di Vincenzo Vallone. Vincenzo Vallone è il corpo proteiforme dell’arte, che da un braccio di terra arsa prolifera, fuggendo le risposte già date, per un mondo d’ostriche e di luna, e un fondo di luce diversa. I suoi colori addestrati traggono specchi dal silenzio, razzi cadenti e pietre di luce, chiaroscuri affilati. Egli è cultore di un’arte segreta. Il suo spettacolo consiste nel deporre le armi del quotidiano dolente.
Tre le farfalle, che nascono da prospettive capovolte, dai molti denti arrugginiti della metafisica. Ciascuna ha ali per violare la vita prigioniera, inclinata, cadente, la legge di gravità che scuote il sangue dell’umana ferita in versione “rete da pesca schiumante naufragio”. Ovunque è leggerezza, eco prolungata e feconda, longitudinale, necessaria e superflua al contempo. Il fronte dell’arte di Vallone non sta mai fermo, avanza di continuo, con il piede giocoso di un bimbo che corre, ingoia aria e farfalle, profuso nel gioco. Le sue mani simboliche raccolgono e lasciano al caso il compiersi della tela, dove il fine è l’evidenza di vedere materiali grezzi, striduli, cromati che si ricompongono, s’arrotondano e si fondono, rimanendo uguali. Le sue mani simboliche dedicano fasci di fiori al lutto, con ironia inimmaginabile dal punto di vista della sorte. Il battito d’arte minaccia conforto, solleva alla vita cose inanimate, che si fanno carne, raccolta ben digerita d’ogni confessione. Sono farfalle che hanno perduto la fusoliera, il pericolo di un’offesa, la geografia d’origine molecolare, per diventare una linea perfetta, irreale, degna del respiro di un reduce vittorioso, architetto famoso.
L’opera tripartita inneggia alla creatività, ha ostacoli tecnici da superare, si serve di basi scientifiche per farlo, ma se ne allontana, non per diverbio né per inganno, come un’intonazione musicale si allontana dallo spartito. Il bel canto di Vallone c’induce, così, al mondo che vorremmo raggiungere.
Felice Casucci giurista – scrittore
Nella novecentesca opera pucciniana “Gianni Schicchi” su libretto del Forzano, Rinuccio canta l’aria “Firenze è come un albero fiorito che in piazza dei Signori ha tronco e fronde”.Quei “fiori”erano già sbocciati nel 1436, con Filippo Brunelleschi, genio rinascimentale fiorentino, che aveva idealmente collocato il giglio, simbolo della purezza e della verginità della Madonna, sulla cupola del Duomo, in Santa Maria del Fiore.
Il fiore, senza il suo corredo faunistico simbolicamente e diffusamente rappresentato dalle volute eleganti e leggiadre della regina dei lepidotteri – la farfalla – risulta mancante dell’essenza che vi è propria. Il fiore, approdo e nutrimento della farfalla, è l’anello fondamentale per la vita di tutte le specie vegetali. Ci piace considerare Vallone esponente della corrente che si esprime attraverso figuralità immaginifiche. con le sue “lamiere fiorite” e con l’impiego della pittura polimaterica, che si trasformano in energia visiva come in questi tre momenti significativi dell’effimera esistenza della farfalla: la nascita, il fulgore ,l’immobilità
Attraverso un appropriato cromatismo è descritta la nascita del lepidottero sul filo bleu teso che, incerto nell’andare e non ancora abile al volo, cerca di trarre dal tepore solare le energie necessarie per asciugare le ali, appena uscite dalla pupa, e librarsi nell’aria.
Nell’ elegia della leggerezza dai colori sfavillanti, viene rappresentato il pieno fulgore della breve esistenza della farfalla che, in un anelito di generosità, traina, con grazia e leggiadrìa, le scarpine della ballerina. Poi, impietosa, sopraggiunge la fine della parabola vitale dell’insetto con chissà cosa prova a stare nella rete una bellezza infranta, che viene elaborata non attraverso una immagine ferale, bensì attraverso un fatale preludio al ripiegamento definitivo delle sue ali, imprigionate nella rete del breve tempo della vita che la natura a lei concede.