di Michele Selvaggio. Anche quest’anno si è riproposta, grazie alla volontà del Forum Giovani di Telese Terme, uno spazio culturale nella Manifestazione Telesèbellissima. Il tema scelto era ‘Le Attività Produttive di Telese Terme in immagini d’Epoca’. Lo spazio espositivo si è poi arricchito con alcune collezione tematiche dei collezionisti locali Pino Votto e Antonio Borrelli. Una esposizione, per sua stessa definizione, è un luogo simbolico ed immaginifico nel quale all’osservatore esperto ma anche a quello fugace, si offre l’occasione per una visione critica di oggetti evocativi del passato ma utili al futuro.

Come abbiamo avuto modo di scrivere spesso, Telese è una città giovane, in cerca di una collocazione storica e di comunità.  Le immagini che ogni anno proponiamo sono un contributo a questa ricerca di specifica identità ed uno spunto per una riflessione collettiva.

Mi si consenta una breve definizione di ‘identità culturale collettiva’.

Questa ricerca di una ‘identità’ si riferisce alla percezione che ogni individuo e ogni gruppo ha di se stesso. Questa percezione non è solo il risultato di una presa di consapevolezza dell’individuo o del gruppo, bensì risulta dal riconoscimento reciproco fra l’individuo e la società cui egli appartiene e con la quale intrattiene relazioni. L’aggettivo ‘culturale’ deriva dal termine ‘cultura’ – qui intesa come patrimonio di norme di condotta, valori, usi e linguaggio che uniscono gli individui. L’‘identità culturale’ di una persona è quindi un insieme di numerose identificazioni particolari riferite ad altrettante appartenenze culturali distinte, in continuo mutamento.

Essa presuppone contemporaneamente l’iscrizione in due dinamiche: la prima è quella del rapporto di assimilazione/diversificazione rispetto all’ altro, la seconda è quella del rapporto individuale/collettivo.

La storia millenaria di Telesia-Telese con i passaggi di numerose civiltà e culture è, in questo senso, esemplare. Città dell’accoglienza viene popolata e ricostruita dopo le numerose distruzioni sempre con l’integrazione di popoli differenti. Ma anche questa continua rinascita dalle ceneri contribuisce a ricreare, in epoca romana, longobarda, normanna, settecentesca e nel novecento una cultura non etnocentrica. Una ‘città’ aperta e multietnica ante-litteram.

L’‘etnocentrismo’ indica la tendenza a considerare il proprio gruppo come centro di ogni cosa e a giudicare gli altri gruppi, le altre società, le altre culture e le loro forme culturali religiose, artistiche, sociali, morali come inferiori ai propri modelli culturali. Il risultato di questo modo di definire se stessi e gli altri è un’idea dell’umanità come costituita da agglomerati più o meno ampi di esseri umani in cui la classificazione tra noi e gli altri, viene assolutizzata sulla base dell’individuazione di determinate qualità – reali o presunte – che sarebbero distintive degli individui appartenenti ai gruppi in questione e che traccerebbero confini invalicabili tra i gruppi. Nello stesso tempo la propria cultura, con tutti i suoi modelli di riferimento e comportamento, viene identificata come ‘la’ cultura in assoluto – l’unica valida, autentica, naturale, originaria e, quindi, ‘umana’.

Ovviamente ragionare in questi termini, in una società dinamica è improponibile ovvero è foriera di violenza ed emarginazione. Come parziale soluzione dell’impasse che qualsiasi membro di qualsiasi diversa comunità umana ragioni così, ci si deve porre davanti agli altri con un ‘etnocentrismo critico’, vale a dire la consapevolezza che qualsiasi interpretazione e valutazione daremo dell’altro, questa non potrà non essere frutto di una specifica prospettiva culturale e pertanto relativa. Ma proprio il confronto dei nostri valori e dei nostri modelli di riferimento con quelli degli altri sarà ciò che permetterà di tornare a possedere i nostri con accresciuta consapevolezza critica.

La telesinità, questa identificazione etnica, è stata l’argomentazione maggiormente dibattuta nel corso della Manifestazione da parte di chi si è soffermato ad ammirare gli oggetti esposti.

Città popolata per gran parte da immigrati possiede, però, una fetta di popolazione giunta alla quarta e quinta generazione. Laddove era visibile una sincera sorpresa in un pubblico giovane o da poco stabilitosi in paese, di fronte ad immagini di luoghi e Persone ormai scomparse e sostituite, parimenti sincera era la riflessione di chi – l’altra Telese – l’aveva vissuta. In questi, citando anche alcuni recenti interventi su stampa e Vivitelese.it, si apprezzava una vera e propria coscienza etnica con la riflessione che senza questa necessaria costruzione simbolica -prodotto di circostanze storiche, sociali e politiche determinate – che consiste in una definizione di sé e/o dell’altro basata su rapporti di forza tra soggetti differenti che insistono sullo stesso territorio per l’accesso alle medesime risorse, non si potrà mai programmare un’anima comune ed una pianificazione culturale del futuro. Evidente, in tutti, è la perdita d’identità di una comunità sorta intorno all’impresa termale, riciclatasi negli anni ottanta in un terziario diffuso e smarritasi con lo sviluppo, inevitabile, ma caotico urbanistico degli ultimi anni.

Questa riflessione comune e sentita di chi si è soffermato a riflettere, mi spinge a pensare che la definizione di sé e/o dell’altro, in termini di costruzione simbolica avviene promuovendo, nel nostro caso, una rimozione della realtà storica del gruppo, delle relazioni tra i gruppi sul medesimo territorio e dei rapporti di forza che li hanno visti protagonisti e sostituendo tale rimozione con una memoria storica reale o presunta (memoria etnica), giustificando come naturali -quindi assoluti, eterni, giusti -quegli elementi che definiscono i gruppi. In questo modo ci si prepara, come comunità, a intraprendere ed interpretare il futuro. Il guado culturale, il blocco comunitario che tutti avvertono, e che, a seconda delle convenienze, scaricano come responsabilità sugli altri, può essere superato solo prendendo coscienza di quanto ho finora espresso.

Il luogo così costruito, ragionato e progettato, richiama anche un’altra nozione, quella di località. La ‘località’ è un concetto che consiste nella percezione del luogo, delle sue dinamiche e delle sue peculiarità da parte di coloro che l’hanno creato (e/o che lo abitano); in questo senso è in diretta relazione con il processo attivo di orientamento nello spazio e con la nozione di luogo. Ma la località così concepita è anche in diretta relazione con il senso d’appartenenza a un ‘noi’ collettivo – interno al luogo – rispetto a un ‘altro’ (o più ‘altri’) esterno a quel luogo e in tal senso tale concetto si lega strettamente, come stiamo ripetendo, alla questione dell’identità.

Cosa accade quando persone che si riconoscono afferire a ‘noi’ differenti ‘insistono’ sullo stesso luogo?

In primis, rischia di emergere un conflitto di tipo etnico – e non solo Telese ma anche la società italiana contemporanea ne è un esempio calzante, con la presenza ormai strutturale di comunità di diversa origine culturale e al contempo il riemergere di identità locali ‘autoctone’ che rivendicano la priorità di diritti sul territorio.

Ma, se a livello della dimensione locale si può concretizzare il rischio del conflitto sociale, nella stessa vi è anche la possibilità di sperimentare relazioni faccia-a-faccia e di discutere concretamente i propri riferimenti simbolici e le concezioni della propria identità. Questa sembra un’ipotesi di soluzione del potenziale conflitto sociale particolarmente realistica e percorribile nel caso della società italiana fortemente connotata, oramai, dall’abitudine alla soluzione dei problemi e delle sfide della contemporaneità a livello locale, con sperimentazioni, innovazioni e tentativi ‘dal basso’ – e Manifestazioni come questa con più paternità – lo dimostrano.

Condividere la memoria e la percezione soggettiva del luogo in cui viviamo può essere una di queste strategie di incontro/confronto/condivisione/progettazione, e – nel caso più felice – potrebbe addirittura svelarci che, nel nostro essere assolutamente ‘unici’, abbiamo ciononostante tratti in comune con altri ‘noi’ che abitano lo stesso territorio. Una premessa alla quale vale la pena guardare per costruire modi particolari, locali, inediti per vivere insieme – per costruire nuove appartenenze collettive e nuove ‘comunità’.

 

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