Omaggio a Vincenzo Vallone, ovvero: le nuove Forche Caudinedi Lorenzo Morone. Come nel 321 a.C. con la battaglia delle Forche Caudine, si rinnova lo scontro tra  sanniti e romani: Vallone sfida Camiz. Ma il ri-scontro, questa volta, non avverrà tra le gole dei monti sanniti, ma nelle sale espositive della Galleria Cassiopea, in Via Basento 24 – Roma, e si svolgerà dal 04 al 22 dicembre. E le forche, poi, non saranno costituite da lance, ma dai pennelli con i quali i due artisti, un sannita e un romano, hanno realizzato le loro opere: NEI METALLI CHE SI APRONO. Scrive Antonio Conte:Nel tempo della mercificazione egemone, la creatività di Vallone continua a proporre la coniugazione tra tecnica e poesia, tra pensiero e arte, tra geometria e immaginazione fantastica.”

Molti si chiederanno: ma chi, Vincenzo, l’Architetto?  Si, proprio lui!

Un architetto, si sa, esplora i mondi possibili, ed io credo che fare l’archi­tetto sia un mestiere inevi­tabilmente pericoloso. E un mestiere in cui basta re­spirare che si corre un ri­schio. A meno di non trat­tenere il respiro: ma allo­ra che vita è? L’architettu­ra è avventura, è esplora­zione. In tutti i sensi. So­ciale, scientifico, storico, espressivo. L’architetto è esploratore, ed è anche topografo, geografo, antro­pologo, storico. Ma, se è un vero architetto, è anche artista! Come ci hanno insegnato i grandi maestri del passato. E se l’architettura è arte, è anche av­ventura: allora è anche intraprendere nuovi percorsi. Il rischio va affrontato. Se vuoi essere si­curo vai sulla strada mae­stra: è spesso asfaltata ma anche di banalità e di ac­cademia. E Vincenzo ha intrapreso da tempo un nuovo percorso, quello minato dell’arte. E Vincenzo ha pensato:”Sono un imprudente? So­no incauto? Sono uno sca­pestrato? Meglio scape­strato che paralitico. Che virtù è la prudenza (quel­la che fa misurare con al­chimistica precisione tut­ti i rischi) in un mestiere che dovrebbe inventarsi il futuro? Sì, rivendico il di­ritto e il dovere di gettarmi nelle cose: altrimenti ad una certa età mi ritroverò a proget­tare solo improbabili architetture frutto di compromessi con la committenza e con la burocrazia.”

Così la sua irriducibile dimensione esistenziale lo proietta sempre più verso un infinito caratterizzato a volte da trascendenza religiosa, a volte da “comprensione” naturale- umana.

Permane, però, costante la propensione al “discorso” olistico, al tutto come oggetto proprio della ricerca, un tutto che – il paradosso è solo apparente!- vive nel segmento intuitivo, nel singolo progetto della “architettura ritrovata”, nel palpitante rincorrersi degli intrecci cromatici, nello spazio reso profondo da specchi che sconfinatamente illuminano, riflettono.

I ri-scontri personali che vorrebbero evocare, nella titolazione della mostra, la ripetizione dello scontro avvenuto nella battaglia delle forche caudine tra romani e sanniti, seppure in chiave artistica è, di fatto, solamente pretesto per denotare le diverse appartenenze dei due espositori. Chè, anzi, nelle opere di Vallone, perdutamente innamorato della città eterna, è reso ancora una volta omaggio alla romanità, ma senza dimenticare la sua terra. Perciò l’Autore non dimentica di rendere omaggio a Pulcinella, maschera rappresentativa della commedia dell’arte partenopea e tema ricorrente nelle sue rappresentazioni. Stavolta è, però,proteso alla ricerca di figurazioni e cromatismi sempre diversi tra loro nella prospettiva di trasmettere emozioni e stati d’animo significativi: dice Paul Klee “L’arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non lo è”.

In questo tentativo,  inconsciamente o consapevolmente,  l’Artista ci propone una maschera che presenta grandi affinità con l’altra tanto cara ai romani: Pasquino; se è vero che anche il silenzio è modulo  di comunicazione, il Pulcinella di Vallone, al pari di Pasquino, costruisce con la fissità del suo volto messaggi privi di gestualità ma intrisi di profonda saggezza e significatività.  Ma Vincenzo è anche architetto, per cui non dimentica il linguaggio della materia. E nelle lamiere fiorite l’uso fantasticamente dialettico dei materiali si dipana  attraverso cromie variopinte ed immaginifiche, dalle quali emergono i segni di una figurazione idealizzata ed improbabile  che si trasforma in energia visiva.

La grande bellezza che promana dalle sue opere è quella basata su un rapporto vivo di fiducia e di amore, che l’uomo può mettere in atto con l’altro uomo e con l’esistente, all’infinito.

La bellezza è un linguaggio interiore che parte dalla grazia e passa nel lavoro e nella vita.

Il lavoro dell’architetto è sempre un’opera di comunicazione: l’attualità e la bellezza delle nostre strutture hanno le loro radici più profonde nel paleolitico, nel grande medioevo e nella modernità poetica dei Mies van de Rohe, Louis Kahn, Alvar Aalto…

Per l’uomo antico, l’uomo di tutti i tempi, ci sono fatti che diventano segni perché richiamano immediatamente i grandi eventi della vita in cui siamo e viviamo: l’arco del cielo, la linea dell’orizzonte, il cielo stellato, il sole e la luna, la grande chioma di un albero, l’onda del mare, il risveglio della primavera, la frontalità dell’incontro, la verticalità dell’albero e la verticalità della persona, ecc.

Le linee, le forme, i colori che richiamano questi eventi hanno la capacità di evocare in noi memorie comuni di ataviche esperienze del vivere.

Queste sono le immagini archetipe. Non a caso la copertina del catalogo della mostra reca l’immagine di un “cupolone” simbolo della spiritualità cristiana che vorrebbe elevarsi per tornare alla giusta collocazione celeste ma che resta, inesorabilmente, trattenuto alla quotidianità  dalle funi che per l’Artista rappresentano il legame che esso ha con i romani.

Il grande linguaggio dell’arte e di conseguenza il linguaggio plastico parte dalla atavica, comune esperienza umana. Vincenzo, come me, non crede nell’uomo nuovo completamente slegato da questa esperienza, crede nell’uomo che attraverso la sua memoria e la sua coscienza può trovare la sua identità nello scoprire e

riconoscere tutto quello con cui vive.

Con stima e affetto

Arch. Renzo Morone

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2 Commenti

  1. Lamiere,ottone,legno,specchio e colore di Vincenzo Vallone vanno a rappresentare il Sannio presso la galleria “Cassiopea” di Roma, in uno scontro culturale che si ripropone incruento dopo 2331 anni. Auguro al nostro “giovane gladiatore” la stessa sorte dei nostri avi.
    Ad majora. Maria Assunta.
    P.S. perchè la galleria è chiusa di domenica?

  2. Nelle opere dell’architetto Vincenzo Vallone si riconosce la forza del popolo sannita che, unita alla modernità del suo estro, rappresenta un originale connubio che ci proietta verso il futuro con uno sguardo al passato.
    Chiara Mattei

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