
di Ezio Esposito. Della sedicente politica italiana il viaggiatore stanco che mi affascina di più è Pier Luigi Bersani; politico onesto e brava persona, a capo di un partito dove molti dei suoi non gli credono più e altrettanti aspirano a licenziarlo. Bersani vaga, fra ‘ritiri spirituali’ in convento, in convegni, sortite in piazza con i metalmeccanici, applaudito dai suoi come se il suo fosse l’ultimo compleanno prima della pensione. L’uomo stanco sa che la sua ultima chance è nella caduta di Berlusconi prima che finisca il suo mandato da segretario. Poi, ci sono troppi pretendenti al ‘trono’ e la sua rielezione non sarebbe per niente sicura, così, ogni tanto, spara bordate all’indirizzo della corazzata B.: sperando in Fini che stacchi la spina e che Casini, Di Pietro e compagnia cantando si decidano a fare l’ammucchiata, per quagliare un governo tecnico, tecno, tecnezio tecnologico, teck, technicolor o come c. è gghiè pur di liberarsi di quello Llì.
Parola, voglio bene a Bersani perché è un perdente, perché non sorride mai, certamente non ‘buca’ il video. Io amo tutti quelli che lottano per un giuso motivo, a loro parere, e infine perdono. In questo caso la sconfitta della sinistra cominciò con Occhetto nel 1994. Fatta la scelta di cambiare il nome del partito da Pci a Democratici di Sinistra (PDS), con questo nome nuovo Occhetto partì con la sua ‘gioiosa macchina da guerra‘ alla conquista del potere. Nessuno aveva previsto che uno Jolly sorridente, alias Silvio Berlusconi, creasse dall’oggi al domani un nuovo Movimento politico chiamato Forza Italia. Forza Italia, vinse le elezioni e da allora, per la sinistra, Berlusconi fu il nemico da abbattere: odiato da tanti, amato dai più. A questo punto, ritenendo che la sinistra italiana, ancora oggi come in passato, è sempre legata ad un vecchio sistema di fare politica che inevitabilmente la porta alla sconfitta perciò, il buon Giovanni permettendo, riporterò la rilettura annotata del giornalista Umberto Croppi, di un vecchio libro, del compagno Prof ordinario titolare della cattedra di Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi Alberto Abruzzese: Elogio del tempo nuovo. Perchè Berlusconi ha vinto,– Costa e Nolan 1994, letto su una piccola rivista, ‘di formato!’ DIORAMA Letterario, diretta da Marco Tarchi amico di quell’Alain de Benoist promotore della Nouvelle Droite e della rivista Elements. Tarchi, fu missino in esilio, insieme ad altri intellettuali di Destra, perché sgraditi a Fini; questi, un parolaio arrampicatore di bella presenza e dalle battute fulminanti… e poi il deserto, licenziò i ‘cervelli’ culturalmente attrezzati, timoroso com’era che qualcuno gli potesse fare ombra.
UMBERTO CROPPI scrive: (il testo virgolettato interno all’articolo è di Abruzzese) “Un fantasma si aggira tra le pagine dell’ultimo saggio di Alberto Abruzzese: il fantasma di Fracassone che dava il titolo ad una delle sue prime sortite, il Pamphlet del 1982 sulle cui orme il sociologo romano torna con questo instant book che ha già fatto tanto rumore, attirandosi tra l’altro gli strali di un scandalizzato Norberto Bobbio.
Tutto il lavoro è permeato dalla constatazione un po’ amara di aver indicato per tempo gli esiti cui avrebbe portato, in politica, la rivoluzione televisiva, e di non essere stato -ancora- compreso. Una consapevolezza evidente già nel titolo del libro. Posto sotto forma non di domanda ma di una affermazione che sembra voler sottintendere: io ve lo avevo detto, ma nessuno mi ha voluto ascoltare!. Rimostranza, del resto, esplicita nel testo in frasi come questa “Chi legge i numerosi libri
dedicati dal Pci e dal Pds al rapporto fra politica e sistema dell’informazione questo nome (quello dell’autore, ndr) non lo trova mai. Dunque non è esistito, non esiste” . E ancora:” Quando (…) si arriva a comprendere in ritardo i processi, allora si perde in modo secco. E le sconfitte si accumulano, si fanno irreversibili, se, dopo ogni errore di prospettiva, si insiste nelle stesse scelte, scaricando all’esterno la responsabilità o l’imprevisto”, scaricando”sul nemico la colpa di averlo fatto vincere”.
Berlusconi, quindi,funge da indice di una trasmutazione di senso, simbolo necessario di una nuova dimensione post-ideologica, che vince non perché è proprietario di tre televisioni ma perché è la televisione. Interprete perfetto dei linguaggi nati dalla trasformazione della comunicazione prodotta dall’avvento della televisione su vasta scala. E’ in fondo il frutto di una saldatura tra comunicazione politica che sfugge invece a quanti si ostinano a voler opporre all’irresistibile successo del Cavaliere risposte, argomenti e metodi di tutti giocati secondo regole non più funzionali al vero conflitto in atto.
In questo senso si potrebbe ritenere che, contrariamente ai luoghi comuni,sia molto più virtuale, (cioè mimata, non efficace) la recita dei vecchi politici – ancorché “progressisti” – che non l’attività elettronica dell’uomo di Arcore, l’unica capace di interpretare e determinare fenomeni e quindi di agire in politica. Un’attività che si accontenta di “essere convincente nell’illudere” più “che non-credibile nel convincere”. Berlusconi viene dunque visto nel libro come una proiezione degli elettori, che ha indotto gli avversari nel più macroscopico errore della comunicazione: “Aggredendo il primo”, cioè il capofila del fronte moderato, la sinistra riusciva a offendere i secondi (cioè i suoi potenziali sostenitori), a scoraggiare una eventuale buona disposizione, un moto di simpatia; raffigurandosi il pubblico ad immagine e somiglianza del proprio apparato di partito”. Confondendo la televisione con una sezione, scambiando – secondo un vizio tipico di tutta la cultura italiana – il piccolo schermo per un semplice strumento di amplificazione, laddove esso rappresenta invece il luogo nuovo della politica, con regole e linguaggi assolutamente diversi, che richiedono non solo nuovi modi per vendere ma anche nuovi prodotti.
Questo è, secondo Abruzzese, un gap in gran parte legato ad un residuo di conservatorismo moralista che, negando ai consumi e al rapporto emotivo con le merci “il potere di dare significato e visibilità alla vita quotidiana”, non comprende la forma, la genesi, delle relazioni sociali, delle identità individuali e collettive. “Eppure solo la sovraesposizione al politeismo dei consumi poteva determinare le insorgenze sociali che hanno messo in discussione le vecchie mura dei poteri costituiti”. In quel “solo” c’è tutta la radicalità delle tesi esposte dall’autore, una convinzione, forse non del tutto originale ma sicuramente rimossa dai più, che il nuovo confronto non è tra vecchie culture e universo dei consumi ma è ormai svolto per intero all’interno di quest’ultimo. Televisione, telefono,pubblicità hanno prodotto una condizione nuova che ha portato all’inevitabile deperimento delle forme della politica, condizione nella quale l’intero gioco della lotta per il potere si è trasferito ad onta dell’”insulso paradigma ideologico che contrappone informazione, educazione, cultura a spettacolo,divertimento, intrattenimento”.
Quello della comunicazione è cioè, per Abruzzese, il luogo in cui oggi si è dislocata la politica. La scelta di mezzi, atteggiamenti, lessici legati al mondo della comunicazione non rappresenta un’opzione tra le altre per dar forma alle idee e renderle elementi attivizzanti; ma sostituisce la forma attuale della politica. La rimozione di questa realtà, operata su discriminanti di tipo morale, non rende più nobili ma soltanto incapaci ad agire. Un’intera classe politica si attarda nel riconoscere come strumenti dell’agire solo atti identificabili per la loro fisicità – incontri, cortei, celebrazioni -, con la convinzione profonda che il luogo in cui si esprimono i conflitti di potere sia la piazza, mentre i media restano “ impostura, finzione, luogo senza senso, delirante evasione”: e così essa resta esclusa dai loro linguaggi. Chiusa nell’idea statalista ed istituzionalista che il possesso, il controllo, l’uso etico dei mezzi possa garantire una presunta correttezza dei flussi informativi. Mentre “il Biscione Sapiens si riconosce nella piena operatività sociale della televisione rispetto alle utopie della piazza”.
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Nella sua analisi tagliente, Abruzzese dallo sterile lamento autocommiserativo di un’ipotetica sinistra, ontologicamente definita come “bene” contrapposto al “male”, preferendo un atteggiamento più aperto, più ampio e quindi più radicale. E’ una prospettiva coraggiosa, che il sociologo sa delineare proprio dando conto del suo essersi formato all’interno di quella sinistra con cui oggi chiude unilateralmente la vertenza aperta dodici anni fa, rilanciando il discorso alla società politica italiana nel suo complesso. La sinistra, così come l’intera classe politica italiana, sembra non avere fatto tesoro degli errori compiuti e resta “legata alla mobilitazione del solo territorio materiale, alla logica degli eserciti e del loro scontro fisico – credendo semplicemente che i media servano ad armarsi”. E’ la stessa sinistra che ha reagito allo svelamento di Abruzzese “fratello di latte” di Berlusconi, aggiungendo alla decennale rimozione delle sue analisi qualche insulto, pronunciato perlopiù a bassa voce, forse per non reificare l’interprete della propria cattiva coscienza, per non creare un caso, per non permettere al fantasma Fracassone di turbare i sonni di “quanti avevano già scritta in se stessi la sconfitta”.
In attesa di Berlusconi prossimo venturo. (Umberto Croppi)
Nota: alcuni passaggi nel testo sono stati evidenziati dal sottoscritto. Croppi fu buon profeta. Dal 1994 S.B. è ancora oggi è il protagonista della politica italiana. La sinistra continua nella sua politica di piazza, sezione, di scomuniche, di insulti e forse continua a credere che “noi siamo diversi” o “noi veniamo da lontano”. Auguri.
Posto da e.e.
Bravo Ezio, finalmente l’hai detto:
Berlusconi è la televisione, quindi noi siamo governati dalla televisione, il Grande Fratello è tra noi, anzi ci governa.
Grande Orwell, nel lontano 1948 aveva già previsto tutto.
Esultiamo.
Per fortuna mia figlia ha deciso di seguire i consigli del tuo amico B., e se ne è andata all’estero; almeno lei per ora è salva.