di Enza Zotti. C’era una volta via Roma. Tornare nei luoghi dell’infanzia e della prima giovinezza per respirarne l’aria e in essa il profumo dei ricordi, Il paese che non cèritrovare in quei luoghi e in quelle cose i volti e gli accenti delle persone care scomparse, è un privilegio dell’anima che noi non abbiamo meritato, infatti abbiamo lasciato che quanto di bello e di sacro fosse da conservare per la memoria storica del nostro paese venisse vanificato demolito o asservito alla macchina della speculazione e del profitto, millantando un falso sviluppo e un falso progresso.
Via Roma è qui che nasceva Telese, il cuore storico che andava conservato nella sua bellezza e armonia, oggi è irriconoscibile e vive solo nel cuore e nella mente di quanti vi vissero i migliori anni della propria vita.
Via Roma era svegliarsi al mattino nel profumo dolce amaro degli oleandri bianchi e rossi che l’alberarono nel dopoguerra e fino a tutti gli anni cinquanta,
respirare i giardini delle ville vittoriane dalle recinzioni ricoperte da cascate di glicini e ricchi di fiori d’arancio , rose, gelsomini, gardenie e viole, le viole annunciavano la primavera e nascevano copiose e spontanee anche sulle rive del torrente grassano che attraversava via Roma in due punti e forniva energia pulita al mulino Lamparelli e al mulino Capasso e Romano.
Aprire le finestre sulle eleganti architetture di villa Lamparelli e villa Boccagni che fu sede del primo ufficio postale, palazzo Maturo l’unico riportato agli antichi splendori, ospitava nella parte oggi con la facciata deturpata dalle mattonelle l’ostetrica signora Agrippina che aiutò a nascere i figli della guerra e del primo dopoguerra, palazzo De Francesco antica pensione oggi demolito,palazzo Riccardi deturpato per fini commerciali ospitò le famiglie Arzillo e Tanzillo, successivamente la famiglia Rubino, palazzo Frascatore fu sede del primo municipio e della prima scuola elementare successivamente della prima scuola media, demolito per costruirvi un moderno edificio publico di cui da anni esiste solo lo scheletro.
Oltre il ponte che attraversa il Grassano si trovava palazzo Pescatore che ospitava il medico condotto l’ottimo dottore Buttà che nei tempi della guerra eseguiva interventi chirurgici d’urgenza con successo sui tavoli delle cucine, nello stesso palazzo abitava il veterinario dottore Zarrelli.
Difronte palazzo Del vecchio che, da una parte ospitava la farmacia Mastrobuoni, dall’altra la famiglia dell’imprenditore edile Maietta, palazzo Di pietro che ospitava la caserma dei carabinieri e e palazzo Chiarlotti.
Tutti i palazzi avevano facciate dai colori chiari e luminosi , gli spigoli ornati da intonaci sopraelevati a grandi riquadri, le finestre incorniciate da doppi intonaci e i balconi anch’essi ornati da intonaci e ringhiere in ferro battuto.
I grandi portoni di legno pesante introducevano a vasti androni, dai pavimenti che disegnavano tappeti, ai lati si aprivano le stanze del piano giorno e in fondo maestose scale di marmo per l’accesso ai piani alti,tutti ipalazzi avevano nel retro ampi giardini fioriti.
Dopo palazzo Chiarolotti la Chiesetta, la bella Chiesetta descritta da Aldo Maturo, al suo fonte battesimale ricevemmo l’imprimatur di Cristiani e per la prima volta l’ostia consacrata, li le nostre mamme e le nostre nonne pregarono perchè finisse la guerra e tornassero i loro uomini, chiesero conforto alle loro ambasce rivolgendosi alla bella immagine dell’immacolata. In quella Chiesa l’ultimo saluto a mio padre, le preghiere e le confessioni per i primi turbamenti di noi adolescenti e i fioretti per il superamento dei primi esami scolastici.
La Chiesa per prima pagò il prezzo del progresso, ne fu decretata la demolizione da gente che in quella Chiesa non aveva legato lo Spirito, e noi li lasciammo fare…
Al posto della nostra Chiesa sorgeva il capolavoro della nuova Chiesa a tutt’oggi incompiuta, andava ad occupare, stravolgendola, Piazza mercato dove oltre al mercato del sabato avevano luogo le fiere: Quella di marzo per piante ortaggi e sopratutto le pastunache e quella di ottobre dove mio padre acquistava il maialino da allevare per i salumi e mia madre comperava due tacchini per Natale.
Affacciate su via Roma adiacente a piazza mercato, le potechelle, quattro costruzioni identiche molto graziose ,le stanze del piano terra si aprivano sulla strada mentre una doppia scaletta al centro dell’edificio confluiva sullo stesso pianerottolo da cui si dipartivano divergendo, due rampe che conducevano a due terrazzini su cui si affacciavano le camere del primo piano.
Le potechelle sono annoverate tra le primissime costruzioni, nascevano ancor prima della dirimpettaia Chiesetta e dopo l’arco dedicato al dio Mamerte per i Sanniti, Marte per i Romani, appartenne alla cinta muraria della Telesia medioevale e si trovava nei pressi dell’antica torre campanaria, introduceva i viandanti in Telese,inizialmente frazione di Solopaca.
Su Piazza mercato si affacciavano: Casa Guerra, Casa Pacelli, Casa Rubino, casa Bozzi, casa Di santo, casa Stanzione, casa Merrone e casa Capasso e Romano.
La zona era ricca di antiche botteghe, taverne e stazioni di posta qui ,percorrendo via Roma, importante arteria di collegamento per tutti i paesi della valle telesina, i viaggiatori potevano rifocillarsi e pernottare presso le taverne di: Gaetanina “A riccia”, VIttoria “a zoppa”, Sabatino “u Niro”, l’albergo Cialone, l’albergo Del vecchio; potevano far riposare i cavalli e rifare i ferri ai loro zoccoli dal maniscalco Gasbarra e magari aggiustare i carri dal carrese Tancredi, per poter riprendere il viaggio il giorno successivo riposati e in piena sicurezza.
alla fine di via Roma, più in alto, imponente si ergeva e si erge il Casino del barone Iannotti Pecci, restituito all’armonia e alla bellezza del suo tempo dal Barone Costanzo, ultimo erede maschio della nobile famiglia. Spesso mi par di rivedere in quei giardini la bella e nobile figura, nel nome e nei fatti, della Baronessa Enrichetta, per la mia famiglia la carissima “commara” Marcarelli.
Come non rivedere i negozi i laboratori artigianali che si concentravano in via Roma:
L’ingrosso dei sali e dei tabacchi con annesso tabacchino gestiti da don Guido Maturo,l’eccellente sarto Antimo Del vecchio che nel dopoguerra rivoltava vestiti e cappotti, il salone da barbiere di Biagio Monteforte, il dopolavoro “Che non potè chiamarsi bar” dove i nostri padri trascorrevano il loro poco tempo libero nel gioco delle carte e del bigliardo e dove si poteva ascoltare il giornale radio, solo i più fortunati all’epoca avevano una radio, il dopolavoro era gestito dalla cara Cleonice.
Difronte a villa Lamparelli, tra palazzo Riccardi e il mulino Lamparelli, l’officina meccanica di don Americo Zotti stimato artigiano, competente ed onesto ereditava il don dall’aristocratica famiglia Brizio da cui discendeva sua madre.
Chino sul tornio sagomava pezzi per le industrie aeronautiche di Napoli e con le mani spesso intrise di grasso riparava i motori delle auto, possedute allora solo dai notabili di Telese e del circondario, ebbe numerosi discepoli che nel tempo aprirono officine il tutti i paesi della valle telesina. Americo Zotti era mio padre, avevo solo dieci anni quando un incidente stradale lo strappò al nostro amore.
Difronte a palazzo Chiarolotti la fucina del ramaio Giovanni Longo, sembrava quella del Dio vulcano, annerita dal fumo di un fuoco sempre acceso.Nelle potechelle la bottega di mastro Nicola Presutti vero artista del legno.
La salumeria di Raffaele e Maria “spigone” ,lui altissimo simpatico diveniva burbero quando noi bambini frugavamo nella crusca, posta in un grande cassone, per accaparrarci le sciuscelle, a lui rispondeva il sorriso accondiscendente di Maria, che significava fate pure, il suo sorriso non poteva che rimanere impresso nella memoria.
Per noi bambini, il più importante era il negozietto di cianfrusaglie e leccornie di don Pasquale ” u teatrista”, dove si potevano acquistare palline di vetro, figurine, quaderni, calamai, inchiostro,
pastelli e pennini e sopratutto le barchette di liquirizia delizia di noi piccoli.
C’era l’impaglia sedie Luigella, la fruttivendola Liberantonia, presso di lei nella settimana Santa il maestro organista Carmine Romano preparava i canti per la processione del venerdì Santo,
partecipavano le sorelle Guerra, Clementina Covelli e molte altre giovinette.
Organizzavano le feste; Peppe, Capeppe e giuseppe che spesso animavano, unitamente a Liberato col suo mandolino, le serate d’estate in piazza Mercato.
E’ utopistico pensare che tutto potesse rimanere come allora, ma nessuna delle amministrazioni che si sono susseguite nel tempo ha saputo o voluto conservare gli edifici storici e la storia stessa di questo paese, posseduto da molti amato da pochi.
Conosco la storia del Cavaliere Lamparelli,me la raccontava nonna Anna,si rammaricava sempre che pur avedo i soldi Nonno Americo non andò a rispondere all’asta per ONORE e per questo non aveva un giardino piu’ grande,ma non sapevo che fosse Mulino Lamparelli.Lia Buono
Complimenti per la memoria di Enza che ha ricondotto per mano i vecchi telesini in una romantica passeggiata lungo la vecchia Via Roma, zumando di casa in casa dal Quadrivio alla Chiesa. Forse i più giovani non sanno cosa sono “le sciuscelle” che vendeva “Rafele spigone”, nel suo negozio vicino a quello di Mimmo Di Pietro, poco prima della chiesa. Le sciuscelle sono le carrube, famiglia delle leguminose. Lunghe circa 15-20 cm e larghe 3 o 4 a forma di piccola falce, erano di colore castano scuro, secche, schiacciate, simili al baccello dei fagioloni “spullicarielli”. Avevano un sapore dolciastro e non si finiva mai di masticare. Si trovavano solo da “Rafele spigone” che le teneva, come ricorda Enza, in un cassone in legno scuro davanti al bancone. Da ragazzini “partivamo” dal Quadrivio fino al suo negozio per chiedere se potevamo prenderne qualcuna, naturalmente gratis. Annuiva controvoglia, le cercavamo in mezzo alla crusca scegliendo le più grandi e uscivamo sgranocchiandole, contenti del poco e dimenticando che la gente le comprava per dare ai maiali e agli asini.
Carissimi,
occasionalmente mi collego a questo sito, per………sentirmi ancora telesino. Ho letto le vs “cartoline” e con profondo e sincero sentimento che vi invio un GRANDE grazie. Mi sono riconosciuto x intero e come non potevo, sono del ’50 ed ho vissuto con voi, quei tempi!!!!!!! Tutte cose vere e con un pizzico di nostalgia devo dire che “vorrei riviverli” x quell’atmosfera di spensieratezza, di amicizia, di spontanietà e di fabiesco che ci circondava.
Ho tante volte a qualche amico rimasto, invitato e supplicato ad organizzare un GRANDE incontro in TELESE di tanti come noi che vivono lontano e che hanno comunque nel cuore il ns caro e amato paese. E’ certamente un’impresa ardua e forse (?) difficile da realizzare ma, sono fiducioso e sogno che un giorno riuscirò a sedermi intorno ad una immensa tavolata con gli amici, conoscenti e concittadini di………….qualche anno fa.
Caro Aldo, ci siamo ri-incontrati in Viterbo qualche anno fa e so che adesso sei in pensione e pertanto, compatibilmente con gli impegni che hai, riscontrato tra l’altro che sei un ottimo navigatore e conoscitore del web, xchè non ci e ti “regali” questo meraviglioso momento?
Cara Enza, confesso di ricordarti molto sfumatamente. Devi avere probabilmente qualche ” primavera” + di me, dovresti essere come età, + vicino a mio fratello, mimmo. Ho una vaga fisionomia di te, ma credimi di averti letta con immenso piacere.
A presto un caro abbraccio
antonio di pietro
“Telese è quale i telesini l’hanno fatta e i telesini stessi, sono quale essi si sono fatti negli anni”… questa frase è di Giuseppe Galasso per la sua città ed io mi sono concesso di sostituire Napoli con Telese ed anni con secoli ma credo funzioni in ogni caso ed esprime anche il mio pensiero quando si cercano le colpe dei problemi di una comunità.
Mi ha incuriosito questo passaggio..”e dopo l’arco dedicato al dio Mamerte per i Sanniti, Marte per i Romani, appartenne alla cinta muraria della Telesia medioevale e si trovava nei pressi dell’antica torre campanaria”…mi piacerebbe sapere qualcosa in più su questo riferimento. Grazie e complimenti per l’inserzione.
Cara Enza, mi compiaccio veramente per la qualità della Tua ricostruzione che, credo, meriterebbe anche una piazza meno virtuale. I Tuoi ricordi hanno risvegliato i miei, non recentissimi, per la parte in cui frequentavo casa di mia Zia nel vicoletto (già via Mameli) e quella della compianta signorina Angelina Carrino. Complimenti davvero, hai offerto una lettura gradita, condita di riferimenti effettivi che confermano l’alta opinione di stima che di Te ci è stata trasmessa anche dai nostri genitori.Con sincera ammirazione.
Ciao Antonio, la tua proposta di ritrovarsi a Telese è veramente interessante e ci regalerebbe una giornata indimenticabile. So che Riccardo e Lello Pacifico hanno organizzato qualcosa di simile qualche anno fa. Non so come è andata e se sono ancora disponibili a ripetere l’iniziativa.
Cordialmente
Qul “qualcosa” a cui fa riferimento Aldo non è altro che le rimpatriate che facciamo di tanto in tanto a Casalpalocco, a casa di Alberto Pacifico, dove ci incontriamo con Lello, Giuseppe Macolino, Tommaso Cusano, e, per l’appunto, Antonio.
Due anni fa circa fui contattato prima telefonicamente e poi via mail da Franco D’Angicco il quale mi preannunziava l’organizzazione di un grande evento proprio per accogliere le istanze dei telesini che vivono fuori. Crearono una apposita commissione di cui facevano parte, oltre al D’Angicco, Camillo Romano, Aldo Cucciniello, io stesso come supporto alla parte musicale ed altri che ora non ricordo. Di questa iniziativa non ho saputo più nulla.
Per dar seguito alla richiesta di Antonio e di Aldo lancio da queste pagine l’iniziativa “INCONTRAMOCI A TELESE” e propongo le seguenti cose:
1) Vivitelese ci potrebbe creare un link apposito ove possiamo scambiarci le informazione e fare da referente per la
compilazione della lista dei partecipanti;
2) Enza Zotti che risiede sul posto si occuperebbe di contattare il ristorante e di redigere il menu;
3) Io potrei occuparmi della parte musicale avendo a disposizione le attrezzature;
4) L’evento dovrebbe svolgersi in data 25 settembre 2011 alle ore 13,00 presso il ristorante…….
5) Per evitare che l’iniziativa diventi una anonima abbuffata, dovremmo stabilire un numero massimo di partecipanti che
non dovrebbe superare le 100 persone, privilegiando, evidentemente, quelli che vivono fuori.
Tutto ciò, tanto per cominciare.
Resto in attesa di leggervi e nel frattempo vi abbraccio tutti.
Riccardo Affinito.