La 'grotta del gesso'di Emidio Civitillo. Una meraviglia ad alta quota nel Parco Regionale del Matese. Questa “grotta”, molto particolare, si trova ad una quota di oltre 1.300 metri sul livello del mare, sul lato anteriore e poco al di sotto della sommità del “Palumbaro” (parte orientale del Monte Mutria), in territorio di Pietraroja (BN) che, com’è noto, è la “patria” del celeberrimo fossile di dinosauro “Scipionyx samniticus”, meglio noto come “Ciro”, famoso in tutto il mondo.

La “grotta”, per farla conoscere meglio, viene qui presentata con diverse foto scattate in occasione di due distinte escursioni.  La “Grotta del gesso” (in dialetto locale detta “a rott’ u ggìss’“) è così chiamata perché l’acido carbonico, assieme ad altre sostanze chimiche, scioglie il calcare e crea nella grotta uno strato di roccia tenera (molto bianca, che sembra gesso) di alcuni centimetri di spessore sulla roccia dura. Tutta la “grotta” sembra una enorme camera pitturata con pittura bianca. Ovviamente occorre un torcia o una lanterna per percorrerla.

La “grotta” è percorribile senza problemi e il piano di calpestio pende verso l’ingresso. Ha una profondità di circa 25 metri e in fondo ad essa c’è una piccola sorgente di acqua fresca e limpida, alla quale in passato i pastori si recavano a bere, quando, dalla tarda primavera all’autunno, a Monte Mutria era molto diffuso l’allevamento brado, specialmente di ovini. Gli anziani raccontano che a volte i pastori vi pernottavano con il gregge, essendo la “grotta” un ottimo ricovero dalla pioggia e dalle intemperie. In tal modo essi risparmiavano anche alcune ore di faticoso spostamento con gli animali, necessarie per scendere agli ovili posti alla base della cresta del Monte Mutria e per risalire il mattino successivo.

La zona montagnosa in cui si trova la “grotta” domina vasti e suggestivi panorami, pressoché in ogni direzione. E ciò contribuisce notevolmente a rendere la “grotta” ancora più interessante, oltre che bella. Colpisce anche il fatto che in quella località, a causa dei ripidi pendii e delle asperità, gli alberi non vengono mai tagliati e muoiono di vecchiaia. Anche i rami e i tronchi secchi, non essendo trasportabili, marciscono sul posto e si trasformano in “humus”.

COME SI ARRIVA ALLA GROTTA

Alla “grotta” si arriva ovviamente a piedi, con due possibili percorsi alternativi. Sono entrambi molto suggestivi e richiedono più o meno lo stesso tempo di percorrenza: in media da un’ora e mezza a due ore. Il percorso un po’ meno faticoso sembra essere quello che consente di arrivare alla “grotta” da Nord/Est, ossia da “Pesco Rosito”, che è un grosso sperone roccioso posto all’inizio del bosco “La Torta”, ad Ovest del Passo di Santa Crocella, in territorio di Pietraroja.

Il bosco, abbastanza conosciuto di fama, è una vasta e ininterrotta foresta di alberi di faggio lunga diversi di chilometri. Inizia in territorio di Pietraroja e continua n territorio di Guardiaregia (in provincia di Campobasso) fino alla “Sella del Perrone”, dove inizia il territorio di Piedimonte Matese (in provincia di Caserta). Proprio sulla “Sella del Perrone” c’è un quadrivio che consente di andare in 4 direzioni diverse:

  •  1) – Guardiaregia,
  •  2) – Lago Matese e Piedimonte Matese (passando per San Gregorio Matese e Castello Matese);
  •  3) – Campitello Matese
  •  4) – Bocca della Selva.

L’altro percorso, ugualmente molto interessante, consente di giungere alla “grotta” dalla direzione pressoché opposta, ossia da Ovest, partendo a piedi dalla località Sambuco di Monte Mutria, lungo la strada panoramica Sud-Matese, a circa 4 km prima di giungere a Bocca della Selva salendo da Pietraroja. Lungo questo percorso, che inizia in territorio di Cusano Mutri (BN), si passa per la “Fontana dell’Acera”, la più elevata in quota delle sorgenti.

DA PESCO ROSITO ALLA “GROTTA DEL GESSO”

Il grosso sperone roccioso posto all’inizio del bosco “La Torta”, noto come “Pesco Rosito”, deve la sua denominazione (riportata sulle carte topografiche) al fatto che quella zona è particolarmente ricca di piante di rosa canina, chiamata “rosa ianara” dalla gente della zona.

A “Pesco Rosito” si arriva in macchina. Salendo da Sud (sul versante beneventano) al “Passo di Santa Crocella”, prima di giungere al “Passo” (all’incirca 2 km prima) si svolta a sinistra attraversando in macchina la “Parata Tufo” (vasta zona a pascolo, con scarsa vegetazione arborea), fino a “Pesco Rosito”, che è visibile da lontano. Lasciata la macchina a “Pesco Rosito”(a 1.195 metri s.l.m.), si procede a piedi verso Ovest, affrontando il pendio nord del “Palumbaro”.

Camminando piuttosto adagio, per non stancarsi facilmente, dato il percorso impegnativo e la relativa carenza di ossigeno a quella quota, dopo poco più di un’ora, facendo di tanto in tanto anche qualche piccola sosta “per riprendere fiato”, si sale sul “Palumbaro” a quota 1.375 m s.l.m. Naturalmente si segue un percorso ben preciso, che, per chi vi si reca la prima volta (e forse anche quella successiva), richiede l’ausilio di una guida esperta.

In montagna non si scherza: è facile sbagliare strada (specialmente in zone coperte da boschi piuttosto fitti) e se all’improvviso cala la nebbia, la situazione può diventare, per chi è inesperto, veramente complicata.

Giunti sul “Palumbaro”, si procede per poche centinaia di metri ancora verso Ovest e mantenendo pressappoco la stessa quota. Si sale ancora appena di 25 metri, fino a 1.400 m. s.l.m., dove, sull’orlo dei precipizi e delle asperità del lato anteriore (esposto a sud) del “Palumbaro”, s’imbocca il viottolo (piuttosto ripido e di non facile individuazione nella parte iniziale) che consente di scendere, adagio e con una certa prudenza, all’affascinante “Grotta del gesso” (a 1.315 m. s.l.m.).

COME LOCALIZZARLA DA LONTANO

L’ingresso della “grotta” non è visibile da lontano, specialmente quando gli alberi di faggio posti davanti alla grotta sono ricoperti di foglie. Ma anche in inverno, con gli alberi spogli, l’ingresso della grotta sarebbe visibile (e solo in parte) soltanto con l’ausilio di un potente strumento ottico (ad esempio un cannocchiale) dalla zona del Parco Geopaleontologico o dal ripetitore RAI di Pietraroja, oppure da alcune zone della conca di Cusano Mutri. Ma anche con l’ausilio di un cannocchiale, non è semplice individuare il punto dove si trova la “grotta” e in cui puntare lo strumento ottico tra le asperità rocciose del “Palumbaro”.

Ovviamente per le persone che sono esperte dei luoghi e che conoscono la “grotta” (ma non sono molte) il discorso delle difficoltà cambia quasi totalmente.

La “grotta” è percorribile senza troppi problemi e il piano di calpestio pende verso l’ingresso. Ha una profondità di circa 25 metri e in fondo ad essa c’è una piccola sorgente di acqua fresca e limpida, alla quale in passato bevevano spesso i pastori quando, dalla tarda primavera all’autunno, a Monte Mutria era molto diffuso l’allevamento brado, specialmente di ovini.

Gli anziani raccontano che a volte i pastori vi pernottavano con il gregge, essendo la “grotta” un ottimo ricovero dalla pioggia e le intemperie. In tal modo essi risparmiavano anche alcune ore di faticoso spostamento con gli animali, necessarie per scendere agli ovili posti alla base della cresta del Monte Mutria e per risalire il mattino successivo.La zona montagnosa in cui si trova la “grotta” domina vasti e suggestivi panorami, pressoché in ogni direzione. E ciò contribuisce notevolmente a rendere la “grotta” ancora più bella, oltre che interessante.

Colpisce anche il fatto che in questa località, a causa dei ripidi pendii e delle asperità, non viene praticato lo sfruttamento forestale, per cui gli alberi non vengono mai tagliati e muoiono di vecchiaia. I rami e i tronchi secchi, non essendo trasportabili, marciscono sul posto e si trasformano in “humus”.

Emidio Civitillo

Tutte le foto dell’escursione

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