
di Nello Di Mezza Qualche tempo fa una mia cara amica (l’articolo indeterminativo serve unicamente per non farla sentire sola) mi disse: “Sai, dove io vivo, la pubblica amministrazione tiene molto al decoro della città, e spesso si instaurano vere competizioni e concorsi con il fine di conquistare il trofeo per il giardino più colorato oppure per l’aiuola che più si attarda in fiore verso l’inverno, o qualcosa di simile, ma soprattutto per contribuire a rendere più bella e vivibile la città”.
Infatti è nota a tutti, in quelle zone, la faccenda della duecentesca Piazza Cavalli, a Piacenza, dove il sindaco – incalzato dai comitati civici in una estenuante tenzone sulla stampa locale in merito alla criticata scelta di aver disposto di utilizzare, nel restauro della piazza, blocchi di pietra che, pur provenendo dalla stessa cava di quelli originali, avevano sfumature di colore differenti – alla fine aveva dovuto ammettere, considerata la giustezza delle osservazioni, che non era stato sufficiente estrarre la materia prima dallo stesso sito ed aver assicurato che dopo circa due anni di esposizione alla luce non vi sarebbe stata alcuna differenza di colore, ma che, meglio ancora, si potevano mettere a deposito i blocchi già sagomati ed installarli solo quando il confronto non avrebbe rilevato alcuna differenza.
Un po’ com’è avvenuto per Viale Minieri, insomma!.
In particolare mi parlò degli incroci stradali e delle rotonde, dove in maniera particolare si manifesta la fantasia e l’estrosità sia degli amministratori locali che degli operatori della città, e qui voglio dire di rinunciare al discorso diretto per evitare di riempire di due punti e di virgolette tutto il foglio, per cui mi limiterò a riportare semplicemente in sintesi, con mie parole, ciò che fu detto.
Continuò facendomi degli esempi. Quello che ricordo meglio si riferiva al modo in cui venivano attrezzati gli spazi non adibiti al traffico all’interno degli incroci canalizzati risultanti dal disegno degli incroci stessi, solitamente spicchi di varia foggia, o, ancora meglio, della loro parte centrale, la rotonda, giustappunto.
Disse, parlando del secondo caso, che spesso questi spazi ospitano meravigliose composizioni floreali che deliziano la vista, mentre in altri casi essi vengono utilizzati talvolta per mettere in mostra, come se fossero piccoli musei, senza però ostacolare la visuale, vecchi attrezzi usati in agricoltura o anche macchine dismesse dell’industria o altro ancora, a seconda della storia o della vocazione di quell’area della città.
Poi lei se ne è andata, ma un tarlo invisibile si è stabilito nella mia mente. Un’idea che sembrava a malapena accennata e che necessitava innanzitutto di una verifica e poi di un approfondimento, ma che se accertata poteva evidenziare una visione lungimirante e complessa dei nostri amministratori comunali.
Allora corsi subito verso la rotonda della Piana, quella nei pressi della casa di Tonino Pucella, per capirci. Restai estasiato.
Il perché ora lo spiego, e capisco che il lettore può restare un poco frastornato.
Si sa che molte cose della vita accadono perché uno le pensa, o le vive semplicemente, ed a volte alle stesse conclusioni si arriva anche per strade diverse, per una sorta di universalità degli accadimenti umani. Ecco perché è possibile che i nostri amministratori, passati ed anche presenti, abbiano potuto avere le stesse idee di quelli del piacentino, dove vive la mia amica, in riguardo a far rappresentare ad una rotonda (perché no a quella che ho citato sopra) un aspetto particolare della nostra cittadina, per esempio quello della flora autoctona.
A questa idea ero giunto ancor prima di correre lì sul posto, guidato solo dal ricordo della memoria visiva conservato da qualche parte nella testa.
Perciò restai estasiato. Quello che era solo un ricordo fumoso e gravato dalle imprecisioni di cui esso si era potuto impregnato a contatto con altre problematiche, diventava assoluta realtà davanti ai miei occhi e, fatto ancora più straordinario, l’intera congettura sulla lungimiranza dei nostri amministratori diventava praticamente cosa certa.
In realtà non era proprio così, cosa certa voglio dire, ma l’inizio di quel dialogo non verbale era sicuramente scritto, seppure in modo non immediatamente comprensibile alla maggior parte.
Dunque la prima tessera di quel mosaico era stata saldamente incastonata per formare l’opera finale, e se ne aspettava pazientemente il completamento. Ora qualcuno penserà che sto girando in tondo, senza chiarire il motivo di questa contentezza, ma mi dovete perdonare, al solo pensiero mi prende l’emozione come in quel momento.
Di fronte alla ordinaria possibilità di zappettare il terreno all’interno della rotonda, magari con un mezzo meccanico, (tale ipotesi risulta facile da formulare anche a me, che appartengo al ruolo impiegatizio, sebbene per diletto io ami fregiarmi della qualità di agricoltore, o meglio ancora di contadino) per poi provvedere alla piantagione di essenze arbustive, o anche fiori stagionali magari messi a spicchi, (tutte queste virgole mi fanno perdere la testa) a strisce, o secondo un disegno buttato giù a tavolino, i nostri amministratori, forse attraverso un’apposita e speciale commissione, bene avranno pensato di offrire alla vista dei forestieri provenienti da quel lato, come fosse la porta occidentale, una chiara visione della flora autoctona che tradizionalmente caratterizza il nostro territorio, dimostrando di ricercare progetti sempre più ambiziosi per valorizzare le zone che man mano si allontanano dal centro, com’è giusto che sia (che noia quelle aiuole fiorite del Viale…).
E fin qui tutto normale. Qualcuno potrebbe dire che è la cosa più usuale di questo mondo, che è da sempre che gli amministratori di qualsiasi località attraverso i loro giardinieri o addetti curano le aiuole con criteri similari. E’ fin banale avrebbe detto l’amica che amo, la quale seppure per alcuni decenni di permanenza fuori Telese non abbia assorbito la cattiva abitudine di dimenticare i suoni del nostro palato a favore di quelli indigeni, come molti fanno anche dopo tre giorni che stanno in un posto, pure si lascia sfuggire, infrequentemente, qualche locuzione propria della terra che la ospita.
Devo precisare che ho ritenuto opportuno dividere in due il periodo complessivo che volevo riportare per non far soffrire il fiato del lettore alla vista del punto fermo molto più in là, ed è per questo motivo che non ho potuto subito precisare di aver usato il corsivo per rispettare la consegna delle virgolette, ma anche, anzi soprattutto, che una modalità siffatta non contiene in sé assolutamente niente di straordinario, riflettendo invece una stagnante normalità.
Ecco dunque l’estrosità e, perché no, l’unicità del pensiero creativo dei nostri amministratori. Lasciare che si componga l’intero mosaico in maniera del tutto naturale, senza intervenire, lasciando davvero alla natura, e cioè al vento, alla pioggia, o ad altri eventi naturali, ma anche agli uccelli ed agli altri animali, con la sola esclusione dell’uomo, l’inoculazione dei semi delle piante autoctone nella rotonda vicino da Tonino.
Questo io lo posso dire, e ne sono sicuro, in quanto la prima tessera del mosaico, come ho detto prima, ma meglio ancora la prima pennellata di questo elegante e raffinato affresco è già una realtà che è sotto gli occhi di tutti. C’è sicuramente chi in mezzo a voi avrà notato una rigogliosa macchia di canne che indicano, con la loro sinuosa dinamicità, la presenza e la direzione del vento. E chi, tra voi nati da padri nati in questa terra, non sa che un tempo, per esempio nel letto erboso della Seneta, alle pendici del suo alveo, o dovunque una scarpata incolta fosse lasciata tale per un po’, o lungo il fiume, per fortuna ancor ora, seppure tra scheletri biancheggianti di frigoriferi e lavatrici, chi, dicevo, non sa che tra la flora caratteristica di questa terra c’erano loro ad un posto d’onore?
Orbene, già le canne sono lì, situate opportunamente in un luogo che consente ad altre essenze consorelle di trovare una giusta collocazione su quel palcoscenico, altro che l’artefatta e banale fila indiana di piantine infisse nel modo in uso presso gli ortolani per i sedani o i pomodori!
Ora si tratta di aspettare pazientemente favorevoli ricorrenze ed attendere l’olmo, l’acacia, il platano, il tiglio (su queste ultime due essenze arboree stento a frenare qualche considerazione d’annata, ormai, visto che gli ultimi fatti sono dell’83).
Sono inoltre convinto che l’amministrazione non giace supinamente ad aspettare che si compongano le cose descritte, ma, nel modo più discreto possibile e senza forzare alcunché rispetto all’andamento naturale, stia compiendo delle attente osservazioni attraverso severi turni di servizio di addetti, appassionati ed amministratori stessi circa il movimento delle varie specie di uccelli ed altri animali che nel loro breve o lungo migrare incrociano l’obiettivo, e cioè la rotonda di Tonino (diciamo così), per rilasciare il loro prezioso carico di deiezioni e con esse i semi di ciò che manca.
Devo anche dire, però questa è solo una mia opinione, della quale non ho prove, che ho sentore di una tacita intesa, o forse espressa e asseverata dall’intenzione del bene comune che supera le divergenze politiche, tra la maggioranza e la minoranza al tempo delle elezioni, quando si sa che il grande fervore dei cittadini può far distogliere gli stessi contendenti al governo locale dalle loro importanti attribuzioni e tra esse quella di cui stiamo trattando.
E infatti, questo posso dirlo con certezza, nel tempo immediatamente precedente ad esse ho notato un via vai di amministratori, uscenti ed entranti, che evidentemente correvano di qua e di là vuoi per rinforzare i turni di servizio delle vedette (per l’avvistamento dei migratori) e vuoi per ammonire reiteratamente le stesse a non lasciarsi distrarre dalle frotte dei cittadini che, ubriachi delle parole nelle quali si immergevano reciprocamente, potevano distoglierle dal loro storico impegno.
A qualcuno che può insinuare che la crescita delle canne possa essere stata originata da semi già presenti nel terreno portato lì al tempo della realizzazione dell’opera , io obietto che tale ipotesi è assolutamente priva di ogni fondamento in quanto, in mancanza di una strategia audace come quella descritta, l’amministrazione avrebbe provveduto semplicemente a piantumare quell’area come farebbe l’operoso ortolano, e se altri dicessero che ben poteva quello spazio prestarsi ad una mostra, come ho già detto sopra, rispondo come ho fatto ancora sopra.
Sarebbe stato troppo semplice, infatti, costruire un basamento dove sistemare un vecchio attrezzo dell’agricoltura, per esempio, magari preso a prestito da una delle tante operose masserie lì nei pressi, quella di ‘zi Lisandro, per esempio, che sono state il cardine della nostra agricoltura ed economia fino a poco tempo fa.
Da qui trae vita la mia convinzione che c’è un preciso ed ambizioso programma, in riferimento a quanto detto.
La mia amica disse pure che non aveva gradito la modalità costruttiva di quell’altra rotonda, più piccola ed un po’ più in qua. Disse che sembrava una pizza di cemento. Veramente non disse proprio così, pizza non c’era nelle sue parole, anche se la sequenza delle vocali e delle consonanti, comprese le doppie, sebbene non proprio le stesse, era assolutamente identica. In ogni caso aveva a che fare similmente con la faccenda dell’inseminazione aerea di cui abbiamo detto prima.
Quella sua dichiarazione però fece scaturire in me un’altra teoria, o almeno un accenno tutto da dimostrare. Vuoi vedere che quello stormo di uccelli di passaggio da lì che un po’ di tempo fa non ho esitato a definire oche granaiole, altro non era che uno stormo di autobetoniere che, instradate in un corridoio diciamo sui settemila piedi, magari per un malinteso, o per sfuggire al traffico che ultimamente c’è da quelle parti, abbia rilasciato per errore, o per una disfunzione sfinterica di uno dei suoi componenti, un po’ del suo carico, fatto rilevato d’istinto ed ineccepibilmente dalla mia amica?
E’ il caso di approfondire, e penso che l’amministrazione già lo stia facendo…