La definizione più appropriata di Telese è stata probabilmente quella elaborata da don Nicola Vigliotti definendola ‘città dalle molte vite’. Con questa semplice frase, si esprimono sinteticamente le radicali trasformazioni antropiche di una città che tramanda il suo nome da ben oltre due millenni.
Dell’ultima vita, la quinta secondo molti studiosi, parecchio è stato documentato dallo stesso don Nicola ma grazie a Vivitelese , molte informazioni vengono integrate dagli stessi abitanti con racconti personali, completando aspetti di vita sociale che nemmeno lo studioso più scrupoloso può esplorare.
L’ultima vita di Telese, ha origine nei primi anni dell’800 intorno ad un modesto nucleo urbano già abbandonato un paio di secoli prima per le cattive condizioni ambientali dovuta al ristagno delle acque sorgive, le quali, saranno ancora la causa principale della sua rinascita.
Uno spaccato del primo quarto del ‘900 ci è offerto dai racconti personali di Ubaldo Cusani che riferisce…’ negli anni ’20 e ’30 (del ‘900) regnava una grande miseria, certamente originata da una grande disoccupazione. Avevano un posto di lavoro solo quei pochi che prestavano la propria opera presso il mulino e pastificio o presso le Terme come stagionali…’ questi anni, non sono sostanzialmente diversi da altri comuni limitrofi ma a Telese, le sue infrastrutture risultano determinanti rispetto ad altre opportunità del territorio .
Per avere una comprensione storica di come un luogo, sostanzialmente insalubre, possa diventare un centro urbano capace di attrarre sempre nuovi abitanti ed attività imprenditoriali connesse, credo che nessuno abbia fatto analisi più dettagliate di Ugo Simeone che nella sua ricerca intorno alla vita del cav. Achille Jacobelli, dedica un intero capitolo a ‘Telese: un grande progetto’.
Le informazioni documentali che Simeone ha minuziosamente dettagliato portano secondo me, almeno a due riflessioni basilari per la comprensione della Telese attuale.
La prima è che da un punto di vista sociale, la nuova Telese partendo da un esiguo numero di famiglie e sfruttando una fortunata congiunzione storica con l’abolizione del feudalesimo, può sviluppare un nuovo tessuto collettivo completamente diverso dai comuni che la circondano, condizionati socialmente da una secolare servitù alle signorie dominanti.
In quest’ottica Telese può considerarsi quindi, una sorta di esperimento sociale di una nuova Italia, in cui le reminescenze del potere nobiliare vanno via via traducendosi in un nuovo modello in cui anche le classi più umili possono confrontarsi con le proprie capacità umane, anche se va detto che sono comunque i ricchi ad avere maggiori opportunità.
In secondo luogo, la potenzialità geografica che attira continuamente nuovi immigrati da una vasta area di riferimento, si affianca alla scoperta di un’opportunità di lavoro del tutto nuova per questa zona: il turismo.
E’ grazie all’indotto di questa nuova opportunità che si attiva un processo di crescita demografica che rinnova continuamente l’abitato ad una velocità che altri comuni limitrofi non hanno mai conosciuto, stabilendo un nuovo rapporto di anzianità locale traducibile in poche generazioni.
Per comprendere l’approccio di questa nuova comunità alle prospettive offerte dalle mutate condizioni ambientali, credo sia importante ripercorrere alcuni punti cruciali della sua storia documentata (vedi U.Simeone -Achille Jacobelli Il Cavaliere) ed in particolare, sul suo straordinario progetto urbanistico.
Andava creato principalmente un efficiente sistema di comunicazione e poi la realizzazione delle strutture primarie da modellare sulle risorse disponibili.
Le opere complessive realizzate in meno di un ventennio (1850-70) sono impressionanti: bonifica delle paludi con l’avvio di nuove tecniche e colture , realizzazione del ponte sul Calore, realizzazione degli assi viari verso Amorosi, Solopaca, Cerreto e Guardia, arrivo della ferrovia, costruzione di uno stabilimento termale pubblico ed uno privato, realizzazione di industrie avanzate per la lavorazione del marmo e realizzazione degli assi urbanistici principali (identificabili con l’attuale viale Minieri e via Roma) con completamento degli arredi urbani ed infine, ricostruzione della chiesa di Santo Stefano.
Che tutto questo, sia stato merito esclusivo di una singola persona è ancora difficile crederlo, ma, è ancora più difficile credere al fatto che la realizzazione di quanto elencato, abbia non solo causato il suo personale ed ovvio tracollo finanziario ma che lo stesso, sia stato anche incomprensibilmente cancellato dalla memoria storica collettiva che per certi versi, è peggio dell’ignominia.
Da telesino dop, che è un’ironica distinzione dai più anziani telesini doc e vuole intendere semplicemente venuto ‘dopo’ tanti altri, credo che questa imperdonabile ‘amnesia’ vada recuperata, non solo per rendere il giusto merito a chi in assoluto, ha profuso la sua stessa vita per Telese ma anche per riflettere sul valore etico dell’opera di questo straordinario personaggio che ha, praticamente, ‘creato’ la nova Telese e senza saperlo, anticipato ciò che dopo ottant’anni e due guerre mondiali, i padri costituenti condensarono nel principio fondamentale in cui l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, inteso come attività che riscatta la vera libertà dell’uomo e quindi, la sua dignità. (Si legga in merito ‘Appello a possidenti per vantaggiare la classe povera’ da lui scritto nel 1849 http://books.google.com/books?id=uQI1AAAAIAAJ&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#) .
Inoltre, mi permetto sommessamente di pensare che la tendenza locale di volersi talvolta, accreditare una sorta di autoctonia culturale non è propriamente sbagliato ma certamente troppo debole in rapporto a qualsiasi comunità paragonabile, e, per ragioni che trapelano dalla sua stessa storia, fa anche attrito con l’idea moderna con cui è (ri)nata, quale esempio imprenditoriale di una economia diffusa, attivata proprio sul suo dinamismo multi culturale.
Flaviano Di Santo
1255 letture al 31/12/2012