di Angela Coppola. estratto dal libro Terra Anima Societa’ volume 1 edizioni FioriGialli. Mangiare carne è una delle maggiori cause della distruzione ambientale. Sono solitamente accusata di preoccuparmi poco degli uomini, semplicemente perché ho scelto di difendere i diritti degli animali. Mi sorprende di trovarmi a difendere e spiegare i processi logici che mi hanno indotta a seguire la strada del benessere degli animali; ciò mi ricorda la barzelletta di quell’uomo che a New York fu immobilizzato da un rapinatore: “I soldi o la vita”. L’uomo rispose: “Prenda la vita, sto risparmiando i soldi per la vecchiaia”.
Ogni specie non solo ha il diritto di vivere, ma la sua vita è essenziale per il benessere dell’umanità. Ciò che chiamiamo sviluppo, cioè la sterile città nella quale portiamo i nostri cani al guinzaglio, non è vita.
Ci abituiamo così velocemente al malessere, alla tensione, alle carestie e alle alluvioni che pensiamo che i pezzi di carta che teniamo in tasca possano sostituire un corpo sano e una mente gioiosa. Scegliamo di non sapere che, praticamente tutte le nostre malattie sono causate dalla mutilazione e dall’uccisione di animali: dai 70.000 acri di foresta pluviale del Sudamerica abbattuti ogni giorno – che in gran parte servono per far pascolare il bestiame – fino al virus Ebola, proveniente dalle scimmie strappate dal loro habitat naturale in Africa allo scopo di fare esperimenti. Abbiamo ottenuto più cibo uccidendo i lombrichi con le nostre sostanze chimiche o abbiamo ottenuto più malattie? Abbiamo ottenuto una salute vigorosa allevando forzatamente bestiame per il latte e la carne, o abbiamo piuttosto ottenuto emissioni di gas metano che hanno contribuito enormemente all’effetto serra, mettendo in pericolo la vita del pianeta?
Le Mauritius hanno intrapreso un programma ambizioso per uccidere scimmie, gatti, cani, conigli, capre e corvi. Perché? Perché ai turisti non piacciono. Non contenti di avere reso sterili i propri Paesi, i turisti occidentali ora impongono il loro senso di aridità ai nostri. Gli abitanti delle Mauritius dimenticano che quando il dodo si è estinto, la stessa cosa è successa all’albero più importante della Calveria, che rappresentava una fonte di reddito primaria. Cosa perderanno ora? Quando facciamo test atomici nell’oceano e uccidiamo milioni di creature del mare, quanto siamo lontani da un oceano morto e da una Terra morta?
Prendiamo ad esempio la tigre. Perché salvare la tigre in una terra dove la gente muore di fame? Questa domanda mi assale ogni giorno della mia vita. Io, come milioni di persone, ammiro la tigre e non considero sprecata una vita dedicata a salvarla. Ma salvare la tigre significa molto più che salvare un animale.
Quando iniziò il Progetto Tigre, venti anni fa, molte persone protestarono a viva voce che l’animale era irrilevante e che poteva essere allevato negli zoo. Ma salvare le tigri significava salvare le foreste dove esse vivono in modo che potessero dare la caccia ai cervi selvatici e ai cinghiali.
A loro volta queste creature avevano bisogno di erba, cespugli e alberi dei quali innumerevoli altri uccelli, mammiferi, invertebrati e rettili potevano nutrirsi. Tutte insieme queste forme di vita ricreavano una tela a più strati che portava salute alle foreste. Non facendo niente e non permettendo che si facesse qualcosa, le foreste si rigenerarono e la natura tornò a vivere. Uno tra i primi segni della ripresa fu che alcuni corsi d’acqua inariditi ricominciarono a scorrere per tutto l’anno.
Oggigiorno, mentre il resto dell’India è martoriato da alluvioni e siccità, coloro che vivono a valle delle riserve del nostro Programma Tigre – che ha ormai ventitrè anni – sono più fortunati, in quanto le loro risorse idriche sono abbastanza sicure. Nel Melghat, l’unica riserva di tigri del Maharashtra, i fiumi Sipna e Dolnar nutrono migliaia di contadini, mentre il resto del Maharashtra muore di sete.
Nel Melghat, salvare la tigre ha significato anche salvare dalle alluvioni migliaia di abitanti dei villaggi. Quattro anni fa una forte pioggia si abbatté su questa regione indiana: laddove la foresta assorbì la pioggia, nessuno morì; al di fuori del mantello protettivo del dominio della tigre, il fiume Wardha si trasformò in un torrente killer che falciò 3000 vite.
Ogni elefante, balena, delfino e gabbiano fa del bene all’umanità secondo modalità che non possiamo immaginare. La ricchezza della foresta pluviale non è dovuta al suo strato superficiale, che è povero, ma all’interazione di milioni di specie diverse capaci di riciclare acqua, sostanze nutritive e minerali. Ogni volta che facciamo del male a un animale facciamo del male a noi stessi.
In India, alla mucca vengono somministrate due iniezioni di una sostanza chiamata ossitocina, che stimola le contrazioni uterine per fare uscire più velocemente il latte. L’animale soffre così delle contrazioni del parto due volte al giorno! Qual è il risultato? Non solo le si danneggia l’utero tanto da farle abbreviare il ciclo, ma la sostanza causa squilibri ormonali e cecità negli esseri umani.
Quando le rane vengono sezionate nelle classi scolastiche, il risultato è che i contadini devono importare pesticidi chimici cancerogeni per le zone in cui si coltiva il riso, allo scopo di rimpiazzare una creatura che mangiava una quantità di insetti pari al proprio peso. Anche uccidere le zanzare ci danneggia. Non credo che abbiamo ucciso una singola zanzara con il DDT ma esso sicuramente uccide migliaia di esseri umani ogni anno. Non esiste un solo animale che non ci faccia del bene.
Le fiabe indiane narrano che c’era un re che non poteva essere ucciso perché aveva nascosto il proprio cuore in quello di una farfalla. Questo è vero per ogni essere umano. Quando la farfalla se ne va – a causa dell’inaridimento del suo habitat, o per avvelenamento chimico, per bracconaggio, per la distruzione dei piccoli corsi d’acqua – allora anche il fiore se ne va, il sottobosco se ne va, la foresta e l’acqua se ne vanno, gli animali e gli uccelli se ne vanno, e alla fine anche noi esseri umani ce ne andiamo. Un fragile tocco di colore, uno strato di insetti: ecco da cosa dipende la nostra vita.
La natura, secondo me, non è una cattiva, prosperosa, pigra, creatura che allatta. Non è la dea Durga, o Prithvi, o Sita, eternamente sofferente. La natura è la magra e collerica Kali. La vendicativa Kali. La dea Kali è così protettiva verso ciascuno dei suoi figli che, se facciamo del male a uno di loro, lei ci colpisce.
Se distruggiamo la barriera corallina con la dinamite per fare gioielli, Kali porterà inondazioni e ci strapperà via la terra. In Udwada, dove la famiglia del padre di mio marito possedeva diverse terre alcune generazioni fa, la barriera corallina è stata distrutta in questo modo e la conseguenza è stata che l’Udwada si è ridotto a un terzo della sua superficie perché il mare ha semplicemente portato via la terra.
Se nelle nostre case usiamo sostanze chimiche per uccidere gli scarafaggi, queste sostanze entrano negli scarichi, nelle acque e di nuovo nei rubinetti, così che prima o poi non avremo più acqua potabile.
Gli animali sono i nostri fratelli e le nostre sorelle. Abbiamo bisogno di loro, non possiamo fare a meno del loro aiuto. Non è pensabile di poter sopravvivere senza di loro. Dobbiamo lasciarci alle spalle la nostra arroganza e riconoscere l’importanza degli animali. Con ogni colpo che sferriamo al collo di un animale, tagliamo via un pezzo di vita fino a quando potremo a malapena sopravvivere. In India gli animali arano 100 milioni di ettari, il 60% di tutta l’area coltivata, mentre 15 milioni di veicoli tirati dagli animali trasportano 25 miliardi di tonnellate di merce all’anno.
Anche i batteri uccisi dal buco nell’ozono sono essenziali per far crescere il riso, dal quale dipendono milioni di persone. La distruzione di tali batteri si traduce in un enorme aumento della fame nel mondo. Il mio buon senso mi dice che dovrei combattere per il diritto individuale di ogni singola vittima animale. Devo sfidare il massacro premeditato e devo dare risalto, con tutti i mezzi possibili, ai pericoli che ci aspettano se mangiamo carne. Non è necessario presentare le prove schiaccianti che sono davanti agli occhi di tutti, prove che mostrano come una dieta vegetariana porterebbe meno disturbi alle coronarie negli USA e meno casi di cancro in Europa. Oppure che, se un ulteriore 10% dell’umanità adottasse una dieta a base di carne, la terra verrebbe spogliata di ciò che rimane del suo mantello verde; o ancora, che mangiare carne causa la fame nel mondo.
Il 37% del territorio dell’India è stato trasformato per coltivare biada per alimentare animali che vengono uccisi per la loro carne in Paesi stranieri. È proprio questo il cuore della mia campagna contro le multinazionali e le agenzie che usano sofisticate tecniche di comunicazione, influenza politica e aperte menzogne, per convincere le Nazioni che i diritti degli animali possono essere sostenuti solamente al prezzo del benessere umano. Nel 1991 il governo indiano decise di porre l’esportazione della carne tra le sue priorità.
Qual è la causa primaria della deforestazione e dell’aridità? Il manto forestale distrutto dal bestiame. Ho visto persone disperarsi per la distruzione delle foreste, delle colline, per il prosciugamento di sorgenti naturali e altre fonti d’acqua. Pochi fra coloro che si lamentavano hanno collegato il proprio consumo di carne ai 180 milioni di ettari di terra indiana che versa in condizioni di abbandono perché ormai è diventata desertica.
La carne è l’ultimo lusso in India, e l’esportazione della carne l’ultima follia. Mi piange il cuore nel vedere come il governo abbracci questa pazzia di autorizzare ogni giorno l’apertura di macelli per l’esportazione di carne. Quando nel prossimo futuro non riusciremo a respirare e non avremo acqua da bere, quando il governo dimezzerà gli appezzamenti di terreno per accogliere i senza tetto, quando i quartieri degradati si impadroniranno delle nostre città, ricordiamoci che è la politica di esportazione della carne ad aver causato la catastrofe.
In passato, vita agricola e vita pastorale non erano competitive. Il bestiame allevato per il latte e per la carne dipendeva da piante che gli esseri umani non potevano mangiare o di cui non avevano bisogno. Oggi, tuttavia, le proteine animali dipendono quasi interamente dalla terra necessaria per il benessere umano.
Ci sono 890 milioni di persone in India e 450 milioni di capre, 150 milioni di bovini, tutti allevati in cattività, e tutti dipendenti dalla stessa risorsa: terra verde arabile e foreste. Per citare Worldwatch, una delle organizzazioni ambientaliste più importanti del mondo: “Mettere in tavola mezza libbra (circa 225 gr) di carne rossa e pollame ogni giorno presenta un conto da pagare molto elevato. L’industria della carne e del pollame sono collegate a danni ambientali che vanno dal depauperamento e dalla contaminazione delle acque sotterranee a un’atmosfera piena di gas a causa dell’effetto serra. Non vi è niente di antiecologico nel bestiame, nei maiali e nei polli in se stessi. Ma quando essi vengono allevati forzatamente per nutrire gli esseri umani, assorbono gran parte dei raccolti del Paese insieme a grandi quantità di acqua ed energia”.
Allevare animali richiede molto nutrimento, non solo avanzi e scarti di misero valore. Gli USA e la Russia danno più granaglie e cereali al bestiame di quanto viene consumato dalle persone dell’intero Terzo Mondo; la Gran Bretagna dà due terzi dei suoi cereali nazionali al proprio bestiame: tale quantità potrebbe nutrire 250 milioni di persone ogni anno. La Comunità Economica Europea ottiene dal Terzo Mondo, India inclusa, 20 milioni di tonnellate di cibo per il bestiame, cosicché un decimo della loro carne è prodotta con il nostro foraggio. La foresta pluviale del Sudamerica viene tagliata per allevare il bestiame che fornirà gli hamburger consumati negli Stati Uniti: come conseguenza di ciò è stato accelerato l’effetto serra, che, tra circa vent’anni, distruggerà quasi tutta la vita conosciuta.
La produzione moderna della carne include un uso intensivo ed errato dei raccolti di cereali, risorse idriche, zone di pascolo ed energia. Inoltre, allevare gli animali, produce un incremento dell’inquinamento dell’aria e dell’acqua. È vergognoso che l’India, un Paese vittima di carestie e alluvioni, indirizzi il 37% del suo terreno arabile alla produzione di foraggio per animali: se tutti quei cereali fossero consumati direttamente dagli esseri umani, nutrirebbero un numero di persone cinque volte superiore a quello che nutrono una volta convertiti in carne, latte e uova.
Il problema immediato, legato all’allevamento del bestiame con i cereali, è lo spreco delle risorse. Sono necessarie circa sette libbre di mais e soia per mettere in tavola una libbra di maiale sgrassato e disossato; inoltre bisogna considerare la quantità di energia impiegata per la produzione del foraggio e il carburante necessario per i macchinari e per produrre fertilizzanti e pesticidi. David Pimentel della Cornell University, uno specialista sull’uso dell’energia, ha calcolato che sono necessarie 14.000 chilocalorie per produrre una libbra di carne di maiale negli stati Uniti: l’equivalente dell’energia che si trova in quasi mezzo gallone di benzina. All’India è stato chiesto di aprire fattorie sullo stile statunitense. Chi pagherà i conti del carburante per questi moderni allevamenti di polli e suini che vengono aperti ogni giorno? Voi e io.
Le granaglie di cui si nutrono gli animali assorbono anche acqua. Nella regione del Gujarat, la più grande produttrice di latticini dell’India, l’agricoltura destinata al foraggio utilizza quasi un terzo – la quantità più grande – dell’acqua per l’irrigazione, sfruttando spesso in larga misura le risorse idriche sotterranee per irrigare la terra coltivata a foraggio e per abbeverare gli animali stessi. Secondo stime americane servono circa 2000 litri di acqua per produrre mezzo chilo di carne di maiale, 1775 litri per mezzo chilo di manzo e 1700 litri per mezzo chilo di pollo. Pertanto l’acqua usata per fornire la carne ammonta a quasi 900 litri a persona al giorno, dieci volte la quantità che una normale famiglia indiana usa quotidianamente, ammesso che tale famiglia, in qualche misura, faccia uso di acqua. Ora, 20 milioni di tonnellate di proteine ottenute da cereali e granaglie forniscono 2 milioni di tonnellate di proteine animali e che ne è dell’energia prodotta dal carburante fossile necessaria a tale scopo? Un’unità proteica della soia, del riso o del frumento richiede un dispendio di energia che va da 2 a 10, mentre il manzo, il maiale, le uova, il latte, l’agnello richiedono un consumo energetico compreso tra 10 e 78! Un Paese come l’India può permettersi questo spreco di energia affinché un ristretto gruppo di persone mangi carne?
E che ne è dell’uso della terra? Una singola pecora o capra mangia l’equivalente di 4 ettari ogni anno. La sua vita media è di quattro anni, quindi, prima di essere uccisa, distrugge 16 ettari di terra. Il 98% delle pecore o delle capre si nutre della vegetazione di foreste e colline, dell’erba che si trova ai lati delle strade, di quella in prossimità dei villaggi e sui terreni demaniali. Il Ministero Indiano per l’Ambiente ha un programma per lo sviluppo dei territori depauperati che rifonde 6.000 rupie per mezzo ettaro di terra distrutto dalle capre. Da dove viene questo denaro? Ottengono prestiti da istituti stranieri e noi li ripaghiamo non solo attraverso tasse dirette, ma anche rinunciando all’assistenza sociale perché il governo afferma che non ci sono soldi.
Nonostante questo, il programma è fallimentare perché il governo non ha né le risorse, né le agenzie per compiere questo lavoro di riparazione, poiché gran parte del terreno perde il proprio strato superficiale. I dipartimenti per i beni forestali ottengono ben poco del bilancio statale, talvolta solo l’1%; quindi hanno un obiettivo limitato a poche migliaia di ettari l’anno. La spoliazione totale, tuttavia, si avvicina a 450 milioni di capre moltiplicato per 4 ettari, cioè 18 milioni di ettari.
Di conseguenza, nello Stato dello Haryana, il livello dell’acqua è precipitato perché le colline sono diventate sterili a causa delle capre, e i torrenti che arrivavano in quell’area si sono prosciugati. Tutte le zone interessate dal Progetto Tigre e gli altri parchi nazionali sono minacciati o sono sull’orlo dell’estinzione (come Bharatpur, il santuario degli uccelli) a causa del flusso di bestiame e capre che mangiano tutti i virgulti. Il 70% degli sforzi di riforestazione da parte del dipartimento a ciò preposto è destinato a fallire, perché gli animali al pascolo mangiano le piante giovani. L’amministrazione non ha abbastanza soldi per mettere guardie a difesa degli alberi, quindi vengono piantati solo gli alberi di cui non si nutrono il bestiame e le capre lasciati liberi nelle città e nei villaggi periferici. In seguito a ciò, Delhi è satura di piante e di alberi che sono ostili sia all’uomo che agli uccelli; Gujarat è piena di alberi che non danno né fiori, né frutti, né ombra, e che non permettono ad altri alberi di crescere nelle vicinanze. I benestanti mangiano la carne ma la perdita degli alberi è sentita più profondamente dai poveri.
Senza considerare il cibo a costo zero che le nostre foreste ci forniscono, abbiamo destinato grandi quantità di terra alla coltivazione del foraggio per gli animali, terra che avremmo potuto utilizzare per coltivare il frumento per i nostri poveri. Perfino la Commissione Nazionale per l’Agricoltura dice che la nostra carenza di foraggio è del 38%, quindi dovremmo mettere in conto una maggiore estensione di terra per ricavare la carne.
L’India esporta carne nel Medio Oriente. Questo significa che ci mettiamo nella stessa posizione del Sudamerica, cioè quella di un Paese schiavo che si autodistrugge per nutrire un altro Paese. Ogni chilo esportato potrebbe farci guadagnare circa 100 rupie; ma dobbiamo moltiplicare questa somma per 150, se vogliamo riparare il danno fatto alle nostre risorse naturali allo scopo di produrre quella carne. In altre parole, più vendiamo più diventiamo poveri.
L’ambiente rappresenta la scienza della crisi interconnessa. Si indossa qualcosa, si usa qualcosa, si mangia qualcosa, e il suo impatto viene sentito altrove. La carne è il grilletto dell’India. Mangi la carne e crei una città impoverita, una carenza d’acqua e un’aria irrespirabile. Dico alla mia gente: “Volete salvare il manto erboso? Volete incrementare l’ossigeno dell’aria, l’acqua fresca nella terra? Allora cominciate a rinunciare alla carne”.
L’arroganza del mondo industriale moderno non riconosce la validità della fede in un universo compassionevole dove l’essere umano è parte intima della natura, e a quest’ultima profondamente legato. In India ci siamo appena trasformati in un Paese che ha ripudiato gli usi antichi sostituendoli con quelli moderni, che lasciano poco spazio ai poveri, all’ambiente o alle generazioni future. La scienza senza moralità ci riconduce a un’affermazione del direttore del macello di Kerala, il quale disse che le mucche devono essere uccise a colpi di martello per produrre carne più tenera. Piccioni, conigli, rane, ratti e lombrichi devono essere aperti vivi per soddisfare la curiosità dei quattordicenni, in modo che essi possano imparare velocemente a essere insensibili e adattarsi così al mondo moderno.
Ma quanto durerà questo mondo moderno? Se un centinaio di specie possono sparire in un mese, se le tigri hanno solo cinque anni di vita, a questo ritmo di uccisioni, quanto tempo abbiamo noi? Cosa ci faccio con un macchinone o con una casa in marmo se durante il processo di estrazione dei metalli per quella macchina e la distruzione delle montagne per quel marmo, la mia acqua e la mia aria diventeranno inutilizzabili? Eknath Easwaran dice che un Paese dovrebbe essere misurato non in base al suo prodotto nazionale lordo, ma in base alla sua grande filosofia nazionale, che mantiene sani e felici i propri cittadini.
Guardate negli occhi una capra che aspetta il suo turno per essere uccisa, ascoltate le urla del maiale quando viene infilzato. Fermatevi, e sentirete il battito del cuore del cervo a cui si dà la caccia, ascolterete il pianto del branco quando il bracconiere uccide un elefante. Ci vollero settanta pallottole per uccidere Bir Bahadur, l’elefante dell’Andaman, che fu cacciato e ucciso semplicemente perché si rifiutava di tirare i tronchi e, come affermò il dipartimento per le foreste, “era di cattivo esempio per gli altri elefanti”.
Il Mahatma Gandhi scrisse: “Come esseri umani la nostra grandezza non sta nel ricreare il mondo, ma nell’essere in grado di ricreare noi stessi”. Dobbiamo ricrearci come esseri umani compassionevoli. Dobbiamo imparare e insegnare il valore di tutta la vita, perché tutta la vita, non solo quella umana, è sacra. Leggendo quest’articolo mi vengono in mente le bellissime parole di Tiziano Terzani http://www.youtube.com/watch?v=AQ342h2-2zc