (anche all’ottima cucina) all’affluenza di maestranze e personale delle fabbriche, come pure della clientela locale. Il soldo c’era e girava: il benessere, insomma, invidia di tutti i paesi limitrofi.
Mi raccontava giorni fa un ristoratore che all’epoca, dalla sola presenza “forestiera”, suo padre aveva un reddito mensile assicurato di oltre tre milioni di lire. Tutta l’economia del paese fioriva. Poi, la favola, come in un film dell’orrore, si tramuta in dramma. Le aziende chiudono l’una dopo l’altra, l’indotto scompare con esse e per molte famiglie rimangono da pagare i prestiti per auto e moto alle finanziarie ed i mutui delle case alle banche. Il commercio languisce, i ristoranti e le pizzerie tristemente vuoti. Colpa della Provincia? Se non proprio colpa, la responsabilità è in gran parte imputabile ad una insufficiente, diciamo inesistente gestione della sua presenza sul territorio e della carenza di un controllo attento e programmatico sui lavori pubblici di sua competenza. Il manto (quel che resta) della strada provinciale è un disastro totale, non soltanto per la sicurezza degli utenti, ma per tutte le conseguenze di carattere economico che comporta (gomme, braccetti, ammortizzatori, carrozzeria, etc.). Il rifacimento della rete idrica, causa del disastro, non ha beneficiato di alcun controllo, malgrado le insistenti lamentele e ricorsi scritti, come pure i numerosi articoli sulla stampa locale, avessero fatto ripetutamente notare l’inadeguatezza professionale e tecnica della ditta (o ditte) appaltatrice. E sarebbe stato sufficiente vederla all’opera per rendersene conto. Ma nessuno s’è visto, che questo artucolo probabilmente, non sarebbe stato scritto. I lavori (sic) sono ultimati da circa otto mesi ma, evidentemente, senza un collaudo definitivo, visto che si verificano perdite di acqua continue. Da circa due anni Limatola vanta la ristrutturazione del castello medievale, inaugurato da Katia Ricciarelli, che, per la sua bellezza maestosa (nonché per l’ottimo ristorante) meriterebbe una fiumana di visitatori. Lo stesso potrebbe dirsi degli eccellenti ristoranti del paese, ben noti e amati dai buongustai. Se ciò non avviene la causa è giustappunto la strada provinciale. Specialmente di sera, infatti, la sua pericolosità ne sconsiglia a chi l’ha percorsa di ripetere l’esperienza. I cittadini di Limatola, gente seria, operosa e creativa, sono oramai avviliti e sgomenti; i commercianti, le poche imprese che resistono in particolare, sono alla disperazione. Il paese si sente abbandonato e dimenticato. La Provincia, questo carrozzone di sprechi, anche alla propria sopravvivenza utile, lo sarà invece, per i Limatolesi, il giorno in cui sarà smantellata.