di Lorenzo Morone. Parlare dei Carafa e della loro opera a favore di Cerreto, non avrebbe senso senza citare Giovan Battista e Costantino Manni, colti tecnici del Sacro Reale Consiglio (Sacrum Regium Neapolitanum Consilium), massimo organo giurisdizionale creato da Alfonso I d’Aragona intorno al 1450. Vediamo perché.
Nel 1688 il conte Marzio Carafa per realizzare la “new town” di Cerreto Sannita, essendo stata la vecchia Cerreto medievale completamente distrutta dal terremoto del 5 giugno, si affidò, da persona di autentica cultura, ad un “regio ingegniero”: G. B. Manni. Il progetto urbanistico redatto dal “tavolario” (ingegnere), come si sa, venne impostato su di una scacchiera che in qualche modo anticipava i temi della ricostruzione urbanistica delle città della Sicilia sud-orientale colpite dal terremoto del 1693, con una evidente somiglianza con il centro storico di Torino. Cerreto, in effetti, chiamata da sempre “la piccola Torino”, ricalca il disegno della città sabauda che, a partire dal 1580, sotto Carlo Emanuele I, essendo ormai capitale del ducato di Savoia, comincia a lasciare lo schema derivato dall’essere colonia romana per assumere una fisionomia nuova più rispondente ai canoni dell’urbanistica barocca. Guardando la pianta della città sabauda quale era intorno al 1750, è chiara la somiglianza tra le due entità, con la differenza che Cerreto fu così progettata, Torino vi è diventata con interventi urbanistici successivi. Un po’ come Pienza che, di CITTA’ DI FONDAZIONE, ha solo il “cuore”.
G.B. Manni progettò a Cerreto anche la Collegiata di S.Martino e le carceri che, da poco restaurate, ospitano, tra le mura spesse oltre 2 metri, una delle più ricche collezioni italiane di ceramica contemporanea.
Ma chi era G.B.Manni?
Napoletano, morto nel 1728, fu uno degli architetti più gettonati a cavallo del ‘700. A Napoli fu attivo specie nelle opere di ricostruzione dopo il terremoto del 1688. Suoi sono infatti i progetti della Chiesa del Divino Amore ed il completamento delle chiese della Croce di Lucca e di quella di S. Giuseppe delle Scalze. Fu inoltre autore di un documento reale datato 1679 dove sono disegnate tutte le planimetrie degli edifici sacri appartenenti all’Ordine di Malta di Capua, Salerno ed altre città del regno. Non un tecnico qualsiasi, quindi, ma una persona scelta per competenze e qualità, dalla cultura tipicamente Gesuita. E sulle sue orme anche il figlio Costantino Manni divenne architetto ed ingegnere del Regno.
Si, va bene, direte voi. Ma che “c’azzecca” S. Francesco con i Carafa, i Manni e la ceramica cerretese? A questo punto fermiamoci un po’, per seguire col pensiero la storia che vi racconto.
Bagnoli Irpino e Montella sono due piccole, splendide cittadine, in provincia di Avellino, collocate in una valle circondata da monti ricchi di castagne, di tartufi, di pascoli e di boschi. In questa valle si trovava, e si trova ancora, il “bosco Folloni” che deve il suo nome ai “fullones” (lavandai) perché nel periodo romano il luogo ospitava le folloniche dei tintori e dei lavandai. Nel 1222 S. Francesco, di ritorno dalle Puglie, dove volentieri si recava pellegrino presso Monte Sant’Angelo, nel cuore dell’inverno era passato proprio di qui ma, chiesta invano ospitalità, trovò riparo nel bosco. Quella notte nevicò. Ma ecco che il mattino seguente l’albero sotto cui egli si era riparato meravigliosamente si rivelò non essere stato toccato dalla neve. Saputa la cosa il signore del paese, certo Ragone Balbano conte di Conza e di Montella, venne a cercare l’uomo di Dio pregandolo di trattenersi come ospite presso di lui. Francesco preferì proseguire il suo viaggio ma lasciò dei frati perché in quel luogo edificassero un romitorio e col loro operato convertissero i ladri che infestavano il bosco.
Su quel romitorio, nel 1746, fu costruita una Chiesa secondo il linguaggio del tempo, lo stile rococò. Il monumento, dedicato appunto a S.Francesco, è a navata unica, con cappelle laterali, interrotta da un transetto e “arricchita da un pavimento maiolicato”.
La Chiesa, dichiarata monumento nazionale, desta meraviglia per la grandiosità dell’insieme, per la finezza dei marmi e, appunto, per il pavimento in ceramica. Quindi: un grande progettista ed un grande ceramista. Ma chi erano costoro?
Il progettista fu Costantino Manni, figlio di G.Battista, il quale, avendo evidentemente seguito il padre a Cerreto, per carpire i segreti del mestiere sul cantiere della ricostruzione, era rimasto affascinato dalla città, ”pensata e realizzata” proprio come i Carafa e suo padre volevano, e dai suoi ceramisti. Quando si trattò di scegliere il pavimento per la Chiesa che stava costruendo a Montella, si ricordò della maestria dei ceramisti cerretesi che, “contaminati” dalle maestranze napoletane che avevano seguito Manni padre a Cerreto per la ricostruzione, avevano ideato una produzione ceramica nuova nello stile e nei colori. Questa, infatti, riproponeva modelli e tipologie partenopee, secondo lo stile e l’esperienza di Capodimonte importati da artisti come lo Scarano, il Marchitto e il mitico Nicola Giustiniani, ma con un nuovo, dissonante ed esuberante cromatismo, dal gusto naturalistico, con svelte e nervose immagini animalistiche, che fanno ricordare il rapporto uomo-animale delle antiche civiltà venatorie. Tipica la decorazione che riproduce un leone rampante, omaggio dei ceramisti ai Carafa. Una ceramica popolare dunque, dal gusto che oggi definiremmo NAIF. E’ facile quindi immaginare che, accompagnato dal papà, Costantino Manni visitò le tante botteghe Cerretesi, ubicate tutte nel quartiere dei ceramisti, intorno alla attuale sede delle Poste, magari allungandosi anche nella vicina S.Lorenzello, che era diventata una sorta di albergo diffuso, visto che Cerreto era completamente distrutta. Tra le tante botteghe visitate, rimase colpito dalla produzione di Giacomo Marchitto, che fu così incaricato di realizzare la pavimentazione della Chiesa di Montella. Il pavimento, una volta realizzato, piacque tanto che la ceramica cerretese fu scelta anche per arredare altre chiese della zona, quali San Domenico a Bagnoli e S.Maria della Neve a Montella, espandendosi poi a macchia d’olio.
Qui la pavimentazione ceramica è conosciuta, semplicemente, come “ceramica cerretese”!
Lorenzo Morone
N.B. Per chi volesse visitare le splendide chiese innanzi citate, ricordo che solo quella di S. Francesco è sempre aperta, grazie all’intelligenza di Padre Agnello, un Frate che sa bene che anche da una visita turistica può nascere un pensiero a Dio. Per le altre….ci vuole tanta, tanta pazienza. E anche di più! E pensare che, quando si chiedono finanziamenti per il restauro dei beni architettonici, la motivazione “tipica” per ottenerli è: “… il finanziamento dei lavori è opportuno perché consente il recupero di un bene che darà un incremento al flusso turistico, e quindi economico, della zona…”.
Penso proprio che tenere chiusi i beni recuperati con i soldi dello Stato, cioè di tutti, sia un reato non solo culturale, ma anche civile che dovrebbe comportare la restituzione dei finanziamenti ottenuti sulla base di false prospettive. E’ inutile vantarsi di avere il 70% del patrimonio artistico mondiale se poi spesso, troppo spesso, come ben sa chi, curioso di scoprire quanto è grande l’Italia “minore”, percorre tanti km per trovare, poi, una porta desolatamente sbarrata, senza un minimo di indicazioni. Una chiusura che danneggia non solo il visitatore, ma anche il paese, che probabilmente mai più rivedrà un turista deluso. Ma soprattutto facilita il degrado delle strutture appena risanate. E le scuse accampate per non aprire i monumenti e/o tenere nascosti i tesori artistici sono solo il segno della nostra assoluta mancanza di volontà, di intelligenza e di cultura. Senza se e senza ma!
Lorenzo Morone