Da giorni il pensiero mi perseguita e vado rimuginando su quello che succede a chilometri di distanza dove si stanno gettando le basi della “città telesina”, proprio lì dove ho vissuto per tanti anni e dove il sogno si sta avverando senza che possa partecipare a tale storico evento.
Gli occhi socchiusi scrutano l’infinito e vedono apparire, in un paesaggio opacizzato dalla familiare nebbia autunnale che sovrasta la vallata, un manto di tetti e palazzi che partendo dalle colline di Castelvenere e dalle pendici solopachesi del Taburno coprono la vallata abbracciando Telese, S.Salvatore ed Amorosi fino a lambire le case di Puglianello, sfumando poco a poco verso un’ estrema periferia confusa con le prime campagne del casertano. Sei paesi, dopo una casta vita da single, si sono improvvisamente convertiti al coniugio e hanno deciso di abbandonare consolidate tradizioni storico, religiose, culturali e, perché no, dialettali, per confluire in un mega agglomerato urbano.
Al Grand-Hotel, unico albergo a 4 stelle della nuova città, sei sindaci e un centinaio tra consiglieri ed assessori da giorni sono riuniti a porte chiuse perché non vogliono rinunciare alla loro identità né sacrificarla sull’altare di questa nuova entità territoriale. Tutti rivendicano almeno una fetta di storiche ed esclusive competenze legate alla peculiarità del territorio che rappresentano. Nella cattedrale di Solopaca i sei parroci della zona hanno indossato le pianete delle cerimonie solenni, quelle adornate di preziosi ornamenti. Mentre loro discutono intorno alla fonte battesimale indecisi sul nome da dare alla neonata cittadina, i chierichetti ormai insofferenti giocano con le candele, il diacono dondola il turibolo diffondendo nell’aria un sacro odore di incenso e il sacrestano, sincronizzato con tutti i colleghi della valle, aspetta di poter far partire le campane elettroniche per il felice annuncio.
Le cose non vanno meglio su in alto dei cieli, dove un summit coordinato da S. Stefano vede assisi S.Martino, S.Sarbato, S.Leucio, S.Michele e S.Girolamo che non hanno alcuna intenzione di perdere il carisma e il rispetto dei propri fedeli, memori di quanto accaduto al loro collega S.Gennaro. Il Concilio Vaticano II° aveva declassato il suo culto solo all’ambito locale e lassù tutti lo avevano preso in giro per essere diventato un santo di serie B. A nulla erano valse le scritte dei napoletani che avevano riempito i muri della città con un affettuoso “San Genna’, futtetenne!”.
Pentiti dall’aver creato un tale scompiglio, i 22.000 abitanti cominciano a mugugnare e a meditare sulla decisione presa pensando che forse meglio sarebbe stato mantenere la vecchia identità culturale e geografica.
A qualcuno viene in mente la frase del sindaco di Telese alla famosa riunione dell’8 ottobre :… “Telese non è obbligato a unirsi con altri comuni…ma sente la necessità di fare massa critica e da comune capofila guidare lo sviluppo di questa nuova connotazione urbana; questo è il nostro futuro…”.
Nelle piazze c’è chi mette in dubbio questa leadership di Telese come capofila, anche se in cuor suo sa che una simile pretesa sarebbe inevitabile e non solo per la posizione geocentrica del paese. Ha le Terme, ha la più alta concentrazione di uffici pubblici della provincia, è il comune più densamente popolato (715,0 abitanti/kmq), è il terzo comune con reddito medio pro capite più alto (€ 9.122), è il comune con il più alto tasso di natalità (13,4), negli ultimi dieci anni è l’unico ad aver avuto un aumento di popolazione a due cifre (+22%). Se poi è anche il comune con il più alto tasso di divorziati della provincia questo riguarda solo alcuni mariti, le rispettive mogli e i loro avvocati.
Comincia a serpeggiare l’idea che al posto di una megacittà incolore e piena di contraddizioni foriere di inevitabili conflittualità si potrebbe fare invece un’ Unione di Comuni sfruttando quel benedetto art.32 del T.U.E.L. n. 267 del 18/8/2000.
Nei bar e nelle piazze gli studenti di giurisprudenza si divertono a rimestare il disagio, rimettono in discussione l’idea della fusione generalizzata e promuovono quella dell’ Unione, dell’ “associanismo” per ottimizzare l’attività amministrativa. Può essere la soluzione per coordinare la gestione di alcuni servizi comunali secondo i famosi criteri di economicità, efficacia ed efficienza, ripetono meccanicamente sull’onda delle leggi Bassanini. L’unione dei Comuni – assicurano con un po’ di saccenza davanti a una tazza di caffè – non è un nuovo carrozzone perchè non ci sarebbero nuove poltrone. I componenti del Consiglio e della Giunta, in questi enti, sono tratti dalle risorse umane già disponibili nei Consigli e Giunte dei Comuni facenti parte della cordata e quindi a costo quasi zero.
Tornando a casa i padri riferiscono in famiglia che l’Unione non si sovrappone ai Comuni, anzi, li aiuta a svolgere meglio molti servizi e crea uno strumento territoriale funzionale per la gestione associata di servizi, in maniera da determinare maggiori economie. Ci si mette solo in rete, per collaborare, interagire, migliorare i servizi del territorio, evitare duplicazione d’interventi, dividere i costi.
Trasporto scolastico, Polizia Municipale, Raccolta Rifiuti, Immigrazione (nei soli sei paesi citati ci sono 566 stranieri residenti cui si aggiungono gli irregolari in numero non quantificabile), Assistenza sanitaria domiciliare agli anziani. Avremmo risolto il problema del nonno e quello della badante rumena, dicono con convinzione ad una moglie indaffarata con la lavatrice mentre il figlio 18enne, mentalmente assente, smanetta con la Play station 3.
Tutto sommato il discorso fila, nessuno rinuncia alla propria specificità, si può continuare ad amministrare i servizi che non si conferiscono all’Unione, non si entra in lotta di collisione tra i santi protettori e rimangono inalterate le tradizioni che caratterizzano da sempre la singola comunità urbana.
Lo so, forse si allontana il bel sogno della città telesina, ma vuoi vedere che anche se non si chiama così quest’altra cosa potrebbe funzionare veramente?
Aldo Maturo 1009 letture al 31/12/2012